S ostanzialmente si brancola nel buio: il sonno è un fenomeno onnipresente e indispensabile in buona parte del regno animale, eppure la sua origine evolutiva resta avvolta nel mistero. Le ipotesi sono tante, ma di fatto nessuna è riuscita a convincere fino in fondo la comunità scientifica. L’aspetto che più lascia perplessi è che, evolutivamente parlando, il sonno ha alcuni svantaggi evidenti: in un mondo popolato di prede e predatori, restare incoscienti e dunque vulnerabili per diverse ore al giorno sembra essere piuttosto pericoloso. Si rischia di diventare facili prede e si sprecano poi occasioni per alimentarsi e riprodursi. I biologi evoluzionisti parlano esplicitamente del dormire come paradosso. Nonostante questo apparente svantaggio, il sonno ha origini antichissime ed è diffuso in maniera quasi ubiquitaria. Qual è la sua origine?
Allan Hobson, scienziato della Harvard Medical School, noto per le sue ricerche sul sonno REM, crede che non si possa avere sonno senza cervello: “il sonno sicuramente ha a che fare con le funzioni cognitive”, spiega a Il Tascabile. Una ricerca pubblicata qualche settimana fa, però, sostiene di aver dimostrato che anche organismi “semplici” come le meduse dormono. Il sonno potrebbe allora essere una funzione più basilare e primitiva, nata addirittura insieme ai neuroni. Una visione che trova d’accordo scienziati del calibro di Giulio Tononi e Chiara Cirelli: a loro parere il sonno serve principalmente a mantenere in funzione le sinapsi, i “ponti” attraverso cui l’informazione nervosa passa da un neurone all’altro.
Dormire con i pesci
Per studiare il sonno bisogna prima di tutto stabilire cosa sia. Come si capisce, cioè, se un animale sta dormendo? Le teorie di Hobson, da una parte, e di Tononi e Cirelli, dall’altra, si distinguono anche per i criteri usati come indicatori dello stato di sonno. In base ai criteri adottati, che possono essere più stringenti o tolleranti, vengono inclusi tra gli animali che dormono specie più o meno antiche, individuando così un diverso primo antenato comune. Più antica è l’origine del sonno, più è probabile che sia emerso per assolvere a una funzione primitiva .
Nel campo degli studi sul sonno i criteri più tolleranti corrispondono a quelli comportamentali, mentre quelli più stringenti a quelli fisiologici. Da notare che chi adotta i primi non esclude la validità e l’uso dei secondi, mentre il contrario non è sempre vero.
Un esempio di uso dei criteri comportamentali è proprio il recente studio sulla medusa. Ravi Nath, dottorando del Caltech di Pasadena, ha notato che di notte gli esemplari di Cassiopea nel suo laboratorio restavano in uno stato di quiescenza, con un tasso di attività inferiore del 30% rispetto a quello diurno. “È possibile che stiano dormendo?”, si è chiesto, e ha condiviso il suo dubbio con i due colleghi Claire Bedbrook e Michael Abrams. Tutti e tre erano scettici: il sistema nervoso di questi animali, appartenenti al phylum degli cnidari, un ramo antichissimo dell’albero della vita animale, consiste in una semplice rete dispersa di neuroni. La ricerca fino ad allora aveva osservato il sonno solo in animali che avessero almeno un abbozzo di cervello. “Come gli stati di quiescenza di C. Elegans, un verme nematode. Non propriamente una creatura sofisticata, ma infinitamente più complessa di una medusa”, spiega a Il Tascabile Ravi Nath, che su questi vermi ha lavorato a lungo. “Per questo la maggior parte degli scienziati è scettica sul fatto che animali come la medusa possano dormire”.
Secondo una ricerca pubblicata qualche settimana fa anche organismi “semplici” come le meduse dormono: il sonno potrebbe essere una funzione basilare, nata insieme ai neuroni.
Secondo i criteri comportamentali adottati dai tre ricercatori, il sonno è un tipo di quiescenza reversibile: al contrario del coma, è possibile risvegliare l’animale che dorme con degli stimoli. I tre quindi sono andati a stuzzicare le meduse con del cibo durante la notte. In presenza dell’esca questi animali si scuotevano dal torpore per afferrare il cibo, dopodiché ripiombavano nello stato letargico precedente.
Con il secondo criterio comportamentale si verifica l’innalzamento della soglia di attivazione. Ovvero: nello stato di quiescenza è più o meno difficile attirare l’attenzione delle meduse e metterle in attività rispetto al giorno? Nath e gli altri hanno dimostrato che questa soglia si innalza. Le Cassiopea stanno normalmente appoggiate al fondo marino e non amano affatto galleggiare a mezz’acqua, per cui se si trovano in questa condizione nuotano velocemente verso una superficie. Nath, Bedbrook e Abrams hanno fatto dunque in modo di sospenderle improvvisamente a metà altezza nella vasca: se questo accadeva durante il giorno le meduse si spostavano subito verso il fondo, mentre di notte restavano per un po’ a galleggiare, come se, intontite, non si rendessero conto della situazione.
Il terzo criterio adottato dai tre, infine, stabilisce che il sonno sia regolato omeostaticamente. Questo vuol dire, banalizzando, che se la medusa non dorme, sta male. Qui i ricercatori hanno condotto il più sadico dei tre esperimenti: le meduse venivano tenute sveglie per un’intera notte, con dei getti d’acqua che le colpivano ogni volta che tentavano di assopirsi. Il giorno dopo gli animali erano chiaramente rallentati nella loro attività, e la notte successiva hanno mostrato un effetto di rebound, cioè hanno “dormito” più intensamente e più a lungo del normale. Proprio come un essere umano dopo una notte in bianco.
Quand’è venuto il sonno?
“Siamo rimasti sorpresi: le meduse hanno superato a pieni voti tutti e tre i test e questo supporta l’ipotesi che anche animali così semplici dormono. Questo ha implicazioni interessanti” commenta a Il Tascabile Bedbrook. Innanzitutto anticipa la data della comparsa del sonno nel corso dell’evoluzione. E non di poco: “Se le meduse dormono, allora la stima conservativa è che il sonno sia apparso 600 milioni di anni fa, ma potrebbe essere anche più vecchio”, continua Bedbrook. “Al di là delle date, la cosa più importante è che, se arriveranno conferme che il sonno si manifesta anche in altre specie di cnidari (meduse e coralli), arriveremo ai rami più bassi dell’albero della vita animale. Questo escluderebbe essenzialmente solo spugne, placozoi e ctenofori – almeno per ora”.
“La nostra ricerca ancora non ci permette di trarre conclusioni in merito, ma porta dati a supporto dell’ipotesi che il sonno sia nato insieme ai neuroni”. Un’ipotesi sostenuta da alcuni scienziati, anche piuttosto autorevoli, come i già citati Tononi e Cirelli. In un articolo del 2008 su Plos One i due scienziati italiani, che lavorano all’Università di Wisconsin-Madison, hanno analizzato la letteratura scientifica sull’argomento. Sono però partiti “al contrario”, formulando quella che definiscono l’“ipotesi nulla” e cioè che ”il sonno non è indispensabile per gli animali”, smontandola poi pezzo per pezzo. Con questo ragionamento hanno poi tratto alcune conclusioni sulla funzione del sonno: è probabilmente una funzione universale (condivisa fra le specie), di base (una core function), che va al di là dei vari fenotipi e dei meccanismi con cui il sonno si manifesta nelle diverse specie, ed è una funzione neurale che probabilmente si manifesta a livello della cellula (nervosa). Qualche anno dopo i due hanno proposto l’ipotesi dell’omeostasi sinaptica: il sonno servirebbe a liberare le sinapsi che si sono rafforzate (con l’attività prolungata) durante la veglia, e che resterebbero dunque inutilizzabili senza l’azione di “pulizia” del sonno. Il sonno, con i suoi paradossi, è dunque, secondo i due scienziati, il prezzo che tutti paghiamo per poter mantenere la plasticità sinaptica.
‘Se le meduse dormono, allora la stima conservativa è che il sonno sia apparso 600 milioni di anni fa, ma potrebbe essere anche più vecchio’, spiega Bedbrook.
Di tutt’altro avviso è invece Allan Hobson. “Il sonno non è semplice riposo e francamente dubito che una medusa possa dormire”, commenta secco. Hobson ammette di non aver ancora letto la ricerca sulla Cassiopea, ma che conosce “questo tipo di studi. Con i criteri comportamentali si confonde sempre il riposo con il sonno”. I criteri fisiologici consistono principalmente nelle registrazioni dell’attività elettrica del cervello. Il cervello che dorme infatti produce delle tipiche “onde lente” associate al sonno profondo (non REM) che sono un vero e proprio marcatore di questa condizione. È chiaro che per gli animali molto semplici, senza cervello o con gangli nervosi rudimentali, questo tipo di registrazioni è molto disagevole, a volte impossibile.
Per Hobson però senza tracciati fisiologici non è possibile fare affermazioni sul fatto che un animale dorma o meno. Hobson critica duramente: “la gente che studia gli invertebrati e che dice sempre questo tipo di cose. Per esempio Eric Kandel descrive l’Aplysia (una lumaca marina, classico animale da laboratorio) come se avesse memoria, ma è una sciocchezza, questo invertebrato non ha ricordi. Quello di cui parla Kandel è apprendimento. La memoria è la rievocazione di un’esperienza, per definizione. E io penso che la stessa cosa valga per la medusa. Non mi basta appurare che la medusa ha una certa latenza nel tornare in attività quando si trova in uno stato di quiescenza. Non credo che questo sia sonno”.
Sonni animali
Hobson appartiene dunque a quel gruppo di scienziati che ritiene che il sonno sia presente solo negli animali più complessi (dagli anfibi in su, forse nemmeno i pesci dormono, secondo lui) e che assolva una funzione sofisticata: “È palese che il sonno ha un ruolo di protezione della funzione cognitiva: un animale che non dorme è un animale che mostra un immediato degrado nelle capacità attentive, di concentrazione, di pensiero, di memoria e percettive”. E dunque non ha senso parlare di sonno per animali che non hanno funzioni cognitive.
Un altro gruppo di scienziati ritiene che il sonno sia presente solo negli animali più complessi e che serva a proteggere la funzione cognitiva.
Senza tracciati elettrici non si può avere la certezza che gli invertebrati dormano come gli animali più complessi. Il problema è che anche se ci fossero dei marcatori fisiologici del sonno negli animali filogeneticamente primitivi, potrebbero essere i limiti tecnologici a impedirci di rilevarli. Come facciamo a impiantare degli elettrodi nel sistema nervoso della medusa? “Non si può certamente”, spiega Bedbrook “ma non è escluso che in futuro non si possano avere dati di questo genere. C’è una tecnica, che si potrebbe usare proprio sulle meduse, che promette bene e che potrebbe rappresentare il prossimo stadio in queste ricerche”.
Bedbrook spiega che esiste un modo di registrare l’attività elettrica senza elettrodi usando un sensore dell’attività neuronale fluorescente: la fluorescenza della molecola cambia con l’intensità del segnale elettrico e si può quindi usare per monitorare l’attività nervosa in questi animali. “E poi”, aggiunge Nath, “ci sono i geni. Cercheremo anche nella medusa quei geni che sappiamo implicati nella regolazione del sonno in altri animali, per esempio nel C. Elegans o nei pesci zebra (Danio rerio, un pesciolino da acquario che si usa spesso in laboratorio), e nell’essere umano”.
Non resta dunque che aspettare questi nuovi dati, che potrebbero rivoluzionare davvero le ipotesi sul sonno, spingendo nella direzione dell’ipotesi neuronale. Se queste osservazioni potranno poi convincere davvero i sostenitori dell’ipotesi cerebrale, resta da vedere.