D i alieni che invadono il Pianeta Terra ne è pieno il cinema, arrivano solitamente con una pioggia di meteoriti o a bordo di navicelle spaziali. Ma per parlare di alieni non dobbiamo andare lontano con la fantasia: possiamo già trovarli tra noi. Sono le specie di piante e animali non autoctone, che provengono da altri paesi o da altri continenti, che hanno valicato i confini del loro areale per mano dell’uomo: introdotte appositamente per essere coltivate o allevate, oppure importate per caso, trasportate nelle acque di zavorra o attaccate alla chiglia di una nave, nella stiva di un aereo o in una valigia. Sono tutte specie aliene – o alloctone, che dir si voglia.
Gli esseri umani hanno iniziato a trasportare piante e animali dall’alba dei tempi, ma nell’era della globalizzazione questo fenomeno è cresciuto al punto da diventare problematico. Negli ultimi 30 anni, in Europa il numero di “alieni” è cresciuto del 76% arrivando a quota 12.000 specie. In Italia è andata anche peggio: nello stesso arco di tempo, il numero di specie alloctone è cresciuto del 96% e oggi nella nostra penisola ne troviamo più di 3.000. Il nocciolo del problema, però, è che alcune di queste specie non sono rimaste confinate in un vivaio o in uno stabilimento di acquacultura: sono state rilasciate in natura per la pesca sportiva, per la caccia o da privati cittadini che volevano restituire la libertà all’animale acquistato. Fatto sta che nel cambio di paese, le specie aliene hanno trovato un clima accogliente e si sono lasciate alle spalle i loro predatori naturali, si sono ambientate, sono riuscite a sopravvivere, a riprodursi e a diffondersi: si sono stabilizzate. Secondo le stime più recenti, su 100 specie introdotte tra le 5 e le 15 riescono a stabilizzarsi con successo e, tra queste, almeno una può diventare “invasiva”. Possono essere portatrici di patogeni letali per le specie autoctone, o più banalmente possono alterare interi ecosistemi, sottrarre risorse trofiche o inserirsi nella catena alimentare come super predatori.
Per i loro effetti nefasti e la loro pericolosità le specie aliene invasive si sono guadagnate un acronimo, IAS, Invasive Alien Species, e oggi sono considerate la seconda principale minaccia per la biodiversità a livello mondiale (dopo la distruzione dell’habitat, che avviene per lo più a causa di attività umane). In particolare sulle isole, che hanno equilibri naturali delicatissimi, sono state il fattore chiave nel 54% dei casi di estinzione verificatisi fino a oggi.
Ne è un esempio il caso del serpente arboricolo marrone (Boiga irregularis), originario della Papua Nuova Guinea e arrivato sull’isola di Guam a metà del Novecento. Un’isola dove l’unico serpente fino a quel momento era l’Indotyphlops braminus: cieco e grande quanto un verme, che predava solo termiti e formiche. C’è voluto poco perché il Boiga iniziasse a divorare le uova di moltissimi uccelli nativi dell’isola, che mai prima d’allora avevano avuto a che fare con un “vero” serpente. Così, in soli 40 anni, il Boiga è stato l’artefice dell’estinzione di 12 specie di uccelli dall’isola di Guam, tra cui il pigliamosche di Guam (Myiagra freycineti), la colomba frugivora delle Marianne (Ptilinopus roseicapilla) e il rallo di Guam (Gallirallus owstoni), salvato poi in extremis da un programma di conservazione e allevamento in cattività.
Altre volte l’alieno invasivo è stato inizialmente introdotto a fin di bene. Come la lumaca lupo (Euglandina rosea), portata alle Hawaii negli anni ’50. Da lumaca carnivora, l’Euglandina avrebbe dovuto predare un’altra specie aliena: la lumaca africana gigante Achatina fulica, importata per scopi alimentari durante la guerra. Ma la lumaca lupo preferì un pasto più locale, diventando una ghiotta divoratrice delle chiocciole di terra native delle Hawaii. Oggi, delle oltre 750 specie endemiche delle Hawaii circa il 90% sono scomparse. Quelle che restano sono sull’orlo dell’estinzione e sono inserite nello Snail Extinction Prevention Program (SEP).
Costi
L’impatto delle IAS non si limita all’impoverimento della biodiversità. Alcuni di questi “invasori” sono diventati un serio problema anche nel bilancio economico globale, a causa dei danni provocati alle attività umane. Una delle specie più dannose è il giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes), proveniente dall’America meridionale e arrivato anche in Europa. Questa pianta, importata per scopi ornamentali, riesce a diffondersi molto rapidamente formando un tappeto vegetativo galleggiante e impenetrabile sulla superficie del corso d’acqua: così facendo non solo soffoca gli ecosistemi acquatici provocando la morte di gran parte della fauna fluviale, ma di fatto rende impraticabile sia la pesca che la navigazione. Oggi, la sua rimozione costa all’Europa circa 8 milioni di euro all’anno.
Altre IAS, invece, possono avere un forte impatto sui costi sanitari. Come l’Ambrosia artemisiifolia, una pianta nordamericana con forti potenzialità allergeniche. La grande quantità di polline prodotto da questa specie, può causare riniti e gravi crisi asmatiche ed è infatti una delle maggiori cause di pollinosi estiva. Allergia il cui costo sanitario in tutt’Europa ammonta a 7,4 milioni di euro all’anno.
Insomma le specie aliene invasive non sono solo un problema per biologi e conservazionisti, ma hanno anche pesanti ricadute sull’economia globale. E solo in Europa sono responsabili di perdite economiche per 30 miliardi di euro all’anno, secondo il bilancio dell’ultimo rapporto dell’Institute for European Environmental Policy (IEEP).
In Italia
L’Italia non è rimasta immune: ospita molte delle 100 specie invasive più dannose al mondo, presenti nella lista stilata dal Gruppo di studio sulle specie invasive dell’Iucn, l’ISSG. Tra queste l’invasore più noto è certamente lo scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis). Introdotto nel 1948 per il suo bell’aspetto e liberato poi in giardini e parchi pubblici. Da quel momento, però, non ha fatto che “bullizzare” il nostrano scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris). Lo scoiattolo grigio, più grosso di quello rosso e portatore di un virus letale, in poco tempo ha colonizzato Piemonte, Liguria, Lombardia e Umbria, riducendo all’osso le popolazioni di scoiattolo rosso. Ma quando negli anni Novanta si è iniziato a intervenire con progetti di eradicazione in Nord Italia, gli addetti ai lavori si sono trovati a dover fare i conti con le frange animaliste, che avevano ceduto al fascino del grigio.
In Umbria, invece, il progetto Life+ di eradicazione dello scoiattolo grigio U-Savereds, iniziato nel 2014, sta dando gli effetti sperati. “Siamo riusciti a rimuovere quasi tutti gli scoiattoli grigi nell’area di Perugia e oggi si vede tornare lo scoiattolo rosso”, racconta a il Tascabile Piero Genovesi, massimo esperto italiano di specie aliene invasive dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e a capo del progetto U-Savereds. “Spiegare il perché una specie, spesso molto bella e già presente sul territorio, diventa un problema e deve essere eradicata non è semplice. Soprattutto quando i danni arrecati non sono visibili per il comune cittadino, ci vogliono anni di lavoro, di corretta comunicazione e strumenti innovativi. Anche noi ci siamo scontrati con una forte opposizione, ma negli anni abbiamo visto un radicale cambiamento. Il ritorno, anche se lento, dello scoiattolo rosso a Perugia è la testimonianza dell’importanza di queste azioni e fortunatamente questi interventi, oggi, trovano una maggiore comprensione da parte della società. Ma, dobbiamo dirlo, questi sono i risultati di un impegno che va avanti da più di 20 anni”. Lo scoiattolo rosso della nostra penisola non è l’unico a soffrire la presenza del cugino americano. Nel Regno Unito va molto peggio: la popolazione di scoiattoli grigi arriva a oltre 3 milioni e mezzo di individui, mentre i rossi sono circa 250.000, confinati per lo più in Scozia. Intanto, per l’Europa, la gestione dello scoiattolo grigio costa più di un milione e mezzo di euro all’anno.
Un altro mammifero dall’impatto economico esorbitante è la nutria (Myocastor coypus), un massiccio roditore sudamericano dai dentoni arancio. Importata in Italia nel 1920 come animale da pelliccia, ha conquistato i corsi d’acqua e le zone lagunari di quasi tutt’Italia. Con la sua dieta erbivora crea spesso problemi ai coltivatori di riso e ha la brutta abitudine di scavare la tana negli argini di fossati e canali, indebolendoli, tanto che la sua condotta è ritenuta una delle concause dei fenomeni di esondazione che hanno impatti devastanti (per lei l’Europa arriva a spendere quasi 7 milioni di euro ogni anno).
Altro alieno famoso che ha invaso i corsi d’acqua dolce italiani è il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii). Arrivato da New Orleans perché utilizzato nell’acquacoltura, si è insediato a Torino alla fine degli anni Ottanta, poi ha conquistato la Toscana e si è meritato quasi subito la nomea di “gambero killer”. È infatti più grosso e prolifico dei gamberi di fiume nostrani, è portatore della peste del gambero, una malattia che attacca il carapace dei crostaci, ed è dotato di un’incredibile capacità di resistere ore fuori dall’acqua. Oltre a erodere la biodiversità delle acque dolci conquistate, il Procambarus provoca anche danni ambientali. Anche il gambero rosso della Louisiana è un ottimo scavatore e le sue gallerie sono così lunghe e numerose da provocare l’indebolimento degli argini con conseguenti crolli e allagamenti (per lui, l’Europa spende 2,2 milioni di euro all’anno).
Cosa si sta facendo
L’Italia è uno dei paesi europei con la più alta biodiversità, ma anche uno dei più vulnerabili alle invasioni di specie aliene. “Scoiattoli, gamberi, nutrie e procioni – gli ultimi arrivati – sono i più noti. Ma non sono i soli”, spiega a il Tascabile Genovesi. “Altre centinaia di specie invasive marine sono arrivate, e continuano ad arrivare, dal canale di Suez. Più di 1.000 piante e altrettanti invertebrati alloctoni sono giunti in Italia per mano dell’uomo. E grazie alla pluralità di climi e microclimi della nostra penisola, tutti hanno occupato una loro nicchia. Ma è importante capire su quali di queste specie aliene invasive è prioritario agire”.
Conoscere quali specie aliene sono presenti in un paese, quali di queste sono invasive e quali sono le new entry è un aspetto fondamentale del lavoro di chi si occupa di invasioni biologiche. Proprio per questo, nel segno della strategia europea per la biodiversità 2020, è nato il GRIIS: il Global Register of Introduced and Invasive Species. Un enorme catalogo che raccoglie le specie aliene presenti in 200 paesi del mondo, compilato dai maggiori esperti nazionali con il coordinamento di Genovesi e di Shyma Pagad dell’Università di Aukland. “A livello mondiale è essenziale avere un quadro di come evolvano le invasioni biologiche. E il dato più utile sono le liste a scala di paese, in continuo aggiornamento. La cosa più importante è avere il dato di presenza il prima possibile, perché l’invasione delle specie aliene è un fenomeno in rapida evoluzione”, spiega Genovesi.
Una parte del GRIIS è stata pubblicata da poco su Scientific Data e mette in evidenza come in soli 20 paesi vi siano oltre 11.000 specie aliene, di cui il 20% invasive e con un grosso impatto ambientale. “Proprio il costo economico di questo impatto è stato uno degli elementi che ha convinto il parlamento europeo a sviluppare un regolamento che individua le specie invasive più dannose: dal calabrone asiatico (Vespa velutina nigrithorax), alla testuggine palustre americana (Trachemys scripta), fino al pesce pseudorasbora (Pseudorasbora parva). Ci sono 49 alieni invasivi su cui è prioritario agire”, continua Genovesi.
Si spera così di arginare la diffusione delle specie aliene invasive e di mitigare il loro impatto sulla biodiversità, sulla salute dei cittadini e sull’economia. Ma la battaglia contro gli alieni si può vincere solo se si guardano entrambe le facce della medaglia. Da un lato bisogna contenere ed eradicare le popolazioni delle specie invasive già presenti sul territorio, dall’altro bisogna intervenire sui comportamenti umani, prevenendo l’introduzione di nuove specie alloctone e la loro diffusione. È questo lo scopo del progetto Life ASAP – Fermiamo le specie aliene invasive, coordinato sempre da Genovesi. “Le specie aliene vengono introdotte dall’uomo, intenzionalmente o accidentalmente. Perciò sono una minaccia strettamente legata ai nostri comportamenti. Bisogna incoraggiare comportamenti più responsabili nei vari settori commerciali, dalla vivaistica all’acquacoltura, scegliendo specie a basso rischio su cui puntare per il commercio. È necessario informare attività commerciali ed enti sul nuovo quadro regolativo, formare personale competente in enti come Arpa, Parchi e Riserve naturali. E infine bisogna educare i singoli cittadini, e questo lo stiamo facendo con una campagna di comunicazione rivolta a tutta la società italiana, dalle scuole ai diretti interessati: i viaggiatori in porti e aeroporti”, spiega Genovesi.
“Ci vuole più prevenzione”, continua. “Vanno spiegati i motivi, le ragioni più che valide per cui, per esempio, non bisogna acquistare né tantomeno liberare specie esotiche. I risultati degli incontri e della campagna di comunicazione per ora sono incoraggianti e positivi. Oggi riceviamo finalmente più apprezzamenti che critiche, c’è una maggiore attenzione al tema. Questa è la base da cui partire per affrontare l’invasione degli alieni”.