N el 1572 accade l’impossibile e, la sera dell’11 novembre, Tycho Brahe lo osserva: un nuovo oggetto luminoso, più luminoso di Venere, si è sistemato sulla volta celeste, in direzione di Cassiopea. I cieli sono immutabili eppure quell’oggetto è apparso proprio lì, nel mondo sopralunare e non nell’atmosfera superiore, dove è concesso che le cose cambino. Non una cometa, dunque, ma una nuova stella: un miracolo, un segno divino da interpretare.
È l’inizio della rivoluzione della scienza moderna, che troverà il suo culmine nel 1704, con la pubblicazione dell’Ottica di Newton. A sostenere questa tesi è David Wootton, professore di Storia all’Università di York, autore di The invention of science. A new history of the scientific revolution, edito in italia nel 2016 dal Saggiatore col titolo La scintilla della creazione. Come le invenzioni dell’uomo hanno trasformato il mondo. Chissà, forse per “scintilla” s’intende proprio la “nuova stella” osservata da Brahe, che oggi sappiamo essere stata una supernova (SN 1572, o “di Tycho”), ma “creazione” è una parola che a Wootton potrebbe non piacere e che ricorda altri usi, che con la scienza non hanno molto a che fare. In ogni caso l’immagine che evoca è potente: muore una stella e nasce la scienza (moderna).
Le rivoluzioni scientifiche
Fissare un intervallo di tempo e attribuire a questa scelta un significato è una pratica di largo uso tra gli storici e, al tempo stesso, un’operazione che fa storcere il naso a molti di loro. Cambiare la periodizzazione vuol dire infatti cambiare la narrazione e c’è il rischio di semplificare eccessivamente l’analisi dei processi storici. C’è però un caso in cui si può evitare di fare gli schizzinosi, ed è quando si individua un cambiamento radicale, su larga scala, che porta a un nuovo stato di cose: quel processo che chiamiamo, appunto, rivoluzione. Una rivoluzione dell’ordine costituito, politico e sociale, si sa (più o meno) quando comincia e quando finisce. La Rivoluzione Cubana, per esempio, viene fatta iniziare il 26 luglio del 1953, con l’assalto alla caserma Moncada, e termina il 1° gennaio 1959, con la fuga del Generale Batista da Cuba. Per la Rivoluzione Industriale le cose son già più complicate, i luoghi si moltiplicano e le trasformazioni non avvengono dappertutto nello stesso istante e nello stesso modo, ma tutti gli storici sono concordi nell’affermare che iniziò in Inghilterra, nella seconda metà del XVIII secolo, con l’introduzione della macchina a vapore.
Per i ‘discontinuisti’ la Rivoluzione scientifica è una trasformazione repentina delle idee sulle cose.
Il problema con le rivoluzioni scientifiche, però, è che non è chiaro se ci siano mai state davvero. A scrutare le carte di chi ne ha scritto, pare una faccenda che dipende soprattutto dalla definizione che se ne è voluta dare. Secondo la corrente di pensiero che potremmo chiamare dei “discontinuisti”, una rivoluzione scientifica è principalmente un mutamento concettuale, intellettuale, una trasformazione repentina delle idee sulle cose. Paolo Rossi ne La nascita della scienza moderna in Europa, (Editori Laterza, 1997) afferma: “La scienza moderna non è nata (…) sul terreno della generalizzazione di osservazioni empiriche, ma (…) su quello di un’analisi capace di astrazioni, capace cioè di abbandonare il piano del senso comune, delle qualità sensibili, dell’esperienza immediata.” Il principale strumento che rese possibile la rivoluzione scientifica del XVII secolo fu la matematizzazione della fisica.
Se accettiamo questa visione, se cioè la rivoluzione della scienza moderna fu innanzitutto intellettuale e la matematica il suo linguaggio, allora la sua data d’inizio non può che coincidere con la pubblicazione, nel 1543, del De revolutionibus orbium coelestium: opera in cui Copernico, matematico prima di ogni altra cosa, descrive un universo sferico e finito, con il Sole vicino al centro e i pianeti che gli orbitano attorno su traiettorie circolari. A portarla a compimento, per quasi tutti, è Newton a inizio Settecento con i Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica, l’opera in cui unifica la meccanica celeste e quella terrestre attraverso la matematica: c’è una forza universale che agisce tra noi e la Terra e tra la Terra e la Luna o il Sole e si chiama gravità.
I nemici della rivoluzione
Il più importante rappresentante della corrente “antirivoluzionaria” o, per meglio dire, “continuista” è certamente Steven Shapin, che insegna storia della scienza ad Harvard ed è autore, con Simon Schaffer, de Il leviatano e la pompa ad aria (La Nuova Italia, 1985), ritenuto il testo di storia della scienza più importante dopo La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn. Per Shapin è impossibile ridurre a qualcosa di coerente tutti gli eventi e le storie che hanno caratterizzato lo sviluppo della scienza in Europa nel XVII secolo: qualsiasi selezione è parziale – afferma ne La rivoluzione scientifica (Piccola biblioteca Einaudi, 2003) – e c’è sempre e inevitabilmente qualcosa di noi in quello che raccontiamo, è sciocco pensare che esista qualche metodo che possa liberarci da questa condizione. Sì, certo, la matematizzazione della fisica è stata qualcosa di veramente nuovo e importante, sostiene, così come la distruzione del cosmo aristotelico, ma “il posto d’onore riservato a queste storie ha creato l’illusione di una rivoluzione fondata su di esse”.
Investigando dal basso, attraversando i luoghi della storia palmo a palmo, a caccia di indizi, interessi e pregiudizi, si scoprirà che la rivoluzione della scienza moderna è solo un’invenzione dei contemporanei e che una singola unità culturale coerente chiamata “scienza”, nell’Europa del XVII secolo, non c’è, c’è solo un insieme di pratiche e metodi diversificati volti a comprendere il mondo naturale. Per molti “continuisti” i criteri di razionalità sono locali e variabili, le prove si costruiscono all’interno di una particolare comunità sociale e il successo di un programma di ricerca si misura in base alla sua capacità di mobilitare il sostegno di quella comunità. Ma è davvero così? Bisogna per forza aderire al “relativismo al ribasso” di certi sociologi o, al contrario, schierarsi con i retorici della “grande narrazione” e della rivoluzione? Quante cose inutili o fuorvianti hanno conservato i primi e quante importanti hanno lasciato per strada i secondi?
La scintilla
Per David Wootton la rivoluzione scientifica è esistita davvero ma non fu il De revolutionibus a innescarla, malgrado il nome. L’influenza dell’opera di Copernico sui contemporanei fu assai meno profonda di quanto s’immagina: fino alla fine del XVI secolo in pochi si arrischiarono a sostenere che Copernico, nel merito, avesse ragione (uno è il povero Giordano Bruno) e di quell’opera veniva apprezzata soltanto la semplicità delle tecniche di calcolo. Il De revolutionibus è infatti un trattato fondamentalmente matematico e non c’era, all’epoca, nessun “fatto”, nessuna “evidenza sperimentale”, che favorisse la teoria che vi è descritta rispetto a quella generalmente accettata. Anche Tycho Brahe era certo che Copernico si sbagliasse e s’era inventato un universo che condivideva le idee di base del sistema tolemaico e di quello copernicano, un ibrido geo-elio-centrico in cui il Sole e la Luna giravano attorno alla Terra e Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno attorno al Sole.
Le osservazioni di Brahe erano incompatibili con le teorie ufficiali e così, con i suoi strumenti di misura e le sue tecniche di calcolo, l’astronomia diventò la prima scienza moderna.
Una delle poche fortune di Tycho (uomo notoriamente molto sfortunato) fu quella di trovarsi nel posto giusto, al momento giusto e con in mano gli strumenti giusti. Il telescopio non era stato ancora inventato ma aveva potuto determinare con precisione la distanza della “nuova stella” del 1572 dalle stelle di Cassiopea per mezzo di un sestante di sua costruzione. Con sua grande sorpresa aveva pure rilevato che non mostrava alcuna parallasse diurna e cioè alcuno spostamento rispetto a quelle stesse stelle, del tipo che ci si aspetterebbe dalla rotazione della Terra per un corpo celeste non troppo lontano da essa. E dunque, l’unica conclusione a cui potè giungere fu che “questa nuova stella non si trova nelle regioni superiori del cielo appena sotto il globo lunare, né in alcun luogo più vicino alla Terra. . . ma di gran lunga al di sopra della sfera della Luna nei medesimi cieli.” Il colpo di grazia ai cieli immutabili di Aristotele lo portò la cometa del 1577. Anche questa non mostrava alcuna parallasse diurna, anche questa mostrava che vi poteva essere cambiamento oltre la Luna. Le osservazioni di Brahe erano incompatibili con le teorie ufficiali e così, con Brahe, i suoi strumenti di misura e le sue tecniche di calcolo (ereditate da Johannes Müller da Königsberg detto, per questo, il Regiomontano), l’astronomia diventò, di fatto, la prima scienza moderna.
La comunicazione della scienza
Sull’importanza dell’opera di Brahe sono tutti concordi: gli scienziati, gli storici della scienza, i sociologi persino. Ma per parlare di rivoluzione serve almeno un altro tassello: la presenza di una comunità di scienziati che lavorano agli stessi problemi usando gli stessi metodi e raggiungendo soluzioni condivise. L’invenzione della stampa a caratteri mobili ne stava accelerando la formazione. I matematici avevano iniziato da qualche anno e per motivi didattici: il primo manuale è infatti del 1557 (The Whetstone of Witte di Robert Recorde), l’anno in cui Maria I Tudor riconosce legalmente la Stationers’ Company, la corporazione degli scrittori e dei librai che regola la produzione e lo scambio dei testi. Sono sempre i matematici a inventare la rivendicazione di priorità, inimmaginabile senza la stampa. Il primo caso di rivendicazione di priorità, nella scienza, è proprio quello di Brahe.
La nuova cultura della scoperta porta dunque con sé anche competizione, che però ha bisogno di regole. I filosofi naturali, a metà del XVII secolo, si daranno così un’organizzazione fondando, sempre in Inghilterra, l’Invisible College (per merito dei due Robert, Boyle e Hooke) e poi la Royal Society. La seconda metà del Seicento è anche il periodo in cui appaiono i primi periodici scientifici. Nel 1666 Henry Oldenburg, il primo segretario della Royal Society, ispirandosi a Le Journal des Sçavans del parigino Denis de Sallo, fonda le Philosophical Transactions, quello che si può considerare il primo registro pubblico di contributi originali alla conoscenza. I tempi, perché la rivoluzione si compia, son maturi.
Conclusione
La storia della scienza, afferma Wootton, non è semplicemente una storia di successi e fallimenti, ma di come la scienza è progredita accumulando successi e imparando dai fallimenti. La scienza che abbiamo costruito non è la scienza che ci piace, il mondo non è quello che vogliamo e le nostre idee non sono l’unico limite al nostro agire. La via della scienza è quella lungo la quale si son messi a punto gli strumenti di calcolo e di misura, s’è sviluppata la pratica delle esperienze concrete e non solo il “nuovo modo di pensare”. È tutto questo, assieme allo sviluppo della stampa, alla possibilità di rendere pubblici i risultati della ricerca, di discuterli, testarli ed eventualmente confutarli, che ha cominciato a generare un nuovo tipo di conoscenza, ad alimentare quello che definiamo “sapere scientifico”.
Inventare la scienza è stato inevitabile, rivoluzionario forse, ma non è questo che importa veramente. La rivoluzione che piace a Wootton comincia con la supernova di Brahe e si compie con gli esperimenti di ottica di Newton, è la luce che illumina e colora la via e questa, a pensarci bene, è davvero una gran cosa.