A aron Traywick è morto il 29 aprile 2018 mentre si trovava in una vasca di deprivazione sensoriale in una spa di Washington D.C. Quando il responsabile del centro ha trovato il corpo, la porta della stanza era aperta, la luce spenta, la vasca senza acqua. L’autopsia ha provato la presenza di ketamina nel suo sangue. Secondo Bloomberg News, Traywick sarebbe annegato accidentalmente.
Qualche mese prima, il 4 febbraio a Austin, in Texas, si sta svolgendo BioHacking Con, la conferenza più importante per chi si occupa di Do It Yourself Biology e Do It Yourself Genetic Engineering: biologia e ingegneria genetica fai da te. Partecipano hacker da tutto il mondo e si discute dei principali temi del movimento: inserimento di microchip sottopelle, trasformazioni estetiche del corpo, ricerca farmaceutica open source. Traywick ha 28 anni, non ha una formazione in medicina o biologia, ed è uno degli eroi del gruppo. Nel corso di una conferenza-esperimento della sua startup, Ascendance Biomedical, Traywick si toglie i pantaloni e si inietta nel muscolo della gamba un trattamento sperimentale contro il virus dell’herpes. La sua performance è in diretta su Facebook Live e in pochi minuti è ovunque, tanto che poche ore dopo, la Food and Drug Administration, l’agenzia federale americana che si occupa di sicurezza di cibo e farmaci, pubblica una nota sulla pericolosità della dimostrazione. La FDA non cita l’hacker e la sua startup, ma è chiaro a chi fa riferimento. “La vendita di questi prodotti è una violazione della legge. L’FDA è preoccupata per la loro sicurezza e per i rischi connessi”.
Nei giorni successivi succede quello che Traywick voleva che accadesse. All’improvviso tutto il mondo parla di biohacking, concentrandosi soprattutto sugli obiettivi di una parte del movimento: democratizzare le terapie geniche, togliendo il monopolio alle case farmaceutiche, ostacolo nel cammino dell’umanità verso il prolungamento della vita e, un giorno, dell’immortalità. L’hacker americano è (come molti altri all’interno della comunità) un convinto sostenitore del transumanesimo, della possibilità di diventare eterni grazie alla tecnologia. La posizione di Traywick è riassunta in una intervista rilasciata alla MIT Technology Review pochi giorni dopo l’esperimento. “Queste terapie che stiamo sviluppando hanno il potenziale di permettere alle persone, senza la presenza di un medico e senza l’industria farmaceutica e sanitaria, di creare e somministrarsi i trattamenti. Per me la terapia genica è un atto politico”.
È difficile dare una definizione univoca del movimento, ma ci sono dei tratti comuni: l’interesse per la sperimentazione medica dal basso e la disintermediazione, l’utilizzo di spazi condivisi, l’etica open source.
La sperimentazione medica DIY sul proprio corpo è un tema molto dibattuto e molti ricercatori ed esperti sostengono che non ci sia alcun elemento per provare l’efficacia di questi trattamenti, che rappresenterebbero solo un enorme rischio per la salute. Ma non sono solo gli scienziati mainstream ad avere dubbi sulle attività di Ascendance e delle altre startup del genere. Diversi biohacker, nei giorni successivi all’esperimento, hanno definito le posizioni di Traywick “pericolose per l’intero movimento”. “Ha fatto apparire la comunità di biohacker come un gruppo di idioti truffatori”, ha scritto in un post su Facebook il biologo Josiah Zayner, fondatore di The ODIN, un altro piccolo laboratorio indipendente di ricerca che si occupa di editing genetico CRISPR. “Non ci sono dubbi che è possibile che alla fine qualcuno si faccia male”.
Volti di una rivoluzione ibrida
I primi gruppi di biohacker sono nati alla fine degli anni Ottanta, applicando l’etica hacker alla biologia e ispirandosi al processo che ha portato in informatica alla creazione del personal computer: avvicinare questa disciplina alle persone, diminuendo l’intermediazione, abbassando i costi e semplificando i processi. I biopirati avevano poi uno stretto rapporto con la cultura cyberpunk. Una parte importante del movimento ha infatti ancora un forte interesse per la trasformazione del corpo, sia per scopi scientifici che dal punto di vista puramente estetico (basti pensare alla sottocultura grinder che prevede l’impianto di microchip, magneti, ma anche corni, squame e altri elementi). È difficile riuscire a dare una definizione univoca del movimento, che è sterminato e diviso in decine di sottogruppi che spesso hanno idee totalmente opposte. Ci sono però dei tratti comuni: l’interesse per la sperimentazione medica dal basso e più in generale per la disintermediazione; l’utilizzo di spazi condivisi, a volte occupati; la scelta di restare completamente fuori dai circuiti di ricerca tradizionali e dalle università; l’etica open source che prevede una distribuzione su internet, a volte gratuita delle scoperte.
Attorno alla metà degli anni Zero la popolarità della genetica DIY aumenta, insieme al numero di persone che decidono di sperimentare nuove soluzioni: un articolo dell’edizione americana di Wired firmato da Rob Carlson ne parla in termini entusiastici. “È iniziata l’epoca della biologia in garage. Volete partecipare? Prendete un momento per comprare un laboratorio su eBay”. Per costruire un piccolo laboratorio e iniziare a sperimentare la manipolazione del DNA bastano 1.000 dollari. Ma “non è un processo semplice”, la scienza dopotutto “prevede che si facciano cose che nessuno ha mai fatto prima”. Per capire meglio il movimento e gli enormi contrasti etici che lo caratterizzano è interessante partire dalle storie di alcuni biohacker: Josiah Zayner è un biofisico molecolare, fondatore di The ODIN. Il suo obiettivo è la democratizzazione della scienza. “Sono un sostenitore della deregolamentazione perché credo nell’intrinseca virtù del capitalismo. Le cose non progrediscono se le persone non fanno cose utili con esse”, ha detto Zayner in una intervista al magazine libertario Reason. Nel 2016 per curare una malattia gastrointestinale ha cercato di eliminare tutti i suoi batteri, ricreando nuove colonie a partire da un donatore, da cui ha ricevuto batteri fecali, della pelle e della saliva: per condurre l’esperimento sul proprio corpo ha messo a rischio la sua vita, ma alla fine sostiene di essere riuscito a eliminare il disturbo. L’intero processo è stato raccontato in un documentario, Gut Hack, pubblicato dal New York Times.
Serge Faguet è invece un figlio della Silicon Valley: è un milionario di 32 anni che ha già speso più di 200.000 dollari per trasformare il corpo per poter vivere in eterno, e in futuro esplorare lo spazio. Ha raccontato la sua scelta in due lunghi post pubblicati nel 2018 su Medium, in cui spiega perché prendere pillole, farsi iniezioni, pensare di sostituire alcune parti del proprio corpo, sia fondamentale per diventare immortali. Nel secondo post parla soprattutto di meditazione, sonno, droghe e sesso (che fa quasi solo con modelle, a pagamento, per sprecare il minor tempo possibile). Faguet sostiene che seguire questi principi gli abbia cambiato la vita: ha perso peso, è più attivo e sicuro di sé. È un extreme biohacker e prevede di diventare presto un postumano, più intelligente, sano, rispetto al resto dell’umanità: “Mi sento più felice, calmo, energico, stabile, sicuro, focalizzato. E intelligente, se pensi all’intelligenza come l’abilità applicata di risolvere problemi complessi”.
Ellen Jorgensen rappresenta un mondo agli antipodi rispetto a quello di Traywick e di Faguet. Ha spiegato le sue posizioni in un TED Talk nel 2014. Ha una laurea in biologia e insieme a un gruppo di hobbysti, scienziati, imprenditori e artisti nel 2009 a Brooklyn ha fondato Genspace, un luogo in cui discutere di scienza condivisa che ha un forte contatto con la comunità, con le scuole e con le università, una scelta molto distante dall’approccio di altri biohacker che preferiscono stare lontani dai centri di ricerca tradizionali. Jorgensen è anche la fondatrice di Biotech Without Borders, una non profit che punta a “democratizzare le biotecnologie” e prende finanziamenti da Goldman Sachs Gives, il fondo di beneficenza della banca d’affari.
Mainstream
Sembra che in Italia non stia succedendo molto. Cercando “Biohacker” e “Italia” sui motori di ricerca, uno dei primi risultati è il sito del gruppo Biohackers Italia che a sua volta rimanda a una pagina Instagram. Si occupa principalmente di promuovere diete paleo, barrette energetiche, e soprattutto prodotti Bulletproof, un’azienda americana di integratori alimentari fondata da Dave Asprey, biohacker che prevede di arrivare a 180 anni e per questo ha inventato un caffè a base di un olio estratto dal cocco, il brain octane. Il gruppo in realtà è attivo a Milano e organizza meet-up per discutere di alimentazione, chip sotto pelle e estensione delle vita.
Il sito della comunità internazionale di biohacker, DIYbiosphere Project, inserisce nella sua mappa mondiale solo due centri italiani. Il primo è Open BioMedical Initiative di Roma, una non profit guidata da Bruno Lenzi, pioniere della crionica in Italia, che si occupa di protesi open source stampate in 3D: ha sviluppato FABLE, una protesi elettromeccanica low cost di una mano, e BOB, una incubatrice per neonati; l’altro è Be.In.To, un gruppo di biohacker nato all’interno del FabLab di Torino.
Negli ultimi anni il mondo del biohacking sta vivendo una enorme trasformazione: esce dai garage e dagli scantinati e attira l’interesse, e milioni di investimenti, da parte dei colossi tecnologici americani.
Fuori dal nostro paese, negli ultimi anni il mondo del biohacking sta vivendo una enorme trasformazione: sta uscendo dai garage e dagli scantinati e sta attirando l’interesse, e milioni di investimenti, da parte dei colossi tecnologici americani. Elon Musk, il fondatore di Tesla e SpaceX, nel 2018 ha finanziato Neuralink, per sperimentare l’integrazione tra il cervello umano e i computer. Per ora Musk ha spiegato che non sono ancora iniziati gli esperimenti sugli esseri umani. In futuro però, Neuralink vuole impiantare microchip nel cervello umano, collegandolo in modo diretto a una intelligenza artificiale. “Se non puoi sconfiggerla, unisciti”, ha commentato Musk in una intervista. Nel 2016, sostiene CNBC, le startup che studiano come trasformare il cervello avevano raccolto 460 milioni di dollari da grandi fondi di investimento come Andreessen Horowitz e Khosla Ventures. A San Francisco, IndieBio ha sviluppato un programma di 4 mesi nel corso del quale piccole società e imprenditori ricevono un finanziamento di 200.000 dollari per sviluppare e sperimentare un’idea nel campo delle biotecnologie. Dopo il periodo all’interno dell’incubatore alcune di queste startup hanno ricevuto fondi da Bill Gates o da un colosso alimentare come Tyson Foods.
Ma per molti biohacker l’esistenza stessa del movimento è a rischio a causa dei flussi di denaro. Un esempio? Peter Thiel, sostenitore di Trump, ossessionato dall’invecchiamento e dalla morte, ha donato 7 milioni di dollari a Rational Vaccines, un laboratorio offshore con sede sull’isola caraibica di Saint Kitts: sperimenta sugli esseri umani il vaccino contro l’herpes, lo stesso che Traywick si era iniettato due mesi prima di morire e che negli Stati Uniti è vietato. È molto difficile che Thiel voglia distribuire gratuitamente i frutti di una ricerca finanziata con il suo denaro.
Nonostante l’entusiasmo della Silicon Valley, ci sono moltissimi elementi da prendere in considerazione, prima di dare per vero il sillogismo alla base della genetica DIY: se possiamo trasformare le macchine e renderle perfette, possiamo farlo anche con la vita biologica. Lo spiega molto bene Samuel Arbesman sul magazine Atlantic:
Anche se ci sono molte similitudini tra la biologia e l’informatica, la complessità dei sistemi biologici è su un livello totalmente diverso. Si sono evoluti nel corso di milioni di anni, con una grande quantità di feedback e un incredibile numero di componenti interattivi. E, in molti modi, sono già ben fatti e ottimizzati.