N el 1902 lo scrittore H.G. Welles produce un testo scientifico, una philosophical lecture dal titolo emblematico The Discovery of the Future, dando così il via a una particolare forma letteraria che (forse impropriamente, ma spiegheremo meglio in seguito) potremmo chiamare “Futurologia”. A differenza della Fantascienza la Futurologia non inventa di sana pianta, non crea mondi fantastici con l’intento di stupire, ma trae le sue radici nei discorsi scientifici e muove le proprie considerazioni a partire da un’approfondita conoscenza della tecnologia contemporanea.
Il suo fine è provare a delineare gli sviluppi e gli impatti futuri della scienza e della tecnologia. Parliamo di un futuro prossimo, un near future che in qualche modo si delinea già all’orizzonte. Non è un caso che proprio il secolo XIX, contraddistinto da un impatto scientifico e tecnologico senza pari, rilanci – già agli albori del nuovo secolo – un piano di studi, progetti e proiezioni che provano, non solo a predire il futuro, ma in qualche modo persino a configurarlo.
La Futurologia vera e propria nascerà qualche decennio più tardi come sviluppo di una disciplina che prevede l’apporto fondamentale dell’Economia, della Sociologia e della Statistica. L’atto ufficiale di fondazione viene indicato nel 1973 quando il Club di Roma commissiona al MIT di Boston una ricerca sui tempi, gli impatti e le conseguenze dell’esaurimento delle materie prime fondamentali. Lo studio viene affrontato secondo sistemi logici e statistici applicando la Teoria dei Sistemi e getta le basi per una nuova disciplina che troverà sempre più spazio soprattutto in ambiti politici. Anche in questo caso si può trovare un celebre antecedente nel lavoro di Thomas Robert Malthus dal titolo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo della società, un vero e proprio trattato sull’impatto futuro della crescita della popolazione mondiale.
Figliastra delle urgenze accelerazioniste del Futurismo e, successivamente, dei piani quinquennali stalinisti, la Futurologia si impone sempre più come ambito di studi sociali, economici e politici. E con il Club di Roma si aprono le porte alla declinazione moderna di questa disciplina.
Ma la vena letteraria aperta da Wells non si indebolisce, anzi, si alimenta in particolar modo con l’apporto di scrittori di fantascienza che provengono da studi scientifici e spesso fanno della divulgazione scientifica una parte della loro attività letteraria. Per questi scrittori accorti di “cose di scienza e di tecnologia” spesso la narrazione è un modo per declinare felicemente proprio la lettura dei futuri prossimi impatti tecnologici. Pensiamo al polacco Stanislaw Lem, agli americani Isaac Asimov e Arthur C. Clarke o al filone del Cyberpunk con William Gibson e Bruce Sterling.
Ma non si tratta solo di letteratura, bensì delle arti tutte: la fotografia, l’architettura, il cinema, le arti visive, la videoarte… innestano i propri percorsi poetici con quelli delle nuove tecnologie e creano racconti che si spingono un po’ più in là (basti pensare alla serie Black Mirror).
Un’esigenza che ha le sue radici nell‘800 ma che esplode nel ‘900 e poi, di nuovo, all’alba del nuovo millennio, sollecitata in particolare dalla rivoluzione digitale che impone alla nostra società un’accelerazione scientifica e tecnologica unica e che viene definita come “esponenziale”.
Ecco che allora la Futurologia diventa un territorio davvero vasto che include molti settori della Scienza, le arti e la letteratura ma anche la neonata cultura digitale e la filosofia dell’Informatica in un percorso che spesso ibrida motivi, temi e persino forme letterarie: pensiamo a pensatori come Nick Bostrom, Yuval Noah Harari, Kevin Kelly, Chris Anderson, Ray Kurzweil, Parag Khanna… tutti fautori di una “Futurologia digitale” in grado di provare a chiarire (e in alcuni casi persino orientare) il futuro prossimo venturo della società digitale.
Ovviamente la Futurologia diviene così figlia anche (e forse, soprattutto) di scelte politiche: e qui possiamo risalire fino all’ Utopia di Thomas Moore. E arrivando ai nostri giorni possiamo individuare due binari ben precisi: da una parte, per l’appunto, l’utopia, e dall’altra la distopia. In fin dei conti lo stesso pensiero di Marx e la conseguente ideologia marxista vivono della spinta utopica che nasce dall’osservazione del presente tecnologicamente (per allora) avanzato. Sul confine tra utopia e distopia si muovono le osservazioni di carattere sociologico sulle metropoli: sia le nuove città della rivoluzione industriale (per il ‘900) che quelle digitali come la smart city (per il 2000).
Proviamo allora a concentrare la nostra attenzione sulla divaricazione tra sguardo del ‘900 e sguardo del 2000. Una divaricazione (un po’ forzata ma nemmeno tanto) che ci permette di fotografare perfettamente la Futurologia e il su portato sociale e culturale: da una parte il ‘900 che guarda il 2000… il secolo della rivoluzione industriale matura, il secolo dell’atomica e del nucleare, dei primi calcolatori e dello sviluppo delle società evolute. E dall’altra il 2000 con il digitale che sente la necessità di sostenere il cambio di paradigma della nuova rivoluzione tecnologica.
Tra ‘900 e 2000 si distinguono due sguardi che si appuntano però principalmente sugli stessi obbiettivi: la città, la scienza e la tecnologia con la sua accelerazione senza precedenti. In questa visione duplice si dipana la storia della società occidentale contemporanea e il suo modo di specchiarsi, di proiettarsi e di narrarsi.
Fino a domenica 7 aprile è possibile visitare, a Torino, al Polo del ‘900, la mostra Futuri Passati, inserita nel programma di Biennale Democrazia 2019. A cura del Polo del ‘900, in collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza e MUFANT- MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza di Torino.