S iamo pochi chilometri a sud dei campi profughi dei migranti siriani in fuga dalla guerra”. Giorgio Paolucci è il direttore scientifico di Sesame, il nuovo centro di ricerca per la fisica costruito ad Allan, in Giordania, nato grazie agli sforzi dell’Unesco e la collaborazione di governi che non siamo abituati a vedere seduti allo stesso tavolo: Israele, Iran, Pakistan e Autorità Palestinese. Il nome del centro, acronimo di Synchrotron-Light for Experimental Science and Applications, è un omaggio alla parola magica – Apriti, Sesamo! – che spalanca la caverna delle meraviglie riempita di tesori nel racconto dei quaranta ladroni di Le mille e una notte.
Sesame è un acceleratore di particelle circolare, una versione in scala ridotta del Cern di Ginevra. A gennaio il sincrotrone ha accelerato i primi fasci di elettroni, e punta a diventare pienamente operativo entro la fine dell’anno. “Grazie alle linee di luce in allestimento, ovvero ai fasci di fotoni usati per compiti specifici, saremo in grado di ottenere informazioni sulla materia a livello atomico”, spiega Paolucci, “e le possibili applicazioni spazieranno dall’archeologia fino alla biologia molecolare”.
Oltre alle attività di ricerca, però, l’obiettivo dichiarato del nuovo centro di eccellenza è quello di favorire la cooperazione e il dialogo fra i popoli del Medio Oriente, riunendoli attorno a un progetto scientifico comune. Un piccolo laboratorio di diplomazia, dove i ricercatori possono lavorare insieme nonostante i Paesi di origine spesso fatichino a parlarsi.
Sesame è un acceleratore di particelle circolare, una versione in scala ridotta del Cern di Ginevra. Oltre alle attività di ricerca, l’obiettivo dichiarato è favorire la cooperazione e il dialogo fra i popoli del Medio Oriente.
Già oggi Sesame comprende circa sessanta dipendenti, di cui una decina sono ricercatori stabili. A pieno regime dovrebbe richiamare decine di altri scienziati, contribuendo allo sviluppo scientifico, tecnologico e culturale della regione. “Ancor più che a Ginevra, dove i ricercatori sono quasi tutti fisici o ingegneri, qui a Sesame potranno interagire figure professionali diverse, con formazioni di base molto lontane. La cooperazione e il dialogo sono fondamentali: rappresentano l’essenza che caratterizza questo centro”.
Per capire un luogo come Sesame occorre tornare indietro almeno di otto anni, spostarsi di qualche chilometro e ripartire da una frase: “Sono venuto a cercare un nuovo inizio”.
In quello che sarebbe stato ricordato come il discorso del Cairo, Barack Obama, all’alba del suo primo mandato, offriva la sua presidenza come strumento di mediazione per il Medio Oriente. Un intero capitolo di quel discorso era dedicato alla scienza, come elemento base per garantire prosperità e progresso attraverso l’innovazione. Fu allora che Obama annunciò un piano per lo sviluppo tecnologico nel punto più caldo del pianeta, con l’invio di scienziati e ricercatori a fare da mediatori di alto profilo. Rinascevano così le fortune della cosiddetta diplomazia della scienza: il tentativo di includere cooperazione scientifica e ricerca nelle relazioni internazionali.
Scienziati diplomatici
L’idea che i ricercatori possano farsi “ambasciatori indiretti”, stabilendo relazioni informali ma vitali, collaterali alla diplomazia ufficiale, è un’idea ormai antica. A partire dai primi anni Sessanta, gli Stati Uniti introdussero consulenti scientifici nelle ambasciate maggiori, per metterli a sedere ai tavoli di negoziati importanti come il trattato per la riduzione delle armi nucleari strategiche stipulato con l’URSS (firmato nel 1972). Oggi, intorno alle questioni di scienza, si giocano partite decisive: basti pensare allo scambio di informazioni sanitarie durante la gestione delle crisi di Ebola e Zyka, o al ruolo di primo piano dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) nell’accordo sul clima di Parigi. E ancora, guardando in alto, alla Stazione Spaziale Internazionale, il più ambizioso progetto scientifico mai creato dall’uomo a cui collaborano quindici Paesi diversi, completamente interdipendenti tra loro. Sfide che spesso trascendono la dimensione politica e richiedono la collaborazione tra nazioni e scienziati provenienti da varie aree del globo.
“Esistono anche storie meno note ma altrettanto importanti”, secondo lo scrittore e giornalista Pietro Greco. “Reykjavík, 1986; Usa e Urss si incontrano sulla questione degli euromissili”, testate con armamento nucleare, a medio raggio, installati in Europa dalle due grandi potenze. L’anno dopo si arriverà alla firma del trattato INF sulla loro eliminazione, ma, prima di quell’incontro, sul Vecchio Continente incombe il rischio di una guerra localizzata. “Rimuoviamo i missili, sono d’accordo”, dice Gorbaciov a Reagan. “Anzi, perché non eliminare completamente tutti gli arsenali atomici?” Alla fine l’accordo non si realizzerà e il disarmo sarà solo parziale. Eppure tutti, per un istante, hanno conosciuto la speranza di un mondo senza armi nucleari. Ad anni di distanza, chiedendo a Gorbaciov i motivi di una proposta così rivoluzionaria, il politico russo dirà semplicemente: “Mi sono ispirato al manifesto di Russell-Einstein e ai movimenti di scienziati pacifisti, che si battevano per un mondo senza armi”.
Dalle prime impressioni sembra che Trump punti a minare l’indipendenza della scienza come organo autonomo, un ruolo che ha assunto sin dal dopoguerra.
Le fortune della cooperazione scientifica internazionale entrano oggi in una fase nuova, almeno per quanto riguarda il ruolo degli Stati Uniti. Come riporta la giornalista Alexandra Witze sulla rivista scientifica Nature, il nuovo presidente Donald Trump ha un grande capitale tecnico e scientifico da usare attraverso molte agenzie governative, ma non è ancora chiaro come intenda servirsene. “Difficile fare previsioni sulla nuova amministrazione”, rimane prudente Greco, “anche se dalle prime impressioni sembra che Trump punti a minare l’indipendenza della scienza come organo autonomo, un ruolo che ha assunto sin dal dopoguerra. Per capire gli effetti sulle collaborazioni internazionali, dalla lotta ai cambiamenti climatici sino all’accordo sul nucleare iraniano, occorrerà ancora del tempo”.
Eppure le decisioni del neopresidente puntano in una direzione chiara: basta guardare al taglio dei fondi all’agenzia di protezione ambientale e al dipartimento di stato. O a ordini esecutivi come il muslim ban, che mettono a rischio la libera circolazione dei ricercatori, compromettendo anni di collaborazioni ben avviate. Per questo motivo lo scorso 10 febbraio, dopo il primo provvedimento, più di 30.000 accademici statunitensi hanno firmato un appello pubblico contro le misure restrittive proposte da Trump. Qualche dato per capire l’importanza della posta in gioco: secondo Elsevier, il più importante editore scientifico, i lavori di ricerca svolti in collaborazione tra autori iraniani e statunitensi hanno raggiunto mediamente un field-weighted citation impact (indice per determinare la qualità e l’impatto delle ricerche) di 1.84 punti. I lavori dei scienziati iraniani da soli scendono a una media di 0.84, mentre quelli dei soli statunitensi a 1.46.
Apriti Sesame
In questo contesto internazionale, se dal punto di vista della cooperazione scientifica Sesame rappresenta una scommessa già vinta, quali potranno essere i risultati dal punto di vista diplomatico? Possono davvero, oggi, le collaborazioni scientifiche rappresentare un laboratorio di pace anche sul piano politico? “Quando ho cominciato il mio mandato, il tetto sopra l’acceleratore di particelle era appena crollato sotto il peso di una forte nevicata, e molta stampa locale non era affatto dispiaciuta”, racconta il direttore Paolucci. “Adesso siamo quasi pronti a partire, ma per sapere se questo luogo avrà qualche riflesso sulla regione bisognerà forse aspettare tre o quattro anni”.
Pessimista è il fisico Paolo Cotta-Ramusino, segretario generale delle Pugwash Conferences on Science and World Affairs, organizzazione non governativa insignita del premio Nobel per la Pace nel 1995 grazie all’impegno per il disarmo nucleare. “Occorre tenere separati i due piani: centri come il Cern hanno avuto un impatto enorme sulla nostra comprensione del mondo, e dal punto di vista scientifico possono produrre risultati che una singola nazione non sarebbe, probabilmente, in grado di ottenere; ma se consideriamo le relazioni diplomatiche il discorso cambia”. Secondo Cotta-Ramusino, “iniziative come Sesame hanno un impatto molto limitato su quello che succede nella regione”.
Cooperazione scientifica e tra gli Stati non sempre si equivalgono: prevedere i risultati degli esperimenti di cooperazione è impossibile, ma esistono evidenze storiche che testimoniano il loro grande impatto.
“Di solito la capacità degli scienziati di influenzare la politica non è diretta”, secondo Pietro Greco. “Così diventa fondamentale l’alleanza tra scienza e opinione pubblica, come già avvenuto in passato”. L’esempio più importante è l’Emergency Commettee of Atomic Scientists, voluto anche dai fisici del progetto Manhattan, con lo scopo di mettere in guardia il grande pubblico dal pericolo delle armi nucleari. “Mettendo a capo del comitato Albert Einstein, lo scienziato icona del pacifismo mondiale, la scienza si diede per la prima volta un compito sociale e degli obiettivi politici forti”.
Cooperazione scientifica e cooperazione tra gli Stati non sempre si equivalgono, e prevedere in maniera “deterministica” i risultati degli esperimenti di cooperazione è impossibile; eppure esistono evidenze storiche che testimoniano il loro grande impatto. “Il Cern stesso, nato pochi anni dopo la guerra, rappresenta la prima opera comune tra i Paesi europei che fino a pochi anni prima si trovavano a combattere su parti diverse del fronte”, racconta ancora Pietro Greco. Un progetto, quello del Cern, dalla genesi travagliata almeno quanto quella di Sesame, stretto tra le diffidenze di USA e URSS e lo scetticismo di importanti scienziati come Niels Bohr. “Quando la fisica ritrovò la sua unità diede un messaggio simbolico molto forte, anticipando di anni la Comunità del Carbone e dell’Acciaio, e aprendo la strada alla nascita dell’Unione Europea”.