La nuova via del fumetto di divulgazione scientifica
Storie, nozioni, immagini e poche didascalie: come la letteratura disegnata sta raccontando la scienza.
Storie, nozioni, immagini e poche didascalie: come la letteratura disegnata sta raccontando la scienza.
L a componente visiva è alla base della scienza. L’osservazione è il primo tassello del metodo scientifico classicamente inteso che poi, attraverso la formulazione di una teoria, la costruzione e realizzazione di esperimenti e infine la rigorosa modellazione logico matematica, giunge (sperabilmente) alla completa o momentanea comprensione del fenomeno trattato. E non è soltanto la ricerca scientifica a poggiarsi in qualche modo sulla necessità di visualizzare un fenomeno, ma anche la sistematizzazione e conseguente esposizione della ricerca: articoli e presentazioni fanno largo uso di grafici e immagini che, a corredo del corpo testo, consentono tanto di riassumere quanto di chiarire dati, metodi e conclusioni.
Come esseri umani, abituati come siamo a considerare la vista il nostro senso primario, abbiamo bisogno di supporto per dare ordine a quanto sappiamo del mondo che ci circonda. Alcune delle scoperte più interessanti e rilevanti partono infatti da (o si compongono interamente di) modelli e rappresentazioni visive: dalla struttura dei nuclei galattici attivi, con il buco nero centrale circondato dal disco di accrescimento e varie nuvole di gas, alla doppia elica del DNA, con le sue quattro basi azotate opportunamente accoppiate, fino alla forma filamentare delle strutture su grandissima scala dell’universo. Tutti oggetti, in senso ontologico, che si possono descrivere a parole e la cui natura certo non dipende dal fatto che noi sappiamo visualizzarli oppure no, ma la cui comprensione è tanto più semplice ed efficace quanto meglio sappiamo disegnarli. Al contempo concetti fisici intrinsecamente non visivi – le meraviglie della meccanica quantistica, dal dualismo particella-onda all’entanglement fino al collasso della funzione d’onda, a titolo di esempio – ci risultano inevitabilmente più ostici proprio per l’impossibilità di costruire delle immagini mentali che ci sollevino nella semplificazione dalla necessità di una modellazione più squisitamente matematica. “Zitto e calcola”, si ritiene dicesse Feynman ai suoi studenti, desiderosi di comprendere a fondo la natura quantistica del nostro universo.
Data quindi la cardinale importanza che osservazione e rappresentazione ricoprono nella scienza, non c’è da stupirsi (non troppo almeno) del largo utilizzo, soprattutto in tempi recenti, di linguaggi prettamente visivi come strumenti di divulgazione scientifica: immagini chiare e significative, circondate da testi esplicativi, sono un metodo certamente efficace per comunicare e far comprendere fatti e concetti al lettore curioso.
In questo contesto si inserisce perfettamente il grande proliferare di albi illustrati guidati dall’intento, più o meno esplicito, di trattare argomenti scientifici, ma anche il successo di tanta divulgazione animata che è possibile trovare su Youtube, in primis gli interessanti canali Kurzgesagt e Minute Physics. È tuttavia sorprendente che il fumetto, ultimo baluardo di crescita economica in un’editoria al collasso, sia in un certo senso rimasto indietro su quest’argomento: si scrivono e pubblicano graphic novel in quantità, d’ogni tipo e fattura, ma la divulgazione scientifica in senso stretto fatica a ritagliarsi uno spazio stabile in questo linguaggio che, a una prima analisi, sembra male adattarsi alle necessità del divulgatore. E se sempre di più la letteratura disegnata viene impiegata anche per questi scopi è evidente l’impaccio con cui si mette a servizio della scienza quando lo fa esplicitamente e con intenzione, a differenza di quanto accade con altre forme di non-fiction (magari più morbide) quali il graphic journalism e più in generale quello che chiamiamo fumetto di realtà.
In parte ritengo questo dipenda dalla difficoltà di conciliare il bisogno di chiarezza, di un’esposizione metodica di fatti e argomentazioni, con un linguaggio che sempre più si fa refrattario a fiumane di parole: la didascalia è un elemento ormai poco utilizzato, percepito da autori e lettori nel migliore dei casi come un rallentamento innecessario o un’interruzione fastidiosa del ritmo di lettura e nel peggiore come una scorciatoia a buon mercato per dire qualcosa che sarebbe stato più difficile veicolare direttamente tramite dialoghi e disegni. In un linguaggio nel quale il rapporto testo-immagine prevede che nessuna delle due componenti sia ancillare all’altra, la presenza di una voce onnisciente fuori campo tende invece ad essere soverchiante, spostando la componente testuale su un piano semiotico altro e forzando quindi i limiti di quanto si intende con “buon fumetto”. Il che pone un problema: come fornire al lettore le informazioni che si intende trasmettere senza che la necessità argomentativa diventi didascalismo e il didascalismo trasformi quello che doveva essere un fumetto in un saggio accompagnato da immagini?
Un buon esempio di equilibrio formale, in questo senso, è rappresentato dall’Unflattening di Nick Sousanis, dissertazione ad altissimo indice di densità di neuroscienza cognitiva e metatesto sul funzionamento più profondo e il conseguente valore del linguaggio fumetto stesso. La tesi di Sousanis è che non esista a livello cognitivo un rapporto di subalternità tra immagine e parola, e così nel suo lavoro parola e l’immagine si mantengono sempre sullo stesso piano linguistico: la didascalia non è mai autonoma, comprensibile in se stessa, mentre il disegno funge talvolta da paritario veicolo di informazioni e talvolta da esempio affinché il lettore possa testare in prima persona i ragionamenti esposti. Si crea così un ottimo parallelismo tra significante (il disegno come parte di un fumetto sull’interpretazione dell’immagine) e significato (il disegno come immagine da decodificare) che ricorda per efficacia la trilogia di Scott McCloud e che rappresenta il punto di massimo avvicinamento a un saggio a fumetti puro.
Come esseri umani, abituati a considerare la vista il nostro senso primario, abbiamo bisogno di supporto per dare ordine a quanto sappiamo del mondo che ci circonda.
Si potrebbe tuttavia argomentare che il fumetto sia un linguaggio perlopiù narrativo, capace di raccontare storie più che concetti o comunque più adatto a esprimere concetti attraverso le storie. In questo senso, nell’ostinata argomentazione (che pure non cede mai al didascalismo sterile e prolisso) e nel rifiuto di una vera e propria narrazione, Unflattening è estremamente radicale, quasi un unicum di oltranzismo sperimentale. La gran parte della divulgazione scientifica a fumetti sceglie invece la strada del racconto: in questo contesto si inseriscono la miriade di biografie di scienziati – sottocategoria non trascurabile della numericamente impressionante pubblicazione di libri biografici, quasi sempre stucchevoli – e una più contenuta produzione di fiction, intenta a raccontare la scienza “nascondendola” dentro il cavallo di Troia del racconto apparentemente di fantasia.
Partiamo dalle biografie. Si potrebbe pensare che raccontare la vita di qualcuno sia facile – in fin dei conti non c’è mica da inventarsi una storia da capo! –, ma ovviamente non è questo il caso: isolare l’anima di un personaggio storico per trasformare una serie di informazioni in una narrazione istruttiva in quanto coinvolgente è compito prevedibilmente ben arduo. Compito doppiamente arduo se la vita in questione è quella di uno scienziato, attraverso la quale si intende parlare della sua ricerca. Tuttavia non c’è da stupirsi se, con fortune alterne, divulgatori e fumettisti hanno spesso cercato di combinare l’animo narrativo del graphic novel più classico con il nucleo altrettanto narrativo di uno dei modus operandi più radicati della divulgazione: l’idea, cioè, che raccontare la scienza, raccontare la storia della scienza e raccontare la storia delle persone che hanno fatto la scienza siano, in fin dei conti, pratiche sovrapponibili che, pur con diversa metodologia, muovono dalla stessa motivazione per conseguire il medesimo fine.
Da questo punto di vista è interessante il lavoro svolto da Amedeo Balbi, capace divulgatore, in coppia con il fumettista Rossano Piccioni. Assieme, i due hanno prodotto Cosmicomic, pertinente sottotitolo “Gli uomini che scoprirono il Big Bang”. L’incredibile vicenda di Penzias e Wilson – che si imbatterono per sbaglio nella radiazione cosmica di fondo, che gli valse un Nobel – quanto la spiegazione delle implicazioni di tale scoperta, sulla quale si basa quasi per intero la moderna cosmologia, è puntuale e sistematica. Ma è al contempo evidente la difficoltà di combinare la credibilità storica con la necessità di fornire informazioni, anche basilari, a un lettore potenzialmente non specialista: abbiamo così, ad esempio, dialoghi improbabili tra scienziati che si scambiano quelle che sono, per loro, ovvietà. È certo apprezzabile che gli autori non abbiano ceduto nell’esplicitare questi concetti di base attraverso, per dirne una, note a margine, ma abbiano anzi preferito contenere tutte le informazioni utili nel racconto. È tuttavia altrettanto evidente come questo forzi i limiti della sospensione dell’incredulità. Se dal punto di vista dell’efficacia divulgativa il risultato è quindi più che apprezzabile, leggere Cosmicomic come oggetto narrativo quale è ne rivela, almeno in parte, la precarietà strutturale. Altri titoli, come il notevolissimo Marie Curie di Alice Milani, sono meglio riusciti nell’intento costruendo situazioni ad hoc per dare al lettore le informazioni che gli sono necessarie per comprendere almeno il nocciolo delle scoperte dello scienziato di turno. Ma è pur vero che lo sono titoli di solito maggiormente focalizzati, che si esauriscono nella vita di una sola persona, nell’interesse per un lavoro di ricerca più lineare e specifico.
A conti fatti, quella della divulgazione scientifica a fumetti è in generale una strada ancora poco pavimentata e ci troviamo probabilmente di fronte a una preliminare esplorazione delle potenzialità del linguaggio in questo senso. E se da un lato lo sperimentalismo estremo della pura saggistica rimane perlopiù sporadico, mentre avanza imperterrita la produzione di biografie troppo spesso sciatte, è forse nell’ibridazione tra fiction e non-fiction, tra argomentazione e narrazione, che si nascondono le vie più promettenti.
Per esempio Matteo Farinella, in coppia con Hana Ros, riesce bene nel proporre con Neurocomic una digressione sul funzionamento del cervello, mandando il suo protagonista in un viaggio letterale dentro all’encefalo durante il quale, sotto la guida di diversi Ciceroni che gli raccontano via via scoperte e misteri, impara e scopre assieme al lettore. L’espediente del viaggio per trasformare narrativamente l’esplorazione teorica in una letterale è una via ben solida, riproposta tra gli altri da Héloïse Chochois in La fabbrica dei corpi e dallo stesso Farinella in The Senses, seguito spirituale di Neurocomic. In questo volume, tuttavia, l’autore cede alla difficoltà di contenere tutto quanto ha da dire dentro al solo fumetto e fa largo uso di note testuali a fine volume mettendo in luce la difficoltà, analoga a Cosmicomic pur se diversa nei modi, di conciliare accurata completezza e fluidità narrativa.
La divulgazione è tanto più efficace quando riesce a mediare i propri intenti con le specificità di un linguaggio fatto in ugual misura da immagini e parole.
C’è poi, in questi casi in cui l’elemento di fantasia (sia questo il viaggio dentro al cervello o un elaborato esperimento di realtà virtuale per spiegare il funzionamento sensoriale) è il veicolo del dato scientifico, il rischio di farsi prendere la mano e uscire, almeno in parte, dal rigore di un’esposizione veritiera. Il che non è certamente un problema qualora sia chiaro dov’è posta la linea tra fatti e finzione. In Non è mica la fine del mondo di Francesca Riccioni e Tuono Pettinato, ad esempio, si racconta la catastrofe climatica attraverso un’allegra combriccola di alieni in gita sulla Terra ormai devastata: non c’è dubbio che i mostriciattoli siano lo strumento di fantasia attraverso cui esporre la realtà del disastro ambientale. Mars Horizon di Florence Porcel e Erwann Surcouff, al contrario, spiega efficacemente le difficoltà (ma anche il fascino) del colonizzare il Pianeta Rosso attraverso una storia di fantascienza ambientata nel prossimo futuro, le vite di verosimili pionieri spaziali ci raccontano quanto ad oggi sappiamo sull’adattamento dell’uomo a simili condizioni estreme. Ma poi il fumetto esce del tutto dalla veridicità quando racconta la scoperta di grandi esseri viventi su Europa, ponendo così reale e fantastico, scienza e fantascienza, sullo stesso piano quando invece dovrebbe essere chiara la differenza.
Forse il progetto che, nel complesso, meglio riesce a coniugare l’animo divulgativo con un’appropriata ricerca formale e soprattutto con una genuina tensione narrativa è la collana digitale ERCcOMICS che, finanziata dall’Unione Europea, ha visto la collaborazione di diversi fumettisti di primo piano con altrettanti ricercatori dello European Research Council. Gli argomenti trattati vanno dall’antropologia culturale all’astrofisica, dalla biologia alla ricerca dell’invisibilità, quasi sempre adattando o piegando la forma e la grammatica del linguaggio fumetto in nome di una narrazione che sia fresca ed efficace ma che mantenga la vocazione di raccontare con rigore la scienza. Così, in Fabula, Lorenzo Ghetti e Francesco Guarnaccia rappresentano un software automatico per la ricerca di fake news umanizzando il programma e rendendolo protagonista in un mondo fantasy nel quale opera come sbufalatore professionista di dicerie popolari. In Max Order, invece, Fiammetta Ghedini e Massimo Colella raccontano il machine learning utilizzandolo direttamente nella creazione del fumetto (generato parzialmente da un’intelligenza artificiale) la cui protagonista è una giovane artista che copia e riproduce opere già esistenti. E copiando impara. E migliora fino a imparare a creare da zero. Esattamente allo stesso modo dei computer oggetto della ricerca che il fumetto intende divulgare.
È sorprendete quanto invidiabile l’efficacia con cui gli autori di ERCcOMICS, lavorando a stretto contatto con i ricercatori, siano riusciti nel difficile compito di creare dei fumetti che siano narrativamente solidi e al contempo chiari in un’esposizione che non punta a farsi banale strumentino didattico. L’obiettivo, centrato pienamente, è raccontare i concetti centrali, “l’anima” potremmo dire, dei progetti di ricerca più che sciorinare mille tecnicismi: “fanno tanto scienza” ma finiscono subito per esser dimenticati e, forse, nemmeno sono così importanti. E allora magari è questo il punto d’arrivo verso il quale il fumetto si sta lentamente ma con decisione muovendo: che siano biografie oppure opere ibride tra narrazione e nonfiction, la divulgazione è tanto più efficace quando riesce a mediare i propri intenti con le specificità di un linguaggio fatto in ugual misura da immagini e parole, un linguaggio nel quale racconto e spiegazione possono, con le giuste intuizioni e le migliori intenzioni, andare a braccetto.
Estratto da Hamelin 48 – Le meraviglie.