V iborg, Danimarca. È il 1890 e l’allora trentaquattrenne Hans Christian Mortensen, preside di un liceo del paese e appassionato di ornitologia, passeggia nel giardino di casa. C’è una domanda che da tempo gli frulla nella testa: “Dove vanno gli uccelli quando migrano?”. Rimuginandoci su, finalmente l’intuizione giusta arriva. Mortensen si ricorda dello strano caso di un’oca lombardella fuggita da una collezione privata in Danimarca nel 1806 e abbattuta qualche anno dopo, nel 1835, in Polonia, dove fu riconosciuta solo grazie all’anello di ottone che portava al collo.
Ispirato da questo episodio singolare, l’ornitologo danese cattura due storni nel giardino di casa e per la prima volta nella storia dell’ornitologia, applica alla loro zampa un anellino di zinco forgiato a mano, su cui aveva scritto “Viborg 1890”. Poi li libera, sperando di ricevere presto notizie dei due pennuti ai quali ha affidato tutte le sue speranze.
Mortensen dovrà aspettare ben dieci anni per soddisfare la sua curiosità, ma ormai ha gettato le basi dell’inanellamento degli uccelli a scopo scientifico: la tecnica che avrebbe finalmente permesso di spiegare le migrazioni.
Il signore degli anelli
Fin dagli albori della civiltà, l’uomo ha osservato e studiato gli uccelli cercando di carpire il segreto delle migrazioni, di trovare una spiegazione alla scomparsa stagionale di alcune specie di uccelli. I primi tentativi non sono stati altro che una serie raffazzonata di improbabili teorie. Nell’Antica Grecia, per esempio, si credeva che in inverno gli uccelli volassero fin sulla Luna. Oppure che, posandosi sugli alberi spogli, si trasformassero in rami secchi per poi riprendere le sembianze di un uccello in primavera. Una spiegazione a questa misteriosa “sparizione” provò a darla anche Aristotele, lasciandoci la prima testimonianza scritta dello studio del fenomeno migratorio. Nel suo Historia animalium, il filosofo greco sosteneva che, per sopravvivere al freddo invernale, le rondini si trasformassero in anfibi. Una teoria bizzarra, passata alla storia come “teoria della trasmutazione”, che però ha una base di verità: in autunno, le rondini formano dei dormitori di migliaia di individui nei canneti sulle sponde dei laghi, per poi ripartire all’alba del giorno dopo. Aristotele probabilmente non riusciva a spiegarsi perché in autunno le rondini si nascondevano nei canneti e poi “sparivano” per tutto l’inverno.
La teoria della trasmutazione di Aristotele ha attraversato secoli di storia, arrivando praticamente indenne fino agli inizi dell’Ottocento. Tanto che lo stesso naturalista francese Georges Cuvier (come Linneo prima di lui) riteneva veritiere le dicerie secondo le quali alcuni pescatori avevano rinvenuto delle rondini rattrappite, ma ancora vive, al di sotto dello strato ghiacciato delle superfici lacustri.
Nel 1890 l’ornitologo danese Mortensen cattura due storni nel giardino di casa e applica alla loro zampa un anellino di zinco forgiato a mano: getta così le basi dell’inanellamento.
Bisognerà aspettare la metà del 1800 per i primi studi scientifici sulla migrazione degli uccelli. E qui torniamo a Mortensen e ai suoi anelli. Dopo il primo tentativo del 1890, l’ornitologo danese affina il suo metodo. Sostituisce gli anelli di zinco, troppo pesanti per gli storni, con quelli di alluminio. E per aumentare le sue possibilità, cerca di marcare quanti più esemplari possibili. Così nel 1899 arriva a inanellare ben 165 storni in un solo anno. L’anno dopo, due storni inanellati vengono ricatturati: uno in Olanda, l’altro in Norvegia.
È il 1900 e, dopo dieci anni di tentativi, finalmente Mortensen ha avuto la prova che il suo metodo funziona. Ma due ricatture non bastano per avere un campione valido. Così Mortensen pensa di inanellare una specie molto cacciata. Parte per l’isola di Faroe, nella costa nord della Danimarca, e cattura 102 alzavole. L’intuizione è giusta: un ventina di anatre vengono recuperate entro 60 chilometri dall’isola, qualcun’altra in Irlanda e in Spagna, in quello che oggi è il Parco nazionale di Doñana.
Da quel momento Mortensen non si ferma più: sperimenta la sua tecnica su cicogne, aironi, gabbiani e qualsiasi altra specie gli capiti a tiro, arrivando a inanellare oltre 6.000 uccelli di 33 specie diverse in tutta la sua vita. Agli albori del 1900 il suo metodo ha ormai preso piede tra gli ornitologi europei. E nel giro di una decina d’anni, l’inanellamento si diffonde in tutto il Nord Europa e arriva persino dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti.
Inanellatori di oggi
Se Mortensen poteva inanellare gli uccelli comodamente dal giardino di casa, quando voleva e a qualsiasi ora del giorno, per gli inanellatori di oggi ci vuole un po’ più di spirito di adattamento. Ai giorni nostri, fare l’inanellatore vuol dire non avere un ritmo di vita tranquillo, neanche quando per lavoro ci si trova in dei veri e propri paradisi naturali. Ci si sveglia tutte le mattine prima dell’alba e si inanella fino a un’ora dopo il tramonto ininterrottamente, spesso per più di 12 ore. In stazioni come quella del “Progetto Alpi”, che monitora la migrazione autunnale lungo il nostro arco alpino, per esempio, si inanella anche di notte per seguire i ritmi migratori degli uccelli.
Da Mortensen a noi, in oltre 100 anni, l’inanellamento ha fatto molti passi avanti. I metodi di cattura sono stati diversificati in base alle specie e al loro habitat. E lo stesso è avvenuto per gli anelli, costruiti con leghe e dimensioni differenti a seconda della specie. Ma il vero passo in avanti compiuto in tutto questo tempo è stato l’istituzione un coordinamento europeo per la raccolta dei dati: l’Euring. Un ente creato nel 1963, con il preciso intento di organizzare e standardizzare l’inanellamento a scopo scientifico in tutt’Europa, e di raccogliere in un immenso database i dati di tutti gli uccelli inanellati in Europa: oltre 15 milioni in circa 50 anni.
Da Mortensen a oggi, l’inanellamento ha fatto molti passi avanti per metodi di cattura, costruzione degli anelli e con l’istituzione di un coordinamento europeo per la raccolta dei dati.
Dai tempi di Mortensen si è modificato anche un altro aspetto fondamentale. L’ornitologo danese poteva catturare e inanellare qualsiasi specie, da cittadino comune, senza incorrere in nessun tipo di problema legale. Oggi la maggior parte della fauna e dell’avifauna è protetta da leggi nazionali e internazionali, e chiunque vi arrechi danno è perseguibile penalmente. Per inanellare qualsiasi specie bisogna essere abilitati. In Italia, la fauna selvatica è “patrimonio indisponibile dello Stato” e l’attività di inanellamento a scopo scientifico può essere svolta esclusivamente dai titolari dell’apposito patentino.
Anche le tecniche per inanellare gli uccelli si sono affinate per recare il minimo stress all’animale. I passeriformi vengono catturati con apposite reti in nylon, chiamate mist-net, pensate appositamente per non recare danno all’animale che vi resta impigliato. Una volta prelevati dalla rete, gli uccelli vengono portati al tavolo dell’inanellamento in dei sacchetti di cotone traspirante, che assicurano all’animale il giusto spazio, al riparo e al buio per tranquillizzarli. Al tavolo dell’inanellamento gli uccelli vengono identificati: individuare la specie è fondamentale per applicare l’anello della taglia giusta. Una volta chiuso attorno alla zampa destra, l’anello assomiglia più a un nostro bracciale, libero di scorrere e di ruotare sulla zampa. Poi l’inanellatore rileva alcune misure biometriche standard e stabilisce lo stato di salute di ogni individuo marcato valutando l’accumulo di grasso e lo sviluppo dei muscoli pettorali. Infine stabilisce il sesso e l’età, esaminando il piumaggio. Concluse le operazioni, l’animale viene pesato e immediatamente liberato, mentre i dati raccolti confluiranno nel database Euring.
La ricattura degli individui inanellati dopo giorni, mesi o anni, nello stesso posto o in un’altra parte del globo fornirà preziose informazioni sul viaggio migratorio.
In mezzo al mare
Il primo, e anche il più famoso, dei grandi progetti nazionali coordinati dall’ISPRA è il “Progetto Piccole Isole” (PPI). Nato nel 1988, in quasi 30 anni è riuscito a oltrepassare il confine italiano, coinvolgendo numerosi Stati che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Il Mediterraneo, dopo il Sahara, è la seconda barriera ecologica che devono attraversare i migratori in primavera. Le isole rappresentano la salvezza: un luogo dove riposarsi e rifocillarsi prima di proseguire il viaggio. Qui, in un solo giorno si possono inanellare migliaia di uccelli, spesso appartenenti a specie rare o accidentali.
L’Italia è una penisola ricca di piccole isole: dalle Egadi alle Eolie, dall’arcipelago toscano a quello campano, passando per le Pontine. E il PPI non poteva quindi che nascere in Italia, precisamente a Ventotene.
Prima dell’avvento della stazione di inanellamento, su quest’isola – come nel resto delle isole pontine – la caccia agli uccelli migratori era molto diffusa: gli uccelli migratori per decenni hanno costituito il principale apporto proteico nella dieta degli isolani. Ora, invece, a Ventotene questa pratica è quasi scomparsa e la stazione di inanellamento, insieme al Museo della Migrazione che sorge sull’isola, viene visitata regolarmente da turisti e scolaresche.
Il Mediterraneo, dopo il Sahara, è la seconda barriera ecologica che i migratori devono attraversare. Le isole rappresentano la salvezza: un luogo dove riposarsi e rifocillarsi prima di proseguire il viaggio.
Ventotene è una rinomata meta turistica e, come altre isole abitate, è ospitale e confortevole. Ben altro paio di maniche sono però le esperienze vissute dai ricercatori in località selvagge e isolate.
Come nella stazione di inanellamento che per qualche anno è stata aperta nel cuore del Parco Nazionale del Circeo, con permessi speciali, sull’isola di Zannone: uno scoglio di un chilometro quadrato, abitato solo da gabbiani reali e mufloni. Su questo fazzoletto di terra in mezzo al mare la quotidianità assume nuove sfumature. Qui non c’è acqua corrente, né elettricità. Non c’è un traghetto per arrivare, né un molo per attraccare: bisogna aspettare che il mare agitato della primavera si calmi. Si viene accompagnati da una piccola barca a motore, che subito dopo rientra nella vicina isola di Ponza. E una volta arrivati bisogna saltare direttamente sugli scogli, scaricando un po’ alla volta zaini e sacchi a pelo, tende, provviste, bombole del gas, attrezzatura da campeggio, e tutto il materiale per l’inanellamento: dagli anelli ai pali delle reti. Una volta saliti in cima, sistemato il campo base e i transetti per l’inanellamento nei pressi dei ruderi del monastero di Santo Spirito di Zannone, la vita inizia a scorrere a un ritmo irripetibile. Un tempo scandito solo dal canto territoriale dei gabbiani reali, dallo sciabordio delle onde e dall’alternarsi delle specie di migratori che giungono sull’isola. Un paradiso per gli inanellatori.
L’utilità degli anelli
Grazie ai 10.000 inanellatori presenti in Europa e a progetti come il Piccole Isole, l’ecozona del Paleartico Occidentale è diventata la regione più studiata. Tanto che in tutti questi anni l’inanellamento, e soprattutto la ricattura degli uccelli inanellati, ha risposto a molte più domande di quanto lo stesso Mortensen poteva immaginare.
Questa tecnica, infatti, non solo ha permesso di ricostruire i viaggi degli uccelli, di definire le rotte migratorie, le preferenze ambientali delle specie, i quartieri di svernamento e di nidificazione, le aree di sosta e di alimentazione; ma ha consentito anche di ottenere informazioni utilissime sull’etologia, l’ecologia e la fisiologia delle specie catturate. Grazie all’inanellamento si è riusciti a monitorare i trend demografici delle popolazioni ornitiche e il loro successo riproduttivo, a studiare le strategie di muta del piumaggio, a definire i record di volo e la longevità delle specie.
Ad esempio l’inanellamento ha permesso di scoprire che la maggior parte delle rondini che in primavera nidificano in Europa, trascorrono l’inverno in Nigeria dove, in mancanza d’altro, vengono catturate a scopo alimentare. Tanto che alcune popolazioni nigeriane spesso creano collane e bracciali proprio con gli anelli trovati alle zampe delle rondini. Oppure sempre grazie all’inanellamento si è riusciti a definire il record di longevità per molte specie. Basti pensare a Wisdom, una femmina di albatros di Laisian, salita alla ribalta nelle cronache come “l’uccello più vecchio del mondo”. Wisdom, infatti, ha almeno 65 anni e venne inanellata nel 1956, quando ne aveva cinque.
La tecnica dell’inanellamento ha permesso di ricostruire i viaggi degli uccelli, di definire le rotte migratorie, le preferenze ambientali delle specie, le aree di sosta e di alimentazione.
In questi 130 anni nel mondo dell’ornitologia sono arrivati i Gps a telemetria satellitare. Questi strumenti, alimentati da pannelli solari, vengono applicati tramite uno “zainetto” all’animale e, una volta in funzione, inviano i dati (coordinate, ora e data) del percorso seguito in migrazione con straordinaria efficacia e precisione. Sono quindi utilissimi per lo studio dettagliato delle rotte e delle strategie migratorie, molto più dell’inanellamento che si basa invece sulla ricattura di un uccello marcato, un evento comunque raro. Ma c’è almeno un motivo per cui i Gps non hanno soppiantato l’inanellamento: sono più fastidiosi del classico anellino, sono più pesanti, e soprattutto molto più costosi. Quindi per ora si utilizzano solo per i grandi rapaci: specie che però sono soggette a un fortissimo bracconaggio nel loro viaggio verso l’Africa.
Nonostante la tecnologia sia andata avanti, quindi, l’inanellamento resta ancora l’unico strumento valido per capire le dinamiche di popolazione, l’etologia e la fisiologia delle specie e studiare in modo massivo i flussi migratori.