I l mio “period tracker”, una delle molte app per il tracciamento del ciclo mestruale, interagisce con me tramite un bot che usa una finta chat a sfondo rosa per costringermi a subire un monologo a cui posso rispondere soltanto con una serie di reazioni preimpostate. “Cosa desiderano di più le donne durante le mestruazioni?”, mi chiede il mio Assistente Sanitario Personalizzato in occasione del mio primo giorno di ciclo. “Cosa?”, gli rispondo, non avendo altra scelta. Il bot mi invia un’infografica a torta. Su metà della torta si legge: “che siano già FINITE”. L’altra metà si divide in tante fettine colorate: “abbracci”, “riposare”, “guardare Netflix”, “scarpe nuove” e “cioccolata”. Dato che il crollo dei miei livelli di estrogeno non affina il mio senso dell’umorismo, mi chiedo se si tratti di dati biometrici sottratti ad altre utenti che, come me, non leggono mai l’informativa sulla privacy, o se l’Assistente Sanitario Personalizzato stia solo cercando di scherzare. In ogni caso, non potendo rispondere “è una battuta del cazzo”, scrivo soltanto “:)”.
Nel 2016, l’imprenditrice danese Ida Tin ha coniato il termine femtech per definire la categoria di tecnologie digitali emergenti finalizzate al monitoraggio della “salute delle donne” che, senza troppe sottigliezze, viene fatta coincidere con la loro salute riproduttiva. “Health”, la prima app di tracciamento della salute lanciata da Apple nel 2014, nasceva con la promessa di tracciare ogni aspetto della salute dei suoi utenti, ma non includeva una funzione per il tracciamento del ciclo mestruale. La nascita dei period tracker è stata almeno in parte spinta dalla necessità di colmare un vuoto nell’accesso delle donne alle nuove tecnologie per il monitoraggio della salute. Tin è la CEO di Clue, l’azienda che ha sviluppato una delle app di period tracking più diffuse e maggiormente apprezzate dalle millennial, soprattutto per la sua politica di trasparenza rispetto al trattamento dei dati personali. Clue comunica con le sue utenti attraverso un’interfaccia minimalista, bianca e rossa, che contrasta con l’estetica iper-femminile, quasi infantilizzante, che prevale tra le app concorrenti. Quando in un’intervista le viene chiesto il motivo che l’ha spinta a sviluppare la sua app, Tin confessa che l’esperienza diretta degli effetti collaterali della pillola anticoncezionale l’ha motivata a immaginare un’alternativa. “Ho avuto l’impressione che le persone volessero meno chimica nelle loro vite”. I period tracker, in effetti, sono soltanto l’ultimo esempio tra le tecnologie che hanno visto la luce con la promessa di concedere alle donne una maggiore autonomia riproduttiva.
La prima pillola anticoncezionale fu approvata negli Stati Uniti nel 1960; oggi, l’Organizzazione mondiale della sanità stima che la pillola sia utilizzata da più di cento milioni di donne nel mondo.
La prima pillola anticoncezionale fu approvata negli Stati Uniti nel 1960; oggi, l’Organizzazione mondiale della sanità stima che la pillola sia utilizzata da più di cento milioni di donne nel mondo. Anche se esistono diverse tipologie di contraccettivi ormonali, tutti agiscono intervenendo sul meccanismo di regolazione del rilascio degli ormoni che coinvolge l’ipotalamo, l’ipofisi e le ovaie. L’estrogeno e il progesterone sono prodotti nelle ovaie rispettivamente dal follicolo – che contiene l’ovulo maturo – e dal corpo luteo, che si forma dopo la rottura del follicolo a seguito del rilascio dell’ovulo. I livelli di questi ormoni sono continuamente monitorati e regolati attraverso l’attività dell’ipofisi, che stimola la maturazione e il rilascio degli ovuli. La pillola, introducendo una dose quotidiana di estrogeno e progesterone sintetici, chimicamente simili ma non identici agli ormoni endogeni, blocca l’attività dell’ipofisi, che di conseguenza “congela” il processo di ovulazione. La pillola anticoncezionale è uno dei dispositivi farmacologici più pervasivi e complessi, le cui implicazioni – mediche, psicologiche, sociali, politiche – la rendono una delle tecnologie molecolari più significative del mondo contemporaneo.
Pillola, femminismo e corpi
Seguendo le sue traiettorie che attraversano la scienza e la società, mi sono convinta che la contraccezione ormonale sia per la teoria femminista quello che le sostanze psicoattive sono per alcune branche della filosofia della mente. La fascinazione per gli psichedelici nutrita in quegli ambienti si origina dalla loro capacità di illuminare un territorio di confine: come agenti molecolari capaci di alterare l’esperienza della soggettività e del mondo, trasportano il problema mente/corpo dalla cattedra di filosofia allo spazio del laboratorio, aprendolo alla possibilità di un’indagine sperimentale. In modo analogo, da una prospettiva strettamente speculativa, la pillola può essere allora immaginata come una sonda invisibile inviata a tastare l’interfaccia sottile tra i corpi biologici e le loro identità culturali.
L’imprenditrice danese Ida Tin ha coniato il termine femtech per definire la categoria di tecnologie digitali emergenti finalizzate al monitoraggio della “salute delle donne” che, senza troppe sottigliezze, viene fatta coincidere con la loro salute riproduttiva.
La pillola pone infatti domande fondamentali per il femminismo contemporaneo: in che modo la soggettività femminile è legata alla funzione riproduttiva? Come cambia l’esperienza individuale e sociale dell’essere donna quando la biologia del corpo femminile viene trasformata? In che modo i nuovi significati sociali associati alla femminilità possono essere trascritti tecnologicamente nel corpo biologico?
Non si tratta, tuttavia, di una conversazione semplice. Questo perché la pillola, come qualsiasi tecnologia che agisca su e attraverso i corpi reali delle donne, è carica di significati personali e politici che rischiano di rendere qualsiasi discussione teorica essenzialmente futile. Quando ho cominciato ad assumere la pillola anticoncezionale avevo diciassette anni; com’è accaduto a moltissime altre donne della mia generazione, nessuno mi ha spiegato né come funzionasse, né quali fossero le mie alternative. Da pochi mesi avevo iniziato la mia prima relazione con un ragazzo con cui avevo regolarmente rapporti sessuali. Avevo anche iniziato soffrire di irregolarità nel mio ciclo mestruale a causa di una drastica perdita di peso: una metamorfosi che mi ero autoimposta per adeguarmi alle pressioni che l’ambiente sociale misogino in cui vivevo esercitava sul mio corpo.
In questo contesto, la pillola anticoncezionale, eliminando il rischio di gravidanze indesiderate e riportando il mio corpo al suo stato apparente di “normale funzionamento”, agiva come sostituto tecnologico coercitivo alla necessità di un’educazione alla sessualità consensuale e sicura, e interveniva per fornirmi un senso artificiale di stabilità emotiva risparmiando a me e alle persone che avevo attorno il disturbo di interrogarsi sulle origini sistemiche delle difficoltà che stavo vivendo. La pillola, per me, non era tanto uno strumento di emancipazione riproduttiva, quanto un dispositivo che agiva attraverso di me negando la mia autonomia e mistificando ulteriormente le mie convinzioni confuse sull’effetto che “gli ormoni” – che percepivo come forze invisibili dai poteri occulti – esercitavano sulla mia esperienza privata e pubblica della mia identità di donna.
Come qualsiasi tecnologia che agisca su e attraverso i corpi reali delle donne, la pillola è carica di significati personali e politici che rischiano di rendere qualsiasi discussione teorica essenzialmente futile.
Rispetto alle conseguenze della contraccezione ormonale sulla salute delle donne si è sviluppata, negli ultimi anni, una sempre maggiore consapevolezza. Tra i numerosi effetti avversi, il rischio aumentato di alcune tipologie di cancro e la maggiore probabilità di trombosi sono sicuramente i più discussi, anche se gli studi clinici in questo ambito sono ancora gravemente carenti. Uno degli aspetti meno considerati, e tuttavia più disturbanti, dell’utilizzo della pillola anticoncezionale è legato a quelli che si potrebbero definire i suoi effetti psicoattivi. Il saggio This is your brain on birth control, pubblicato dalla psicologa Sarah Hill nel 2019, contiene un’analisi dettagliata e sconcertante dell’impatto della contraccezione ormonale sulla psicologia e sul comportamento delle donne alla luce dei risultati di diversi studi, molti dei quali condotti nel centro di ricerca della stessa autrice. Le evidenze cliniche descritte nel saggio sono moltissime, ma possono essere classificate in due categorie: l’impatto della pillola sulla sfera sessuale e il suo effetto sull’esperienza della realtà nel suo complesso.
Contro la pillola
Non soltanto la contraccezione ormonale ha un impatto negativo sul desiderio delle donne, riducendo la quantità e qualità dell’attività sessuale. Secondo gli studi presentati da Hill nel suo saggio, la pillola agirebbe direttamente sul processo di selezione dei partner, spingendo le donne a favorire uomini con caratteristiche fisiche e psicologiche associate a una “minore mascolinità”. In uno studio presentato dall’autrice, è stato chiesto ad un gruppo di donne di ricreare il prototipo del volto maschile ideale attraverso un software di editing fotografico progettato per modificare alcune specifiche caratteristiche fisionomiche, come la prominenza degli zigomi e della mascella, che tipicamente variano in base a diversi livelli di ormoni sessuali. Le stesse donne sono state convocate a ripetere l’esperimento dopo che la metà di loro aveva iniziato ad assumere la pillola contraccettiva, mostrando una netta preferenza delle donne sotto l’effetto della pillola nei confronti di volti meno “maschili”, cioè associati a più bassi livelli di testosterone. Allo stesso modo, le donne che selezionano i loro partner sotto l’influenza degli ormoni sintetici sembrano essere esposte a un maggiore rischio di insoddisfazione relazionale nel momento in cui decidono di interromperne l’utilizzo, un dato che, secondo l’autrice, avrebbe a che fare con “il fatto che la versione di una donna con la pillola e la versione della stessa donna senza la pillola potrebbero voler fare sesso con diverse tipologie di persone”.
Sarah Hill ha pubblicato un’analisi dettagliata e sconcertante dell’impatto della contraccezione ormonale sulla psicologia e sul comportamento delle donne alla luce dei risultati di diversi studi, molti dei quali condotti nel centro di ricerca della stessa autrice.
L’impatto della pillola sulla psicologia delle donne, però, non sarebbe limitato alla selezione dei partner sessuali. Uno degli effetti più strani e allarmanti ripetutamente osservati nelle donne che fanno uso di contraccettivi ormonali è l’alterazione della tipica risposta fisiologica allo stress. Se normalmente l’organismo reagisce allo stress aumentando i livelli di cortisolo nel sangue, nelle donne che prendono la pillola il picco di cortisolo è fortemente ridotto, segnalando un malfunzionamento della capacità dell’organismo di reagire agli stimoli, siano essi negativi o positivi, della realtà circostante. Secondo gli studi di Hill, questa alterazione della risposta allo stress potrebbe avere gravi conseguenze sulla capacità delle donne sotto l’influenza dei contraccettivi ormonali di processare informazioni emotive, perché “uno dei compiti del cortisolo è quello di trasferire eventi emotivamente significativi dalla nostra memoria a breve termine a quella a lungo termine”. “La riduzione della capacità di esperire cambiamenti dinamici nel rilascio di cortisolo in risposta allo stress”, sostiene Hill, “potrebbe dunque diminuire la capacità delle donne di affrontare le difficoltà, di apprendere e di adattarsi ai loro ambienti”.
Per quanto l’impatto dei risultati di Hill sia incontestabile, il suo approccio è senz’altro vulnerabile ad accuse di riduzionismo. Valutare l’affidabilità di studi clinici che analizzano i cambiamenti nel comportamento delle donne causati dalla contraccezione ormonale, infatti, è particolarmente complicato: soprattutto quando si tratta di fenomeni emotivamente e culturalmente complessi come la scelta dei partner sessuali e romantici, risulta difficile separare i fattori strettamente biochimici dai condizionamenti sociali. Diversi scienziati hanno contestato l’approccio metodologico degli esperimenti presentati da Hill; alcuni studi successivi hanno smentito la correlazione tra la scelta dei partner e l’utilizzo della pillola contraccettiva. Ma, al netto delle dispute accademiche, la mole di evidenze scientifiche accumulate negli anni attorno all’impatto della pillola sulla mente delle donne è difficile da trascurare, soprattutto perché è sostenuta dall’esperienza aneddotica di un enorme numero di persone. Che si tratti di biochimica o di suggestione culturale, di intossicazione ormonale o di “effetto nocebo”, l’impatto dell’uso della pillola sulla costruzione della femminilità contemporanea non può più essere ignorato del tutto.
Cattive femministe
Diversamente da quanto ci si possa aspettare da un best seller di pop science, il libro di Hill ha come premessa quello che non esiterei a definire un postulato filosofico sulla natura della soggettività. Il quadro teorico in cui Hill si muove è quello, non poco controverso, della psicologia evoluzionistica, secondo cui ogni comportamento dell’essere umano deve essere interpretato alla luce dei principi dell’evoluzione darwiniana. Non a caso, Hill è particolarmente interessata a riflettere sugli effetti che la biologia riproduttiva, la spinta primaria al cuore della selezione naturale, esercita sulla mente e sul comportamento delle donne.
Che si tratti di biochimica o di suggestione culturale, di intossicazione ormonale o di “effetto nocebo”, l’impatto dell’uso della pillola sulla costruzione della femminilità contemporanea non può più essere ignorato del tutto.
Nel primo capitolo del libro, intitolato “Tu sei i tuoi ormoni”, l’autrice sostiene che gli equilibri ormonali sono una componente fondamentale di ciò che rende una persona sé stessa. “La versione di te stessa che il tuo cervello sta creando in questo momento è diversa dalla versione di te stessa che sarebbe creata in presenza di un diverso set di ormoni sessuali”. “Perché dovresti essere OK con tutto questo come femminista?” si chiede Hill all’inizio del suo saggio. “La prospettiva delle donne come costruzione culturale descrive le donne come ricettacoli passivi di ruoli sociali imposti su di noi dagli uomini”, sostiene l’autrice. “La prospettiva biologica evoluzionistica descrive le donne come le beneficiarie di milioni di anni di saggezza ereditata dalle nostre antenate”.
Se l’affermazione del ruolo della biologia nella definizione della femminilità ci renda delle “cattive femministe” non è una domanda nuova, ma è senza dubbio una domanda ancora molto urgente. La prospettiva “essenzialista” di Hill corre il rischio di appiattire le sottigliezze della costruzione sociale e culturale del genere sotto il carrarmato del determinismo biologico. Ma è altrettanto vero che un quadro teorico incapace di tenere conto del corpo sessuato nella sua differenza materiale rende impossibile qualsiasi discussione critica sulle conseguenze, oppressive o emancipative, delle vecchie e nuove tecnologie riproduttive.
Nel 1970, la teorica e attivista Shulamith Firestone aveva solo 25 anni quando pubblicò La dialettica dei sessi, un saggio incendiario destinato a lasciare un’impronta indelebile sulla seconda ondata del pensiero femminista. Nel suo saggio, Firestone contesta l’idea che l’oppressione femminile sia il risultato di condizionamenti sociali e culturali, affermando invece che il lavoro riproduttivo di cui le donne devono farsi carico a partire dalla gravidanza è un’asimmetria intrinseca della natura umana. Riconoscere il fondamento naturale di questa disuguaglianza, tuttavia, non significa rassegnarsi a doverla subire per sempre. Secondo Firestone, “un valore naturale non è necessariamente un valore umano”: la possibilità di trasfigurare la biologia attraverso l’eliminazione tecnologica della differenza sessuale sarà la chiave della rivoluzione femminista che verrà.
L’ambivalenza del rapporto del pensiero femminista con la tecnologia è oggi catalizzata in modo particolare dalla pillola anticoncezionale che evidenzia la criticità di qualsiasi intervento tecnologico che non sia sostenuto da una profonda presa di coscienza politica delle sue conseguenze.
La dialettica dei sessi è stato contestato soprattutto per la sua proposta, fantascientifica e secondo alcuni critici del tutto distopica, di un futuro in cui il lavoro riproduttivo, al pari di quello produttivo, sarebbe stato interamente automatizzato attraverso la tecnologia. In effetti, Firestone è ricordata come una delle poche teoriche femministe del suo tempo ad aver descritto la tecnologia non soltanto come uno strumento patriarcale oppressivo, ma anche come una forza emancipativa fondamentale nella lotta per la liberazione delle donne.
L’ambivalenza del rapporto del pensiero femminista con la tecnologia è oggi catalizzata in modo particolare dalla pillola anticoncezionale che, se da una parte rende possibile un accesso diffuso e immediato al controllo della fertilità da parte delle donne, d’altra parte evidenzia la criticità di qualsiasi intervento tecnologico che non sia sostenuto da una profonda presa di coscienza politica delle sue conseguenze. Il problema delle tecnologie riproduttive non è tanto la loro capacità di trasformare le menti e i corpi delle persone che le utilizzano, quanto la possibilità di costruire una consapevolezza aperta e diffusa della natura e dei significati di queste trasformazioni.
Emotività e marketing
La preoccupazione per l’impatto della pillola sulla mia salute fisica e psicologica mi ha spinta, qualche anno fa, a interromperne definitivamente l’utilizzo. Come me, molte donne della mia generazione hanno sviluppato una comprensibile diffidenza nei confronti della contraccezione ormonale, orientandosi su metodi contraccettivi alternativi. L’attrattiva di un ritorno a una gestione più “naturale” della fertilità femminile ha attivamente contribuito alla nascita del femtech come uno tra i settori tecnologici più promettenti del momento, tanto che, nel 2021, gli investimenti nelle app di period tracking hanno sfiorato i due miliardi di dollari.
Al di là del pinkwashing e delle facili retoriche di empowerment, il motivo per cui le app di period tracking hanno attratto investimenti così massicci è legato alla possibilità di raccogliere dati preziosi sulla correlazione tra le fasi del ciclo di ovulazione, lo stile di vita e le abitudini di consumo delle utenti. Secondo un’inchiesta recentemente diffusa dal Guardian, gli algoritmi di marketing potrebbero sfruttare i cambiamenti nel profilo ormonale delle utenti nel corso del ciclo per pubblicizzare in modo più efficace diverse tipologie di prodotti. Così, durante l’ovulazione alle utenti potrebbero essere proposti articoli orientati ad aumentare la competitività con le altre donne, come cosmetici e lingerie, mentre nella fase premestruale le inserzioni pubblicitarie si concentrerebbero su prodotti legati alla gestione domestica. La stessa Clue, che dichiara di raccogliere i dati personali soltanto in forma anonima e per scopi di ricerca scientifica, ha recentemente intrapreso una partnership con L’Oréal “per approfondire la relazione tra la salute della pelle e il ciclo mestruale”, con l’obiettivo di “sviluppare le migliori routine di skincare personalizzata per le consumatrici”, come si legge in un comunicato stampa della stessa multinazionale di cosmetici.
La popolarità della pillola si è innestata sul bisogno legittimo delle donne di riappropriarsi della propria autonomia riproduttiva, che, però, è stata concessa soltanto al prezzo di un trattamento farmacologico invasivo, carico di conseguenze fisiche e psicologiche ancora in larga misura imprevedibili. Allo stesso modo, il femtech sfrutta il desiderio di un “ritorno alla natura” per instaurare una forma di controllo tecnologico più sottile, ma non meno pervasivo di quello instaurato dalla contraccezione ormonale.
Il cosiddetto femtech sfrutta il desiderio di un “ritorno alla natura” per instaurare una forma di controllo tecnologico più sottile, ma non meno pervasivo di quello instaurato dalla contraccezione ormonale.
Costruendo la finzione di un “confidente digitale”, infiocchettato con interfacce colorate, vignette divertenti e dinamiche da videogame, il period tracker non si limita a raccogliere dati biometrici, ma interviene direttamente per regolamentare gli aspetti più intimi della vita privata delle donne: dalla sessualità all’alimentazione, dalla cosmetica all’abbigliamento. Molti period tracker fanno leva sull’emotività delle utenti per estorcere informazioni, approfittando delle loro insicurezze e paure per fare breccia nelle loro vite quotidiane. In questo contesto, le aspettative culturali sui corpi femminili, i loro equilibri ormonali e le nuove strategie di marketing digitale intessono una rete di sorveglianza biotecnologica che ha ben poco a che fare con una riappropriazione consapevole del controllo della fertilità da parte delle donne.
L’ultimo capitolo de La dialettica dei sessi si intitola soltanto “Alternative”. Shulamith Firestone era profondamente consapevole dei pericoli di una gestione tecnologica della fertilità in una società in cui lo sviluppo di nuove tecnologie è sottomesso alle logiche del capitalismo patriarcale. Proprio per questo motivo, il futuro che Firestone immaginava non era limitato agli uteri meccanici per cui è stata così ferocemente criticata. Dal suo punto di vista, il progresso delle tecnologie riproduttive sarebbe stato davvero femminista soltanto se si fosse accompagnato a un radicale cambiamento nell’organizzazione sociale ed economica della società nel suo complesso.
“Parliamo delle tue emozioni”, mi scrive in chat l’Assistente Sanitario Personalizzato. “A causa delle oscillazioni ormonali, il tuo umore può essere imprevedibile. L’ansia è orientata verso il futuro: rimani nel presente. Come puoi gestire al meglio il tuo appetito? Non tenere in casa merendine pronte da mangiare. Integra la tua dieta con banane. Scegli prodotti per il trucco con una consistenza leggera. Impacchi freddi sulla testa, Yoga, Tai Chi e agopuntura. Un consiglio: respira profondamente. Sii sicura di te stessa ogni giorno. Sei troppo FORTE!”