N el corso di un evento spettacolare, lo scorso 31 marzo è stato rivelato al mondo Model 3, l’ultimo veicolo prodotto da Tesla. Con un prezzo di partenza di 35.000 dollari e 325.000 unità già in pre-ordine ancora prima del lancio, Model 3 dimostra che la rivoluzione della mobilità elettrica non è solo un futuro per pochi ma un presente alla portata di una clientela sempre più ampia.
Anche per questa ragione oggi si parla di litio come “nuovo oro” e di alcune nazioni (Bolivia e Afghanistan su tutte) che ne sono ricche come delle potenziali “Arabia Saudita dell’auto elettrica”. Il tutto mentre si prevede una triplicazione del valore del mercato globale del litio da qui al 2025. Al cuore di qualunque batteria ricaricabile infatti, inclusa quella di una Model 3 di Tesla, si trova proprio questo elemento.
Ed è per questo che la storia del litio, seppur breve – nel 2017 saranno trascorsi appena due secoli dalla sua scoperta – è interessante da raccontare: ci aiuta a capire come alcune piccole proprietà chimiche possano ripercuotersi tanto sulla scena globale quanto sulla nostra vita di tutti i giorni.
Gli atomi di litio sono tra i più semplici della tavola periodica e infatti il suo numero atomico, che corrisponde a 3, ci dice che i suoi atomi sono costituiti da tre protoni (piccole particelle con carica positiva) e da tre elettroni (piccolissime particelle con carica negativa). I protoni che sono raggruppati all’interno del nucleo di ogni atomo attraggono a sé gli elettroni che si muovono freneticamente e in maniera caotica all’interno di spazi chiamati orbitali. Il peso atomico del litio, determinato anche dai neutroni presenti nel nucleo, è tra i più bassi di tutti gli elementi e questo rende il litio il metallo più leggero in assoluto – può galleggiare sull’acqua e anche su solventi organici meno densi dell’acqua, come l’olio e la benzina. La caratteristica più importante del comportamento chimico dei metalli è che essi tendono a perdere gli elettroni più esterni, smettendo di essere atomi neutri e diventando ioni con carica positiva. Gli ioni che hanno carica positiva vengono detti cationi.
Non tutti i metalli perdono lo stesso numero di elettroni, ma nel caso del litio e di tutti i metalli alcalini la faccenda è molto semplice: i metalli alcalini formano sempre cationi con carica +1 perché non perdono mai più di un elettrone. Questo avviene principalmente in presenza di non-metalli e infatti il litio metallico brucia a contatto con acqua o con ossigeno formando il catione Li+. Il litio è così reattivo da reagire anche con l’azoto nell’aria che respiriamo, elemento noto per essere uno dei gas molecolari più inerti, pur di perdere un elettrone. Questo ridottissimo bignami di chimica dei metalli serve solo a dirvi che il litio può essere trovato sulla Terra solamente nella sua forma preferita, ovvero quella ionica: il catione Li+. È per questo che il litio si trova solo in composti ionici come i sali, costituiti da cationi e anioni (gli ioni con carica negativa).
Nonostante questo elemento sia in giro da oltre 13,8 miliardi di anni – assieme a idrogeno ed elio è stato uno dei primi prodotti del Big Bang –, il litio è comparso sul radar della conoscenza umana solamente nel 1817, quando Johan August Arfwedson si accorse della presenza di un nuovo elemento in un minerale scoperto 17 anni prima da un chimico brasiliano a Utö, Svezia. Il litio compare come ione in questo minerale che ha formula LiAlSi4O10 e si chiama, non sto scherzando, petalite. Ovviamente, come tutte le parole, anche la parola petalite è stata inventata ma sembra che i mineralogisti l’abbiano usata abbastanza da farne una parola riconosciuta dai vocabolari di più lingue, senza bisogno di una campagna virale.
Una volta imparato ad estrarre il litio dalla petalite e ad ottenerlo in composti più semplici come il cloruro di litio, gli scienziati notarono alcune interessanti proprietà dello ione litio. Scioglieva molto bene l’acido urico, coinvolto in malattie come la gotta, ma anche calcoli renali e reumatismi. Le quantità necessarie a provocare un qualche tipo di effetto su cause e sintomi di queste malattie, erano però tossiche per gli esseri umani (disidratazione e diarrea erano tra i primi segnali di questa tossicità che non così raramente portava alla morte del paziente).
All’epoca era anche in voga una supposta relazione tra la gotta e problemi mentali di tipo maniaco-depressivi, motivo per cui negli ultimi 30 anni del secolo i sali di litio furono utilizzati in maniera molto simile a come sarebbero poi stati utilizzati dagli psichiatri di tutto il mondo nella seconda metà del Novecento. Tuttavia, l’utilizzo dei sali di litio in contesto psichiatrico fu abbandonato quando le teorie che legavano i problemi della gotta, in particolare l’accumulo di acido urico, passarono di moda. C’è anche chi maligna sul fatto che la industria farmaceutica dell’epoca non fosse interessata a sviluppare farmaci costituiti da semplici sali che occorrono naturalmente e quindi non brevettabili.
Alcuni studi hanno dimostrato una correlazione tra la concentrazione di litio presente nelle acque potabili di determinate zone abitate e il tasso di suicidi, stupri e crimini violenti.
In ogni caso, lo spettro d’impiego del litio si ampliò – evidentemente chi aveva aperto le cave di petalite e di altri minerali dalle quali si estraeva il litio non era intenzionato a lasciarle andare a male – e trovò applicazione in oli per le meccaniche ad alte prestazioni, perfetti per i motori degli aerei. L’inventiva degli imprenditori non si accontentò di questo mercato e, grazie a innovatori come Charles Leiper Grigg, una nuova bibita medicinale contenente sali di litio fu inventata nel 1920. Il successo della Coca Cola faceva gola un po’ a tutti e quindi, nel 1929, Grigg mise sul mercato la sua “Bib-Label Lithiated Lemon-Lime Soda”. Certo, un nome non proprio ammiccante, anche se lo scarso successo della bibita fu probabilmente determinato dall’infelice timing del lancio: appena due settimane prima della rovinosa crisi economica americana.
La compagnia di Grigg non si diede per vinta e decise di “rinfrescare” l’immagine della sua bibita a base di litio, lime e limone, ribattezzandola 7Up.
Sì, la 7Up conteneva il citrato di litio, con tutto il gusto del limone e il potere di stabilizzare l’umore, assieme a qualche occasionale scarica di diarrea. Fortunatamente queste bibite erano considerate per un uso medicinale e difficilmente la gente ne abusava come succede oggi. E no, non preoccupatevi di avere assunto litio via 7Up, dato che tra il 1948 e il 1949 è stato interdetto l’utilizzo dei sali di litio nelle bibite e nei prodotti alimentari. Il motivo per cui questi composti furono vietati è molto interessante: data la sua parentela chimica con il sodio e la relazione di quest’ultimo con ipertensione e malattie cardiache, il cloruro di litio nel 1940 venne venduto e spacciato come un sano sostituto del sale da cucina causando molti avvelenamenti e un numero imprecisato di morti.
Altra pietra miliare nella storia del litio è il 1932, anno in cui viene utilizzato per realizzare la prima reazione di fissione nucleare. La prima reazione nucleare in laboratorio era stata effettuata nel 1917, anche se ci si era serviti di materiali già radioattivi, gentilmente fornitici da madre natura. Nel 1954, l’esperimento Castle Bravo nell’atollo di Bikini fu il primo test di una bomba termonucleare a sfruttare l’energia rilasciata da reazioni di fusione nucleare, quelle che fino a quel momento erano avvenute solo all’interno del sole e delle stelle. Queste bombe hanno bisogno di “combustibile” che contenga atomi d’idrogeno da fondere a coppie per formare atomi di elio (da qui il nome di bomba a idrogeno, o bomba H). Il combustibile scelto fu l’idruro di litio, un sale di litio e idrogeno.
La bomba H costruita dagli americani avrebbe dovuto sprigionare un’energia pari a quella ottenuta facendo esplodere cinque milioni di tonnellate di TNT, almeno a livello teorico. I suoi progettisti rimasero scioccati quando notarono che l’esplosione fu tre volte più potente dell’attesa. Questa sorpresa si doveva proprio al litio, ritenuto parzialmente inerte, che invece contribuì alle reazioni a catena scatenate nell’esplosione. Questo momento fu importante per lo sviluppo dell’estrazione del litio, guidato dal bisogno irrefrenabile di armi nucleari da parte di America e Russia, e determinò un importante ampliamento del suo mercato che si estese oltre gli Stati Uniti, la Russia e l’Australia fino al Sudamerica, che oggi ne è il principale produttore, con oltre il 70% della produzione mondiale.
La domanda di litio, e conseguentemente il suo prezzo, si abbassò notevolmente con lo spegnersi della guerra fredda e il principale impiego di questo elemento rimase la preparazione di carbonato di litio e citrato di litio, le formulazioni per il controllo dell’umore nei casi di sindrome bipolare e per i maniaco-depressivi.
Il primo scienziato a riprendere l’utilizzo dei sali di litio in ambito psichiatrico fu l’australiano John Cade, che si accorse che i topi del suo gruppo di controllo, cui aveva somministrato dell’urato di litio, erano molto calmi. Cade incontrò non poche difficoltà nel convincere la comunità scientifica mondiale a tornare ad utilizzare i sali di litio, dato che effettuò la sua scoperta nel 1949, lo stesso anno in cui questi composti furono banditi dall’industria alimentare a causa di avvelenamenti e decessi associati a questo povero catione incompreso. La cosa più divertente di questa applicazione è che nemmeno psichiatri e neurologi sanno bene perché funzioni. Le ipotesi più accreditate dicono che l’effetto dello ione litio è quello di rendere meno efficienti alcuni meccanismi in cui è coinvolto lo ione sodio nella parte del cervello che regola l’umore. Questo sembra rallentare gli sbalzi d’umore e permettere ai malati con questi problemi di rifiutare più facilmente l’idea del suicidio.
Contrariamente a quanto si possa pensare, chi prende il litio per necessità non è debilitato mentalmente e con le dosi appropriate torna, nella maggior parte dei casi, a una vita normale. Sicuramente la cultura pop in generale (si pensi a “Lithium” dei Nirvana) non ci ha passato una buona immagine del litio ma, ultimamente, c’è chi vuole andare nella direzione opposta. Alcuni studi hanno infatti dimostrato l’esistenza di una correlazione tra la concentrazione di Li+ presente naturalmente nelle acque potabili di determinate zone abitate e il comportamento umano. Questi studi sono stati effettuati indipendentemente e a distanza di anni in Texas e Giappone, portando alla stessa conclusione: esiste una relazione inversamente proporzionale tra Li+ assunto tramite l’acqua potabile e il tasso di suicidi, stupri e crimini violenti in generale. I risultati sono frutto di statistiche sul comportamento umano e sempre da prendere con le pinze, visto che un altro recente studio, condotto in Inghilterra, non ha invece trovato alcuna correlazione.
Come detto all’inizio, la principale applicazione odierna dello ione litio sono però le batterie ricaricabili. La storia di queste celle elettrochimiche reversibili è cominciata grazie al genio di John Goodenough. Questo scienziato americano ha costruito insieme a Koichi Mizushima, presso l’università di Oxford, la prima batteria basata sull’ossidazione e la riduzione del litio tra la sua forma cationica e quella metallica. Le versioni odierne delle batterie agli ioni di litio sono costituite da due elettrodi: uno positivo, composto dall’ossido di litio e cobalto, e uno negativo, fatto di grafite. Questi due materiali sono entrambi fatti a strati: gli ioni Li+ si spostano da un elettrodo all’altro durante la fase di carica e di operazione della batteria, intercalandosi tra gli strati grazie alle sue ridotte dimensioni. Mettendola nella maniera più semplice possibile, il funzionamento della batteria si basa su questo principio: quando il Li+ si trova tra gli strati di grafite (batteria carica) possiede un’energia chimica elevata, mentre quando si trova tra gli strati di ossigeno e cobalto (batteria scarica) raggiunge uno stato energetico molto più basso. La differenza di energia tra questi due stati è quella che usiamo per muovere elettroni da un elettrodo all’altro, generando la corrente elettrica che fa funzionare i nostri cellulari, computer portatili e, ora, anche le automobili.
Il litio potrebbe dunque rappresentare per il XXI secolo quello che il petrolio ha rappresentato per il XX: una risorsa che scatena guerre, instaura o rovescia dittature, ribalta equilibri economici e geo-politici.