S iamo nel 1519, ma nessuno da questa parte del mondo calcola il tempo in questo modo. Immaginate un mercante azteco che si addentra nei fitti boschi, su per la Sierra Madre, e poi di nuovo verso la costa, alla ricerca delle piume del quetzal splendente: l’uccello sacro del Centro America. Le deve procurare all’imperatore per sfamare la sua famiglia. Scendendo un sentiero con il suo rozzo mantello di agave si imbatte in un essere impensabile e spaventoso che lo paralizza dal terrore. È una bestia altissima e per metà umana. Ha due teste: una grande e allungata, con pelo corto e lucido e l’altra di uomo, ma con la pelle bianca, la barba folta e gli occhi celesti. Il corpo sprigiona una forza impressionante ed è coperto da uno strano materiale grigio luccicante. Questa deve essere stata l’impressione di un uomo azteco nel vedere per la prima volta un cavaliere spagnolo a cavallo. Due civiltà cresciute separatamente per secoli si scontrano, e le loro diversità collidono fragorosamente.
In quel momento gli unici mammiferi di grossa taglia parzialmente addomesticabili dell’intero continente americano sono il lama e l’alpaca. Questi quadrupedi, confinati in una particolare zona del Sud America, possono rifornire di pelle, di lana e sono in grado di portare carichi, ma non possono essere montati, non sono una forza motrice, non trainano carri e per tutti questi motivi non vengono mai usati in battaglia. Nel 1519, per la prima volta, un azteco vede un uomo in sella a una bestia. I due si muovono in perfetta sintonia su un terreno sconnesso, come se fossero davvero un unico mostro a sei zampe. L’azteco inoltre non sa che quell’animale nuovo sarà la causa, di lì a breve, dello sterminio della sua civiltà e di tutte quelle che noi chiamiamo civiltà precolombiane.
Si narra che Hernán Cortés stesso avesse detto che: “Dopo Dio, dobbiamo la nostra vittoria ai cavalli”. Pochi anni dopo Francisco Pizarro penetra nell’Impero Inca con 62 cavalieri e 106 fanti, distruggendo un esercito di 80.000 uomini. In che modo questo animale fu così determinante nella conquista del Nuovo Mondo? Oltre alla velocità e alla potenza impareggiabili in guerra, i Sorraia e gli Andalusi trasportati nel lungo e difficile viaggio dai galeoni spagnoli furono, seppure non direttamente, responsabili di un altro fattore decisivo. Jared Diamond, nel libro Armi, acciaio e malattie, scrive che le popolose società dell’Eurasia, vivendo a stretto contatto con gli animali domestici da 10.000 anni, vennero colpite da un numero elevatissimo di epidemie, sviluppando allo stesso tempo una resistenza inedita ai microbi. Al contrario, nelle Americhe, gli animali domestici erano pochi, l’agricoltura e gli insediamenti stabili si svilupparono in ritardo, le civiltà erano meno popolose e isolate tra loro, di conseguenza gli uomini avevano contratto meno malattie ed erano molto più deboli a livello di anticorpi. In questo modo un cavaliere spagnolo diventava di per sé un’arma batteriologica dall’efficienza militare devastante.
Questa storia però riserva un ulteriore colpo di scena perché i resti del più antico equide attualmente conosciuto sono stati ritrovati nel Wyoming e risalgono a 56 milioni di anni fa. Il cavallo, dunque, nasce in America. Questo equino ancestrale aveva le dimensioni di un gatto, per disperdere più velocemente il calore che caratterizzava le foreste torride dell’Eocene. Nel corso dei tempi geologici la sua conformazione e la sua natura sono cambiate in modo continuo e consistente, dando vita a numerose sottospecie che stese su un grafico apparirebbero come un complesso cespuglio di linee evolutive. Ci vogliono almeno 40 milioni di anni per vedere un erbivoro con il corpo e le zampe allungate, adatto a correre nelle praterie. Poi nel Pleistocene, con l’arrivo dell’era glaciale, il destino di questi antichi cavalli prende una direzione inaspettata. L’abbassamento verticale delle temperature è una delle principali cause dell’estinzione di gran parte degli animali di grosse dimensioni che popolano il pianeta in quel momento. L’incedere implacabile dei ghiacci spinge questa specie a una migrazione di massa; da una parte verso sud, attraverso l’istmo di Panama e dall’altra a nord-ovest, attraverso lo stretto di Bering che in quel momento è un braccio di terra che unisce l’Alaska con la Siberia.
Ma l’era glaciale non è l’unica causa dell’estinzione dei cavalli nel continente americano. Undici mila anni fa quel quadrupede deve aver visto avvicinarsi un animale curioso, il primo coperto da una pelle non sua, con un bastone legato a una punta di selce stretto tra le mani, un animale con un nuovo modo di cacciare, estremamente sofisticato, che pianifica i suoi attacchi con un’efficacia stupefacente: insegue le bestie a distanza, attaccandole con armi da lancio quando provano a riposarsi o a nutrirsi e le abbatte quando sono ormai sfinite e inermi. L’arrivo di Homo sapiens coincide con la scomparsa di molti animali e anche per causa sua nelle Americhe non esistono più cavalli per la prima volta dopo più di 50 milioni di anni.
Intanto gli esemplari usciti dal continente si riversano in Asia, in Africa e in Europa, diventando nei secoli il cavallo che conosciamo oggi, l’asino e la zebra. Quest’ultima non è mai stata addomesticata, mentre i primi due entrano nel dominio umano circa nel 4000 a.C. Quando oltre 5.000 anni più tardi vengono trasportati per conquistare il Nuovo Mondo, sono parte integrante della nostra cultura e compagni preziosi per ogni nostra attività. Nel corso del Cinquecento molti stalloni e giumente scappano dai recinti, vengono perduti durante le battute esplorative o nel corso di assalti e guerre, formando nuove mandrie selvatiche, adattandosi facilmente alle praterie Americane. In Sud America per molto tempo è vietato l’uso dei cavalli agli indigeni, tanto si è consapevoli del valore profondo di queste bestie nel predominio militare. Ma la diffusione nel continente è ormai incontrollabile e totale. Molte culture, come quella dei Navajo, riscrivono la mitologia per inserire questo animale nella loro narrazione fondativa. Si dice che in seguito all’incendio di Buenos Aires, alla metà del Cinquecento, centinaia di cavalli andalusi, berberi e arabi si siano riversati nelle pampas tra Argentina, Uruguay e sud del Brasile, iniziando una nuova epica di quei paesi con la figura del gaucho. Oggi solo negli Stati Uniti ci sono circa 75.000 mustang: i cavalli selvaggi che tutto il mondo identifica con il Far West e con la narrazione della frontiera e della libertà su cui si fondano gli USA.
Questa specie fa il giro del mondo e nel corso di milioni di anni stravolge la vita dell’uomo, ne piega l’immaginazione, ne indirizza l’avanzamento tecnologico, gli spostamenti e i lunghi viaggi commerciali, il massimo sfruttamento dell’agricoltura e della ruota. Probabilmente se i cavalli non avessero mai lasciato l’America saremmo stati noi ad avvistare all’orizzonte una flotta di galeoni aztechi e inca e la storia sarebbe andata in modo diverso.