È il 2 aprile del 1992 quando Nature pubblica un articolo di un gruppo di micologi canadesi, dell’Università di Toronto, nel quale si descrive una specie di alieno terrestre: un fungo singolo che prospera sotto terra a Crystal Falls, in Michigan, da non meno di 1.500 anni, si estende per 15 ettari e pesa più di 100 tonnellate. È Armillaria gallica e, a quanto se ne sa in quel momento, è il più grande e il più vecchio organismo vivente mai scoperto. Esami condotti nel 2019 con tecniche più moderne ne sposteranno il certificato di nascita indietro di mille anni, e ne aumenteranno il peso a 400 tonnellate. Ma il titolo gli verrà comunque sottratto da un suo parente stretto, l’Armillaria della Malheur National Forest, in Oregon, che stando ai test eseguiti dovrebbe essere nata 8.560 anni fa e dovrebbe estendersi, oggi, per mille ettari.
Probabilmente è stata comunque quella la scoperta, ripresa dai media di tutto il mondo, per molti aspetti sconcertante, che ha inaugurato quella che potremmo chiamare “l’epoca d’oro dei funghi”. Nel 2004, alcuni documenti della FAO invitavano a esplorare il mondo fungino, perché è lì che si possono trovare molti dei nutrienti di cui il mondo ha bisogno, per esempio, e da quel momento si sono susseguiti, a un ritmo sempre più serrato, le notizie e gli studi su funghi sempre più strani, capaci di compiti ritenuti per definizione impossibili, ma potenzialmente utili per un’infinità di scopi.
È un interesse vivo ancora oggi: per restare solo alle ultime settimane, i ricercatori dell’Università del North Carolina, di Stanford e del Nasa Ames Research Center hanno pubblicato, in attesa di revisione, su BioXRiv i dati ottenuti da un altro fungo stupefacente, Cladosporium sphaerospermum, scoperto a Chernobyl, dove cresce magnificamente utilizzando le radiazioni e convertendole in energia grazie alla melanina che sintetizza. Trasportato sulla Stazione Spaziale Internazionale, grazie a uno strato di appena 1,7 millimetri ha ridotto la radioattività cosmica del 5,4%. È facile intuire che cosa succederebbe se una colonia umana o un veicolo spaziale, costretti a restare per mesi o anni sotto la pioggia radioattiva del cosmo, fossero rivestiti esternamente da uno strato di questi funghi: per esempio, basterebbero 21 centimetri per annullare le radiazioni di Marte.
Negli ultimi anni stiamo assistendo a un nuovo interesse per la micologia: ricerche, studi, libri di divulgazione. È quella che potremmo chiamare “l’epoca d’oro dei funghi”, un mondo che conosciamo ancora poco.
Di meraviglie di questo genere parlano anche molti libri recenti, in una fortunata scia cui ha dato il via probabilmente The Mushroom at the End of the World: On the Possibility of Life in Capitalist Ruins dell’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing, un testo del 2015 che racconta la globalizzazione e la fragilità dell’attuale sistema economico partendo da una prospettiva inedita: il destino del fungo più popolare del mondo, il giapponese matsutake, che l’autrice segue dalle tavole dei gourmet di tutto il mondo alle stalle dei pastori di capre Yi, dalle guide naturalistiche finlandesi al rivenditori cinesi. Tsing usa il ciclo di produzione del matsutake per raccontare in realtà le storture della globalizzazione e dell’Antropocene, ma lascia comunque intravedere le caratteristiche principali dell’universo fungino: la straordinaria versatilità, e poi la connessione, la formazione di reti, l’interdipendenza. Al libro di Tsing è seguita un’ondata di testi divulgativi. È da poco uscito anche in Italia, per esempio, Funghipedia. Miti, leggende e segreti dei funghi (Il Saggiatore), una sorta di enciclopedia scritta dal micologo Lawrence Millman, divertente e ricca di spunti non solo sugli aspetti biologici ma anche su quelli culturali e storici del settore.
C’è poi il successo editoriale di L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi (Marsilio) di Merlin Sheldrake, micologo anche lui e divulgatore di prim’ordine. Merlin è il figlio di Rupert Sheldrake, a sua volta ricercatore, viaggiatore e scrittore, molto famoso in Gran Bretagna, noto però soprattutto per la sua controversa ipotesi della “risonanza morfica”, una teoria sulla memoria collettiva degli esseri viventi considerata inaccettabile dalla comunità scientifica: per Rupert Sheldrake, la rivista Nature ha scomodato il termine “eretico”, invocando l’auto da fé del suo libro A new Science of Life che si interrogava sulla telepatia nei cani, la formazione dei cristalli, la medicina cinese, la natura della coscienza. Almeno un risvolto positivo nell’essere cresciuto con un genitore “eretico” però c’è stato, per Merlin: “mio padre ha avuto un ruolo determinante per il mio interesse nel mondo dei funghi”, racconta al Tascabile. “Lui è ancora oggi uno studente, ha uno suo sguardo curioso sul mondo, è sempre pieno di domande. Non so più quante volte, quando ero piccolo, ha risposto a una mia domanda lasciandomi interrogativi ancora più grandi”.
Non è così comune che un bambino si senta irrimediabilmente attratto dai funghi, in effetti. “Sono sempre stato affascinato da come le cose si trasformano” racconta Sheldrake. “Un tronco diventa terra, lo zucchero alcol, la pasta pane. Le mie domande spesso mi portavano ai funghi, ‘maghi metabolici’ con una capacità mozzafiato di organizzare e riorganizzare il mondo”. I funghi possono digerire qualunque cosa, dalla roccia al cherosene, e senza la loro capacità di decomposizione la vita sarebbe semplicemente inconcepibile. “Se nulla si decomponesse, ci sarebbero chilometri e chilometri di detriti animali e vegetali nelle profondità della Terra. Ricordo di aver pensato spesso a questo, da bambino, con un senso di vertigine: le nostre vite si svolgono nello spazio della decomposizione. I compositori fanno, i decompositori disfano. E se non lo fanno, i compositori non hanno nulla con cui costruire. È stato questo il pensiero che ha cambiato il mio modo di vedere il mondo, e che continua ad alimentare la mia curiosità per organismi che, in gran parte, non si vedono”.
Sheldrake racconta i funghi come “maghi metabolici” con una capacità mozzafiato di organizzare e riorganizzare il mondo.
Sheldrake chiama la micologia “megascienza negletta”. I funghi sono infatti usati dall’uomo da millenni (ne aveva con sé anche l’uomo di Similaun, per citare un esempio noto), eppure sono ancora un universo misterioso, quasi sconosciuto. Anche per motivi abbastanza ovvi: “i funghi vivono nascosti, e solo recenti tecnologie come il sequenziamento del DNA ci hanno consentito l’accesso ad alcuni dei loro segreti. Anche le parti che vediamo, usate da secoli come cibo o farmaci, sono sfuggenti, non si conservano bene, e questo rende difficile studiarle”.
C’è poi un problema tassonomico: solo negli anni sessanta i funghi hanno acquisito lo status di organismi a sé stanti, e ciò significa che quasi non esistono centri universitari dedicati alle scienze fungine. Questo, a sua volta, rafforza il pregiudizio accademico. “Solo nel 1971 è stata fondata la prima società micologica internazionale e nel 2018 nella lista delle specie a rischio di estinzione, la famosa Lista Rossa dell’IUCN, i funghi erano 56, contro le 25.000 piante e i 70.000 animali. Certo, i funghi non sono stati egualmente trascurati in tutto il mondo: in Oriente hanno svolto un ruolo molto più importante rispetto a quanto avvenuto in Occidente, per noi sono ancora in gran parte da esplorare”.
Una delle caratteristiche che emergono con maggior forza dal racconto di Sheldrake è appunto l’interconnessione: i funghi sono ciò che mette in relazione le piante tra di loro e con il resto degli ecosistemi, permettendone l’esistenza. C’è un continuo scambio di cibo, energia e informazioni tra di loro e con altri esseri viventi. Questo per Sheldrake implica una visione eterodossa del mondo, che squaderna le gerarchie: “non ho mai considerato gli esseri umani i padroni indiscussi del mondo. La maggior parte della storia della vita è una storia di microbi. Noi siamo i nuovi arrivati. E non possiamo ragionevolmente pensare alle nostre vite come separate o separabili dal resto del mondo vivente. Da un punto di vista biologico, inoltre, non è sempre chiaro dove dovrebbero essere tracciati i confini tra gli individui. Una parte sostanziale del nostro genoma è stata acquisita da virus e noi portiamo in giro più batteri che cellule nostre: senza di essi non cresceremmo e non ci comporteremmo come facciamo. Siamo ecosistemi, composti – e decomposti – da un’ecologia di microbi, il cui significato sta venendo alla luce solo ora. E neppure da questo punto di vista siamo speciali. I batteri ospitano batteri e virus più piccoli al loro interno. Anche i virus possono contenere virus più piccoli. Se la parola cyborg – abbreviazione di “organismo cibernetico” – descrive la fusione tra un organismo vivente e un pezzo di tecnologia, allora noi, come tutte le altre forme di vita, siamo symborg, o organismi simbiotici”.
Solo recenti tecnologie come il sequenziamento del DNA ci hanno consentito l’accesso ad alcuni dei segreti dei funghi. Anche se li usiamo da secoli come cibo o farmaci, sono sfuggenti, non si conservano bene, e questo rende difficile studiarli.
Al contrario delle opere del padre, quelli di Merlin non sono libri controversi, non si avventurano mai in terreni troppo scivolosi. Ma nelle cose che Merlin dice si riesce comunque a rintracciare qualcosa dello stesso spirito anti-dogmatico di Rupert, del desiderio di mettere in discussione il nostro sguardo sul mondo. “Da dove vengono le nozioni umane di identità, autonomia e indipendenza?” mi chiede, per esempio. “Forse sarebbe utile pensare a queste categorie come a domande, piuttosto che argomenti con risposte note in anticipo. Ma c’è una parte così ampia della vita quotidiana e dell’esperienza – per non parlare dei nostri sistemi filosofici, politici ed economici – che dipende dagli individui, che può essere difficile osservare questi concetti mentre si dissolvono. Questa confusione, che i funghi ci aiutano a tenere a mente, penso sia salutare e possa aiutarci a crescere – culturalmente, eticamente ed ecologicamente. E spero che questo momento possa aiutarci a scendere a patti con domande come queste, perché la nostra arroganza di specie ci ha messo nei guai”. È immaginando di essere superiori e separabili dal resto del mondo vivente che giustifichiamo la devastazione ecologica. “E le pandemie causate da nuovi agenti patogeni ne sono una conseguenza prevedibile. Forse possiamo acquisire l’umiltà di una specie come antidoto all’arroganza della nostra specie? Lo spero”.
Nel libro si parla anche di funghi allucinogeni (con resoconto personale) e di qualche aspetto gastronomico (durante la promozione Sheldrake ha anche caricato su Youtube un video in cui mangia un fungo cresciuto nel libro, che si alimenta dell’inchiostro con cui è stato stampato, raccolto e poi cotto in padella. Sapore ottimo, mi assicura). C’è però in particolare un concetto che viene messo in discussione dai funghi magici di Sheldrake: quello di intelligenza. Perché i funghi decidono e cambiano strategia a seconda delle circostanze. “Le definizioni scientifiche classiche di intelligenza sono antropocentriche e collocano gli esseri umani in cima a una grande classifica, seguiti da animali che ci somigliano (scimpanzé, bonobo, ecc.), e poi da altri animali ‘superiori’. Poiché i funghi, come le piante, non sembrano o non si comportano come noi – né hanno cervello – occupano tradizionalmente una posizione bassa in queste classifiche”. Ma negli ultimi decenni il concetto di intelligenza sta cambiando, e nel mondo della biologia ci si sta chiedendo sempre di più, per esempio, se è possibile parlare di intelligenza delle piante. “I cervelli non si sono sviluppati dal nulla, molte delle loro caratteristiche riflettono processi più antichi che esistevano molto prima che sorgessero cervelli riconoscibili. Oggi, molti sostengono che sia meno utile chiedersi se gli organismi sono intelligenti o meno, e più produttivo chiedersi in che misura un organismo potrebbe mostrare comportamenti intelligenti, e in tal senso sono state proposte moltissime definizioni. La maggior parte si riferisce alla capacità di un organismo di ricevere ed elaborare informazioni dal proprio ambiente, risolvere problemi, adattarsi a nuove situazioni e fare scelte tra azioni e sequenze alternative. In questa visione più inclusiva, i funghi affrontano moltissime questioni di intelligenza”.
Sheldrake spiega che quelli che noi chiamiamo funghi sono in realtà solo la parte esterna, perché per lo più i funghi vivono una vita sotterranea, come reti ramificate di cellule tubulari note come micelio. Queste reti possono estendersi per decine o addirittura centinaia di metri e sono soggette a un flusso incessante di informazioni sensoriali. “In qualche modo, anche senza un cervello, i funghi sono in grado di integrare questi numerosi flussi di dati, prendere decisioni e determinare le azioni adeguate. Per esempio, trovano il percorso più breve tra due punti in un labirinto; possono controllare lo sviluppo di corpi di insetti con un sorprendente grado di precisione; possono negoziare intricate relazioni commerciali con le piante; mantengono innumerevoli canali di comunicazione con altri organismi e con parti distanti di se stessi. Il micelio di alcune specie, poi, è elettricamente eccitabile e conduce picchi di attività elettrica lungo le ife, analoghi agli impulsi elettrici nelle cellule nervose animali, e non a caso i ricercatori stanno cercando modi per utilizzare le reti fungine come circuiti stampati viventi – o ‘biocomputer’ – che potrebbero fungere da sensori ambientali o svolgere altri compiti”.
I funghi affrontano moltissime questioni di intelligenza. Anche senza un cervello, sono in grado di integrare numerosi flussi di dati, prendere decisioni e determinare le azioni adeguate.
La devastazione ambientale a cui stiamo assistendo negli ultimi anni ha determinato un rinnovato interesse per questo mondo, e oggi abbondano le possibilità per impieghi ambientali dei funghi, sebbene ancora in una fase poco più che sperimentale: “alcuni funghi producono potenti composti antivirali che contrastano il collasso delle colonie nelle api mellifere; nel processo chiamato mycoremediation, i funghi possono essere sfruttati per abbattere gli inquinanti tossici; nella micofiltrazione l’acqua contaminata può passare attraverso il micelio fungino che filtra agenti patogeni e metalli pesanti; nella micofabbricazione, i funghi vengono utilizzati per produrre materiali sostenibili, dai mattoni alla ‘pelle’. E potrei continuare”. Ma ci sono ancora molte difficoltà tecniche: anche se un determinato ceppo si comporta in un certo modo in laboratorio, non necessariamente farà la stessa cosa una volta introdotto in un ecosistema contaminato. I funghi hanno esigenze – come ossigeno o fonti di cibo – che devono essere prese in considerazione. “Inoltre, la decomposizione avviene per fasi, in un susseguirsi di funghi e batteri, ciascuno in grado di riprendere da dove si erano interrotti i precedenti. Per questo, è ingenuo immaginare che un ceppo fungino addestrato in laboratorio sia in grado di muoversi efficacemente in un nuovo ambiente e svolgere la funzione che ci interessa senza difficoltà”. Ma Sheldrake anche su questo è sicuro che le cose cambieranno presto: “più li conosceremo più capiremo anche come superare questi ostacoli”.