A ll’ennesima richiesta di una copia della foto che lo ritraeva in maniche di camicia intento a suonare i bongo, Richard Philips Feynman era sbottato: “Il fatto che io percuota un tamburo non ha nulla a che vedere con il fatto che io mi occupi di fisica teorica. La fisica teorica è un’impresa umana, uno degli sviluppi più alti degli esseri umani – e trovo che questa continua voglia di dimostrare che le persone che la fanno sono umani, mostrando che fanno altre cose che pochi altri esseri umani fanno (come suonare i bongo) è un insulto nei miei riguardi. Sono abbastanza umano per dirvi di andare all’inferno” (R. P. Feynman a Tord Pramberg, 4 gennaio 1967). Mai avrebbe potuto sospettare, nel 1967, che quella foto sarebbe diventata popolare quasi quanto quella della linguaccia di Einstein.
Un’equazione, una teoria, un libro, una collezione di aneddoti e di immagini, un atteggiamento particolare: cosa fa di uno scienziato un’icona della cultura popolare? Cosa lo fissa sulla parete di una stanza accanto alla gonna svolazzante di Marilyn o alle smorfie di qualche boy band? La linguaccia o suonare i bonghi sono solo gli elementi più visibili agli occhi di un quadro che ha per cornice la credibilità, come scienziato, di quello che ci piace percepire come un genio.
Siamo affezionati a questa parola – genio – sostantivo che ben si presta alle espressioni parassite: se c’è un genio è quasi sempre ribelle, isolato, sregolato, incompreso e pure sopravvalutato. Il genio è una merce che i biografi “umanizzano” e rendono amabile o detestabile, accessibile a tutti, raccontandone i pregi e i difetti, le passioni e le manie. Ma non basta fissare i contorni del genio, tracciarne le caratteristiche visuali e caratteriali, per farne un’icona pop. La “forma bastarda della cultura di massa” (per citare Barthes) ha bisogno di miti da celebrare, di santi profani di cui diffondere il verbo ogni volta che si può, soprattutto ora che c’è internet e il popolare vira al virale. Un mago, ecco cosa serve, quello che quando hai visto cos’ha fatto ti chiedi: “Ma come ha fatto?”. Richard Feynman appartiene a questa categoria, è stato un mago di altissimo livello, e ad alimentare questa mitologia ci hanno pensato, curiosamente, i suoi stessi colleghi. Max Kac, matematico polacco che condivide con Feynman una formula, scrisse:
Ci sono due tipi di geni: i geni “ordinari” e i “maghi”. Un genio ordinario è un tipo come potrebbe essere uno di noi se solo fosse molte volte più bravo. Non c’è nessun mistero nel modo in cui funziona la sua mente. Con i maghi è diverso, (…) il comportamento della loro mente è del tutto incomprensibile. Raramente, o forse mai, hanno allievi, perché non possono essere emulati e deve essere terribilmente frustrante per una mente giovane e brillante confrontarsi con i modi misteriosi con cui funziona la mente del mago.
Sulla falsa riga di Kac, il fisico Hans Bethe, mentore di Feynman, sosteneva che egli era “un mago che fa quello che nessun altro potrebbe fare, e che sembra completamente inaspettato”. Anche Freeman Dyson, allievo di Bethe, conobbe bene Feynman, “il giovane professore americano, metà genio e metà buffone che diverte tutti i fisici e i loro figli con la sua vitalità effervescente”, come aveva scritto in una lettera ai parenti nell’estate del 1948. Avrebbe precisato, quarant’anni dopo, che in realtà “era tutto genio e tutto buffone. Il pensiero profondo e la clowneria gioiosa non erano parti separate di una doppia personalità… Egli pensava e faceva il pagliaccio allo stesso tempo”. Genio, figuriamoci mago, non era però una parola del vocabolario di Feynman e non lo è di gran parte degli scienziati, che mal sopportano il suo uso popolare.
Come nasce una stella
Il culto del fisico americano, per alcuni, ha origine nel 1965, l’anno del Nobel, e si sviluppa negli anni a seguire, sostenuto dall’aneddotica che poi confluirà in due popolari raccolte curate dall’amico Ralph Leighton e pubblicate negli anni Ottanta: Surely You’re Joking, Mr. Feynman! Adventures of a Curious Character del 1985 e What Do You Care What Other People Think? Further Adventures of a Curious Character del 1988, l’anno della morte.
Prima del Nobel accadono almeno un paio di cose importanti, nulla che lo renda immediatamente popolare, ma mattoni fondamentali nell’edificio del genio. Nel 1963 viene pubblicata la prima edizione delle Lectures on physics (dal 2013 disponibili on-line), la raccolta delle lezioni di fisica tenute al CalTech tra il 1962 e il 1963, il libro che tutti i fisici hanno sfogliato almeno una volta nella vita. L’anno dopo lo trovate a spiegare i fondamenti della fisica in una serie di lezioni che vengono registrate dalla BBC e poi trascritte e raccolte, nel 1965, in The character of physical law. Nel 1964 è anche protagonista, con Murray Gell-Mann e Yuval Ne’eman, del quarto episodio di Horizon, una serie di documentari, sempre della BBC, che diventerà popolarissima ma che ancora non lo è. Neanche lui lo è, la sua fama non è pari a quella di Niels Bohr o di Paul Dirac e neanche a quella Julian Schwinger, il timido, formale e maniacale professore di Harvard, uno dei due fisici con cui condivide il Nobel. L’altro è Shin’ichirō Tomonaga che di sicuro vi rimarrà in mente una volta appreso che non potè partecipare alla cerimonia di premiazione perché qualche giorno prima, dopo una colossale bevuta, ubriaco, era scivolato nella vasca da bagno e si era rotto sei costole.
Feynman conquista il Nobel anche per aver introdotto una rappresentazione grafica dei processi di interazione tra le particelle cariche, un’opera potente, che occupa un posto speciale nella storia della fisica, probabilmente in quella della scrittura tutta. I diagrammi di Feynman non erano però semplicemente schemi “narrativi” ma strumenti di calcolo che Freeman Dyson aveva tradotto nel linguaggio matematico ordinario e resi accessibili a tutta la comunità dei fisici. Scarabocchiarli è una delle attività preferite dei fisici delle particelle, una pratica che permette di comunicare rapidamente le idee che germogliano attorno a quei fenomeni. L’attitudine alla visualizzazione e alla comunicazione in generale, Feynman la conserverà fino alla fine dei suoi giorni.
L’incidenza del Nobel sulla popolarità del nostro è però pressoché irrilevante. Passano quindici anni in cui non viene pubblicato un solo libro che lo citi, nessun libro divulgativo intendo, in un periodo in cui invece i testi per le università col suo nome tra le pagine abbondavano. Del resto anche lui è assai impegnato, è alla caccia della comprensione dei costituenti primi della materia, e pubblica solo su riviste di settore o libri che titolano Photon-Hadron Interactions, robe per specialisti, niente che possa far drizzare le orecchie dei biografi. Nel 1973 si concede una pausa e un’intervista alla televisione pubblica dello Yorkshire, dove sta passando le vacanze con la terza moglie, Gweneth Howarth, che è di quelle parti. Nel cortometraggio, che ha per titolo Take the world from another point of view e che verrà trasmesso negli Stati Uniti dalla PBS, lo potete veder passeggiare e discutere di fisica, seduto al pub, con un nativo dello Yorkshire, l’astrofisico Fred Hoyle.
Una piccola dose di popolarità arriva nel 1981 e a somministrarla è ancora la BBC col documentario The Pleasure of Finding Things Out (da non confondere con il libro del 1999, curato dai figli Carl e Michelle, che ha il medesimo titolo). È qua che Feynman si mette a nudo, che racconta la sua vita e la sua carriera, i suoi dubbi e i suoi tormenti, l’orrore della bomba e la bellezza di un fiore. È qua che semina quello che a breve raccoglierà. Due anni più tardi arriva Fun to imagine, una serie dell’onnipresente BBC in cui spiega “perché gli elastici sono elastici, perché le palline da tennis non possono rimbalzare per sempre e quello che state osservando davvero quando vi guardate allo specchio”. Diventa “the great explainer” e tutto quello che del suo passato era sfuggito, comincia a essere recuperato. Nel 1985 escono il già citato Surely You’re Joking, Mr. Feynman! Adventures of a Curious Character e QED: The Strange Theory of Light and Matter, una trattazione elegante ma non semplice dei principi dell’elettrodinamica quantistica. Feynman divaga e divulga, a modo suo s’intende, e l’icona prova a sbocciare. Qualcosa di terribile sta però per accadere.
In un bicchiere
Il 28 gennaio 1986, a 73 secondi dal lancio, lo Space Shuttle Challenger esplode in volo, uccidendo tutti i sette membri dell’equipaggio. Tra loro c’è Christa McAuliffe, insegnante di Concord, la capitale dello stato del New Hampishire, ammessa a bordo per aver vinto un concorso nazionale, che si preparava a raccontare lo spazio a tutti gli studenti d’America. Una tragedia enorme, il peggior incidente nella storia dei programmi spaziali degli Stati Uniti, senza alcun dubbio. Ronald Reagan istituisce una commissione d’inchiesta e arruola, tra gli altri, Dick Feynman. La sua battaglia contro William Rogers, presidente della commissione e politico di professione, è ormai leggenda. Rogers, com’è abitudine di chi per professione deve mediare (e a volte, per dolo, deve insabbiare), intendeva chiuderla in maniera indolore per le istituzioni: era stato il destino cinico e baro, un incidente imprevedibile del quale la NASA non aveva colpe.
Feynman aveva i suoi metodi e il suo stile, del tutto differenti, e approfittando di una trasmissione televisiva che riprendeva i lavori della commissione, infilando un circoletto di gomma dentro un bicchiere di acqua ghiacciata, aveva mostrato a tutti come il motivo del disastro poteva essere attribuito all’irrigidimento di una guarnizione di quel tipo dovuta al repentino abbassamento della temperatura. Rogers fece il possibile per escludere le considerazioni di Feynman dalla relazione ufficiale – “sta diventando una vera e propria sofferenza” aveva confessato ai suoi collaboratori – ma fu costretto ad accettare un compromesso, un’appendice alla relazione ufficiale della commissione con una nota personale di Feynman. “Affinché una tecnologia abbia successo, la realtà deve avere la precedenza sulle relazioni pubbliche, perché la natura non può essere ingannata”, così si concludeva.
I giornalisti scoprono Feynman e lo vivisezionano, recuperando tutto quello che è depositato su nastro o su carta. Nel 1986 la stampa non specializzata si appassiona al fenomeno Feynman e da febbraio a giugno Surely You’re Joking, Mr. Feynman! oscilla tra il sesto e l’ottavo posto della classifica dei libri di saggistica più venduti negli Stati Uniti. Il personaggio è servito. Feynman è già molto malato, ma non domo. L’anno dopo trova ancora la forza di raccontare la vicenda del Challenger in Mr. Feynman Goes to Washington, la storia di “un professore di Caltech che vaga nei corridoi del potere ed emerge con il suo senso d’equilibrio e l’umorismo intatti”, come l’ingenuo e integerrimo Jefferson Smith, il boy-scout di Mr. Smith Goes to Washington.
L’articolo diventa un capitolo di What Do You Care What Other People Think? Further Adventures of a Curious Character, la seconda puntata dell’aneddotica curata da Leighton che viene pubblicata nel 1988, l’anno della morte. Un altro best-seller. Da qua in poi le biografie s’accumulano e la più venduta è la prima, Genio – un titolo per nulla casuale – l’opera indispensabile di James Gleick. Poi verrà tanto altro, perché a partire dall’ultimo decennio del secolo passato la fisica delle particelle comincia a essere divulgata in tutte le salse. A fine secolo esplode pure il web, poi la mania dei social e chi ci sta dentro. I pezzi di Feynman li trovate ovunque, riciclati di continuo, tra bonghi e diagrammi. Le citazioni si sprecano, ne guadagna anche di apocrife, di Gell-Mann o Einstein, la certificazione definitiva di canonizzazione nella cultura pop.
La popolarità sul web può ormai essere facilmente misurata, ad esempio determinando la frequenza con cui una parola o una frase vi è ricercata. Lo strumento principe è Google Trends che però ha il difetto di restituire le ricerche effettuate solo dal 2004 in poi. Lì, le informazioni sul nostro dicono poco, si apprende per esempio che la sua fama digitale, tra il 2004 e il 2007 ha un calo e poi s’assesta su un valore pressoché costante. A leggere le statistiche si scopre poi che chi cerca “richard feynman” cerca anche e soprattutto “citazione” e “la fisica di feynman”; si tratta dunque soprattutto dei maniaci della condivisione “intelligente” o di studenti. Più interessante è il confronto con un collega di pari “fama editoriale”, Stephen Hawking. Sul web non c’è storia: la popolarità di Hawking è costantemente e nettamente superiore. Il picco che raggiunge nel 2014 è impressionante e si deve quasi esclusivamente a un film, La teoria del tutto, uscito proprio in quell’anno (anche a Feynman, nel 1999, era stato dedicato un film, Infinity, di e con Matthew Broderick, calcolato da pochi). Di Hawking colpiscono la malattia, il quoziente d’intelligenza e, solo in secondo ordine, i contenuti del suo lavoro. Hawking è l’icona del genio sfortunato, del dramma di una mente brillante dentro a un corpo che appassisce, un’immagine potentissima.
“Scienziati come celebrità: cattivi per la scienza o buoni per la società?” si chiede Lawrence Krauss, l’autore de La fisica di Star Trek, in un articolo ricco di cliché pubblicato l’anno scorso sul Bulletin of the Atomic Scientists, rispondendo che “gli scienziati che superano i confini della scienza e diventano veri e propri personaggi pubblici” vanno incoraggiati, non ostacolati. Krauss ama molto l’universo digitale e lì si espone parecchio: dovrebbe ricordarsi, però, che la claque del web ha la memoria corta. La celebrità non è un valore, l’autorevolezza e l’integrità lo sono, e la dignità, tutte le qualità che in quella trasmissione del 1986, davanti a un bicchiere d’acqua ghiacciata, Richard Feynman mostrò a milioni di americani.