C i sono notizie che hanno il suono del futuro che bussa alla porta. Quando ai primi di aprile il valore azionario di Tesla – l’azienda fondata da Elon Musk per produrre auto elettriche e autonome – ha superato quello di Ford, in molti hanno voluto leggere nei bollettini di borsa il passaggio di testimone ormai alle porte tra il vecchio mondo dell’auto e quello che verrà.
Quel sorpasso aveva un particolare valore simbolico. L’exploit di borsa di Musk è trainato infatti dagli annunci sul prossimo lancio della Model 3, il primo modello Tesla che sarà proposto a un prezzo accessibile: si parla di circa 30.000 dollari, e la presentazione ufficiale è annunciata per luglio. Con quell’auto la casa californiana si ripromette di fare per l’auto elettrica e autonoma quello che la Ford Model T (la citazione del nome è ovviamente voluta) fece per l’auto con motore a scoppio oltre un secolo fa: aggredire il mercato di massa, innescare economie di scala che permettano di ridurre sempre più il costo di produzione e far crescere le vendite in modo esponenziale. Una settimana dopo Tesla avrebbe poi superato in borsa pure General Motors, diventando il primo produttore americano di auto per capitalizzazione (il primato mondiale è saldamente in mano a Toyota, almeno tre volte più grande).
Il valore delle azioni riguarda poco il presente, e molto le aspettative sul futuro. Lo ha scritto lo stesso Musk in un tweet: “Tesla è assurdamente sopravvalutata se si guarda al passato, ma questo è irrilevante. Il prezzo delle azioni rappresenta il flusso di cassa futuro, corretto in base al rischio”.
Le vendite di auto di Tesla sono oggi una piccola frazione di quelli dei colossi di Detroit, o delle grandi case europee e giapponesi. Non parliamo dei profitti: come molte stelle del settore hi-tech, Tesla non ne fa alcuno e non ne farà per un pezzo. Anzi, perde soldi a ritmo sostenuto. Ma chi corre a comprare le sue azioni scommette sull’idea che Musk possa cambiare le regole del gioco dell’auto come Steve Jobs fece nel 2007 con quelle della telefonia mobile. Non a caso l’attesa messianica per la Model 3 ricorda molto l’atmosfera precedente al lancio del primo iPhone. Allora Apple sparigliò le carte con qualcosa che prima non esisteva e che improvvisamente tutti si accorsero di volere; a farne le spese furono soprattutto Motorola e Nokia, fino ad allora padroni del mercato della telefonia. Toccherà la stessa sorte a Fiat e General Motors, Peugeot e Ford? La buona vecchia auto – quella con un motore a scoppio e un volante su cui tenere sempre le mani – è destinata a scomparire, e con essa l’industria automobilista come l’abbiamo conosciuta?
Di certo l’industria dell’auto è al centro di una tempesta perfetta, causata dall’incontro fra tre tecnologie in crescita rapidissima. La prima è la guida autonoma, un’idea che solo qualche anno fa provocava alzate di sopracciglia e risatine di scherno e oggi è un argomento di conversazione obbligato per fare bella figura con chi si intende di innovazione; la seconda è la propulsione elettrica, che dopo anni di false partenze e promesse non mantenute si sta finalmente facendo strada grazie a batterie sempre più efficienti ed economiche; la terza è la banda larga mobile, che trasforma le auto in terminali di rete e ha già reso possibile lo sviluppo di servizi di car sharing e ride hailing come Car2Go, Uber, Enjoy. La tempesta è davvero perfetta perché queste tre tecnologie, ognuna con la sua storia e con origini diverse, si rinforzano a vicenda e sembrano fatte l’una per l’altra. Solo per fare un esempio, se l’auto elettrica è anche connessa può cercare da sola la colonnina di ricarica più vicina; e se è pure autonoma, può andare a fare la ricarica da sola mentre tu dormi.
Aggiungete una generazione che ormai da un pezzo non vede più l’auto come uno status symbol da agognare, come spiega bene Giuseppe Berta, il maggiore storico dell’industria dell’auto in Italia che insegna all’Università Bocconi di Milano. “Lo vedo quotidianamente nei miei studenti, che non si identificano più nell’auto, non la vedono come la vedevamo noi. E fanno bene, perché i tempi della Seicento sono passati da un pezzo. Forse si può ancora identificarsi in una Maserati, ma un’utilitaria…chi se ne frega”.
Condite con gli accordi di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra, che porteranno molti governi a incentivare auto elettriche e condivise. Agitate e mescolate il tutto e viene fuori un futuro che in tanti, di questi tempi, vi raccontano così (per esempio qui): i nostri figli e i nostri nipoti non guideranno più auto, né le compreranno. Le useranno e basta. Un giorno non troppo lontano, l’attuale parco auto sarà sostituito da flotte di taxi elettrici senza pilota, che chiameremo con un’app sul telefonino ogni volta che ne avremo bisogno, ci verranno a prendere e ci porteranno a destinazione e poi se ne andranno a prendere qualcun altro, fermandosi lungo la strada a ricaricare le batterie. Non dovremo parcheggiarle, e soprattutto non dovremo comprarle. Saranno condivise, e saranno molte di meno – perché non fermandosi mai, faranno in poche il lavoro che oggi fanno tutte quelle auto in coda ai semafori e parcheggiate in doppia fila. “L’auto senza pilota per sua natura non si presta all’acquisto” spiega Berta. “Sarà molto costosa, e tenerla parcheggiata per il 95 per cento del tempo come capita oggi alla maggior parte delle auto non avrebbe senso”.
L’industria dell’auto è al centro di una tempesta perfetta, causata dall’incontro fra tre tecnologie in crescita rapidissima: la guida autonoma, la propulsione elettrica e la banda larga mobile.
In tanti, dentro e fuori l’industria dell’auto, danno per scontato quello scenario, e si esercitano già a immaginarne conseguenze belle e brutte. È il caso di Benedict Evans, venture capitalist e analista di tecnologia molto seguito nella Silicon Valley, che sul suo blog ha dedicato una serie di post dedicati agli effetti a cascata dell’affermazione di guida autonoma e auto elettrica. Qualche esempio? Niente più incidenti o quasi, perché le auto senza pilota rispettano le regole, mantengono la distanza di sicurezza, non fanno sorpassi azzardati perché sanno benissimo che c’è un’altra auto dietro la curva (sono anche connesse, ricordate? Non hanno bisogno di vedersi). Una drastica riduzione del business delle compagnie petrolifere, come è ovvio, ma anche del gettito fiscale collegato. Un crollo del mercato dei pezzi di ricambio e una crisi delle officine, perché le auto elettriche hanno meno parti in movimento e sono meno soggette a usura di quelle a gasolio o benzina. La crisi delle catene commerciali che ruotano attorno alle stazioni di servizio, come gli autogrill. La liberazione di tanto spazio attualmente adibito a parcheggi nelle città, che potrebbe far spazio a verde o a nuovi edifici, e far scendere il prezzo delle case. E naturalmente, la disruption dell’attuale struttura del mercato dell’auto.
Su questo scommette non solo Musk, ma anche Google e Uber, entrambe impegnatissime sul fronte dell’auto senza pilota, divise da un’aspra battaglia legale su questioni di proprietà intellettuale. La stessa Apple, che in aprile ha ricevuto la terza (dopo quelle di Tesla e Google, appunto) autorizzazione concessa dallo stato della California per i test di auto autonome. E Amazon, che ci sta pensando sempre più seriamente per le sue consegne.
Il sorpasso
Convinti che l’auto del futuro sarà più un servizio che un prodotto, i giganti della Silicon Valley sperano di fare le scarpe a quelli di Detroit, meno attrezzati a gestire digitale e Big Data. La posta in gioco, in questo derby tra new e old economy, è alta. L’auto non è un’industria qualsiasi. Per quanto ridimensionata rispetto ai suoi anni gloriosi, rappresenta in molti paesi ancora una quota di tutto rispetto del PIL: il 3,5 per cento di quello USA, il 5 per cento di quello italiano, e ben il 6,5 per cento di quello europeo (parliamo dell’intera filiera, dai macchinari per le catene di montaggio alle concessionarie). Impiega, tra produzione e distribuzione, oltre 12 milioni di persone in Europa, 1 milione e 200 mila solo in Italia, 3,6 milioni negli USA. È stata per decenni, ed è ancora, il Sole attorno a cui girano come pianeti interi altri settori. Per esempio è di gran lunga il maggiore acquirente di robot industriali, senza le major automobilistiche l’industria robotica odierna non esisterebbe. È, dopo il settore alimentare, il maggiore acquirente di pubblicità su giornali, tv, internet. Tiene in piedi una bella fetta del settore assicurativo e di quello finanziario. Con tutto il rispetto per l’industria discografica o le catene di videonoleggi, prime vittime della disruption digitale, i cambiamenti che hanno coinvolto quei settori sembrerebbero poco più che piccole scosse premonitrici a confronto del terremoto che colpirebbe il nostro sistema industriale se l’industria automobilistica come la conosciamo andasse a gambe all’aria. Sarebbe il vero Big One.
Un momento, però. Dare per scontato che le cose andranno così solo perché potrebbero andare così (ovvero, perché la tecnologia necessaria sarà disponibile) è un esempio da manuale di determinismo tecnologico: il pensiero per cui l’innovazione si impone senza ostacoli, e le possibilità tecnologiche decidono i cambiamenti sociali. Certo, un po’ di determinismo tecnologico è scusabile, con quello che abbiamo visto negli ultimi decenni: librai costretti alla chiusura da Amazon, Blockbuster schiantato dal file sharing, l’intero settore della fotografia travolto in pochi anni dalle fotocamere dei telefonini. Ma un’automobile non è un rullino né una videocassetta. “L’auto è un settore molto complesso, e finora se ne è accorto chiunque si è avvicinato” ricorda Michele Bertoncello, analista di McKinsey, società di consulenza che da anni segue con particolare attenzione l’evoluzione dell’industria dell’auto e cerca di prevederne le traiettorie, studiando la tecnologia ma anche l’orientamento dei manager e le paure e i gusti dei clienti. “Non a caso lo stesso Elon Musk ha detto una volta che fare un’automobile è più difficile che fare un razzo” (e Musk parla con cognizione di causa, avendo anche mandato il primo veicolo privato sulla Stazione spaziale internazionale).
E poi la storia della tecnologia procede più spesso per accumulo che per sostituzione. Quando apparve la fotografia, in tanti pensavano che avrebbe fatto scomparire la pittura. L’avvento del cinema sembrava segnare la fine del teatro, e la televisione a sua volta fu salutata come la condanna a morte tanto della radio quanto del cinema. E invece pittura, fotografia, cinema, radio e tv sono ancora tutte qua. Si sono adattate l’una all’altra, ma coesistono. Allo stesso modo, chi il sistema dell’auto lo studia e lo osserva da vicino, come Bertoncello, immagina un cambiamento epocale, sì, ma lento e graduale, con una lunga e complessa coesistenza di tante “macchine” diverse.
In che senso autonome?
Prendiamo la guida autonoma. Su di essa circola l’idea un po’ semplicistica che la tecnologia sia fondamentalmente matura, e che le auto senza pilota non si vedano ancora in giro solo perché le assicurazioni non hanno ancora deciso a chi dare la colpa in caso di incidente. Quello dell’assicurazione è un problema reale, ma la realtà è un po’ più complessa.
Innanzitutto, c’è autonomia e autonomia. Le regole della Society of Automotive Engineers (SAE) in America descrivono 5 livelli. Il livello 1 è quello per cui l’auto può fare da sola singole cose, come cambiare corsia o adattare la velocità a quella della vettura davanti, o frenare in caso di emergenza, ma il pilota ha sempre le mani sul volante. Al livello 2, l’auto può cavarsela per brevi periodi (massimo un minuto) senza input dal guidatore, e può cambiare corsia e accelerare simultaneamente. In casi complessi come l’immissione in autostrada o il traffico cittadino, tutto il lavoro tocca al pilota. Il livello 3 è per certi versi il più complesso e rischioso, tanto che molte case automobilistiche pensano di saltarlo: qui la guida autonoma può potenzialmente cavarsela in tutte le situazioni, ma il sistema richiede al pilota di essere pronto a intervenire in poche frazioni di secondo in caso di problemi. In altre parole, nel dubbio l’auto ridà il controllo al pilota. Il peggio dei due mondi. La maggior parte dei costruttori vuole andare direttamente al livello 4, dove l’auto gestisce da sola tutte le funzioni, non richiede interazioni con il guidatore e si ferma in caso di problemi. Ma funziona solo in condizioni ottimali: strade mappate in 3D (da Google o altri) e completamente coperte dal segnale GPS, buona visibilità. Sulle stradine di campagna o in caso di nebbia fitta, tocca mettere mano al volante. Infine, il livello 5: l’auto fa tutto da sola, su qualunque strada, in qualunque condizione meteorologica. Il volante e il pedale del freno non ci sono nemmeno, e il guidatore può anche dormire.
I livelli 1 e 2 sono già possibili, e la tecnologia necessaria è di fatto presente su alcune auto di alta gamma, o sulle Tesla. Ma i livelli 4 e 5 sono ancora lontani, ed è molto difficile stimare quanti anni serviranno per arrivarci, spiega Bertoncello. “Non si tratta di una sola tecnologia, quanto piuttosto di un insieme di tecnologie diverse, ognuna delle quali con una propria tempistica di evoluzione. Ad esempio, i sensori che devono raccogliere informazioni inerenti alla strada, le vetture circostanti e l’ambiente esterno al veicolo dovranno diventare più precisi, affidabili in condizioni meteorologiche sfavorevoli e più economici”. Il più importante sensore per le auto autonome è il lidar, che emette luce infrarossa e misura come viene riflessa dagli oggetti circostanti. La tecnologia esiste, ma è ancora molto cara. Soprattutto, vanno migliorati i software per integrare il segnale dei lidar con quello di altri sensori, in particolare le videocamere e il GPS per costruire in tempo reale una mappa 3D dell’ambiente attorno all’auto. Non a caso, è proprio sulla tecnologia lidar che si concentra la battaglia tra Waymo, società del gruppo Google, e Uber, accusata di averne rubato dettagli essenziali.
Ma il vero nodo sono i sistemi di intelligenza artificiale che devono interpretare la mappa proveniente dai sensori e prendere decisioni, e che dovranno essere in grado di gestire situazioni sempre più complesse. “L’automotive in questo senso è un settore pionieristico, sta spingendo l’applicazione su vasta scala delle tecniche di machine learning nel mondo reale” spiega Bertoncello. Gli unici termini di paragone, per ora, sono la traduzione automatica o il gioco da tavola Go. Compiti difficili, per carità, in cui l’intelligenza artificiale sta crescendo a ritmi sorprendenti. Ma non certo critici come la circolazione su strada. Serviranno migliaia di ore di test su strada per dare in pasto ai sistemi di machine learning un repertorio abbastanza vasto di situazioni, dal cane che attraversa la strada al pedone esitante sulle strisce, dal cartellone pubblicitario che oscilla per il vento e da lontano sembra un pedone al trattore che procede tanto lento da sembrare fermo. “È estremamente difficile individuare con precisione l’anno in cui le vetture sapranno riconoscere tutti i casi limite che possono presentarsi sulla strada e agire correttamente anche in ambiente urbano”, secondo Bertoncello.
La storia della tecnologia procede più spesso per accumulo che per sostituzione: chi studia da vicino il sistema dell’auto immagina un cambiamento graduale, con una lunga e complessa coesistenza di tante “macchine” diverse.
L’analista si aspetta quindi una tempistica di diffusione dei veicoli autonomi abbastanza lontana dalle previsioni utopistiche di Musk. Tanto che, parafrasando Sant’Agostino, si potrebbe dire: dammi l’auto senza pilota, sì, ma non subito. Il primo passo, che potrebbe effettivamente essere nell’arco di 3- 5 anni, sarà una diffusione limitata di veicoli autonomi in ambienti molto controllati. “Già oggi esistono modelli di trattori, carrelli elevatori e macchinari industriali che si spostano autonomamente all’interno di grandi stabilimenti o magazzini per lo stoccaggio della merce” spiega Bertoncello. Il battesimo del mezzo autonomo sarà nei cantieri industriali o nei campi, ben prima che sulle strade. In parallelo, assisteremo alla crescita di auto con autonomia parziale, che richiedono sempre l’attenzione del guidatore ma sono già in grado di sostituirsi all’intervento umano in una certa misura, per esempio per le manovre di parcheggio, il cambio di corsia per i sorpassi, il mantenimento della distanza di sicurezza, o per evitare di investire pedoni e ostacoli. Sempre secondo Bertoncello, è realistico pensare vetture di questo tipo siano sul mercato tra il 2022 e il 2025. Di nuovo, è probabile che l’autonomia tocchi prima il trasporto pesante e poi quello privato. “E possiamo anche ipotizzare che in alcuni paesi vengano riservate delle corsie dedicate sulle autostrade per i mezzi pesanti autonomi, il che consentirebbe di sfruttare l’effetto platooning: i mezzi pesanti possono viaggiare in plotoni molto ravvicinati per beneficiare della riduzione di resistenza aerodinamica, con un risparmio notevole di carburante”.
Il motore del 2030
Quanto alla full automomy, difficile che arrivi davvero sul mercato prima del 2025, forse 2030. “Dato il loro elevato contenuto tecnologico, è realistico pensare che saranno mezzi molto costosi e che saranno utilizzati in larga parte per i sistemi di mobilità condivisa oppure che saranno acquistati da clienti premium”, chiarisce Bertoncello. Una parte di quelle auto sarà elettrica, perché Tesla e molti altri hanno scelto di unire le due innovazioni. Ma molte saranno a benzina o ibride, e lo scenario più probabile è una diffusione “a macchia di leopardo” dei diversi tipi di motori. “Il motore a scoppio continuerà ad avere un ruolo di rilievo almeno fino al 2030” chiarisce Bertoncello. Soprattutto nella sua versione a benzina, perché il dieselgate ha seriamente tarpato le ali al motore a gasolio. “Il diesel sul medio periodo è morto”, taglia corto Berta “e il primo sintomo è la vendita da parte di General Motors di Opel, marchio che le serviva soprattutto a vendere auto a gasolio in Europa. Vuol dire che non ci credono più”. Tanto in America quanto in Europa, gli stati finiranno per chiedere test così severi sulle sue emissioni del diesel che produrre motori a gasolio ai costi attuali diventerà impossibile.
Crescerà l’elettrico, su cui molti produttori europei hanno annunciato roadmap aggressive, ma le cui sorti dipenderanno dallo sviluppo della tecnologia delle batterie e dagli investimenti, al momento non del tutto prevedibili, sulle infrastrutture di ricarica. Difficile prevedere il destino dell’idrogeno, su cui continuano a puntare produttori giapponesi, Toyota in testa, grazie anche a importanti investimenti del governo del loro paese. Probabile che continui a crescere anche lui, ma con tempi ancora più lunghi dell’elettrico.
Non dimentichiamo poi che il futuro dell’auto sarà determinato – a differenza di quanto avvenuto per la musica o per la fotografia – solo in parte dalle scelte dei produttori e dei consumatori. Conteranno molto le scelte politiche di chi dovrà regolare quelle tecnologie.
Oggi è legale condurre test su auto senza pilota in quattro stati USA (Michigan, Nevada, Florida e California), in Gran Bretagna e Svezia. Sempre con l’obbligo di un tecnico a bordo che abbia la possibilità di prendere il controllo in ogni momento. Prima di autorizzare la circolazione in modalità “full autonomy”, e la vendita al pubblico, la maggior parte degli Stati vorranno la certezza che le auto senza pilota siano “più sicure” di quelle tradizionali. Dimostrarlo non sarà uno scherzo. Gli incidenti d’auto sono tanti, e così i morti sulla strada (più o meno 3.500 all’anno in Italia, 35.000 negli USA). Ma visto quanto guidiamo, il tasso di incidenti rispetto ai chilometri percorsi è in realtà piuttosto basso: in America è circa 0,6 morti ogni 100.000 chilometri di guida. Per dimostrare scientificamente di saper fare meglio, le auto senza pilota dovranno accumulare centinaia di milioni, forse miliardi di chilometri in condizioni realistiche. Le autorità dovranno anche accordarsi su standard internazionali per testarle, che potrebbero finire per somigliare più a quelli usati per gli aerei di linea che a test di sicurezza delle attuali auto. Tutto questo, presumibilmente, con il risultato di far schizzare verso l’alto il prezzo dell’auto con livello 4 o 5 di autonomia. E come tante vicende recenti ci hanno insegnato (dai vaccini agli OGM) non importa cosa diranno i test, ci saranno sempre persone che preferiranno scegliere i propri rischi che affidarsi a quelli calcolati da altri. Ci sarà, almeno per un bel pezzo, chi preferirà guidare. O perché non si fida della vettura autonoma, o perché ama troppo farlo.
Anche per questo, gli analisti non credono troppo all’idea che l’auto di proprietà sia in via di estinzione. “Non ci aspettiamo la completa trasformazione dell’auto in una commodity” dice Bertoncello. “Una vettura è prima di tutto custode della sicurezza e dell’incolumità dei propri occupanti. La guida è anche un’esperienza molto personale, e molti consumatori ci dicono che il piacere della guida continuerà ad essere un valore importante”. Come il disco in vinile resiste ancora a iTunes e Spotify, è molto probabile che l’auto a benzina e con cambio manuale resisterà per un bel pezzo, non importa quanto velocemente si sviluppi la guida autonoma.
La strada da fare
Il mondo dell’auto nel 2030-2035 e oltre, allora, sarà probabilmente un patchwork in cui coesisteranno molto passato e un po’ di futuro. A McKinsey si aspettano, per quella data, il 15 per cento di veicoli autonomi, dal 10 al 50 per cento di veicoli elettrici, circa il 10 per cento di auto shared anziché di proprietà. Ma con grandi variazioni tra diverse zone del mondo e, all’interno di ogni paese, tra città e campagna, metropoli e provincia. Guida autonoma, motori elettrici e mobilità condivisa avranno probabilmente più successo nelle grandi, affollate e ricche città occidentali o del sud est asiatico, dove il problema del traffico e del parcheggio è più pressante, e dove sarà più conveniente investire sulle infrastrutture di ricarica. Ma nella provincia americana, nelle città europee di medie dimensioni o nelle metropoli africane potrebbero restare irrilevanti per molto tempo. Quanto alla battaglia industriale, i nuovi player della Silicon Valley si ritaglieranno i loro spazi. Ma è estremamente improbabile che scalzino i produttori tradizionali, in particolare quelli di alta gamma. Finché ci sarà chi potrà permettersi una lussuosa vettura tedesca, ci saranno produttori di lussuose vetture tedesche.
Tutto da dimostrare, poi, che in questo scenario si producano e comprino meno auto. Ciò che conta, fanno notare a McKinsey, è il numero di chilometri percorsi. Le auto inserite in flotte, praticamente sempre in movimento, si usureranno molto più in fretta e avranno bisogno di essere cambiate. La produzione di auto, secondo gli analisti, potrebbe quindi continuare a crescere, anche se di pochi punti l’anno, e il giro di affari dei produttori di auto mantenersi molto più roseo di quanto vorrebbero i catastrofisti. Senza contare che le connessioni a banda larga (a proposito: per renderle abbastanza affidabili da supportare la circolazione di milioni di auto senza pilota servirà anche un bel potenziamento delle reti 4G e 5G) consentiranno di lucrare anche su nuovi servizi ad alto valore aggiunto, dall’intrattenimento a bordo alle informazioni sul traffico. E permetteranno di raccogliere preziosi dati sulle abitudini e l’uso dell’auto dei propri clienti per offrire proposte su misura.
Un futuro un po’ meno rivoluzionario ed eccitante, insomma, e ancora più complesso da gestire dal punto di vista tecnologico – perché per le auto senza pilota sarebbe molto più semplice cavarsela se fossero circondate solo da loro simili, e invece dovranno vedersela per un bel pezzo con gli indisciplinati e imprevedibili guidatori in carne e ossa, che metteranno a prova ancor più dura i sistemi di intelligenza artificiale.