Ospitiamo un breve saggio del prof. Enrico Alleva del Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale.
I piccoli parchi urbani, di notte, si trasformano in palestre e zone di caccia. Nei giardini pubblici più grandi e più alberati avvengono attività venatorie affascinanti, a saperle osservare. L’orario migliore è subito dopo il tramonto o subito prima dell’alba, quando i rapaci notturni si appostano, immobili, sui loro roosting place, i punti di posta: rami di albero, cornicioni, davanzali o pali della luce, muretti, fili elettrici ben tesi – questi ultimi i preferiti da civette e allocchi. Lì i rapaci restano fermi per un po’ – qualche minuto, fino a 5-6 per gli allocchi, ma la durata varia in base alla specie, alla tecnica di caccia e alla disponibilità delle prede.
Sfruttano la capacità di poter ruotare la testa di quasi 360 gradi senza muovere il resto del corpo, e individuano la preda grazie al finissimo udito. Così si spiega quella “faccia da gufo”, con due coni di piume e piccole penne che si fondono in un unico imbuto cuoriforme: servono a convogliare nelle due orecchie (leggermente asimmetriche) suoni anche minimi. Lo spostamento di una foglia o di un ciuffo d’erba, il rametto spezzato dal passaggio di un ratto o dal salterello di un topo, uno scambio di squittii di due roditori, l’incedere da piccolo carro armato di un coleottero, uno scarabeo-rinoceronte magari, che appare alle loro orecchie come il ronzio militarizzato di un piccolo tank. Tutte tracce acustiche che svelano la preda, trasformandola in un appetitoso boccone, di solito inghiottito tutto intero.
Altra caratteristica, soprattutto per barbagianni e allocchi, è quella di essere provvisti di una gola larghissima e profonda. L’etologo nottambulo, magari provvisto di apposita strumentazione e di “visore notturno” (si va dall’economico apparecchio a infrarossi al sofisticato e più dispendioso intensificatore di brillanza) potrà così scorgere un biancastro barbagianni che vola via con la coda di un ratto che spunta sghemba dal lungo becco socchiuso. Ricordo ancora le acrobazie di caccia di una famiglia di allocchi che osservai, in primavera, a Parco Nemorense, a Roma, tra la luce giallastra dei lampioni e le piccole nubi di polvere che si sollevavano dalla ghiaia dei vialetti. O le planate un po’ goffe di un giovanissimo barbagianni, poco più di un nidiaceo, che si cimentava con i grossi ratti che infestavano le vasche di itticoltura di Ansedonia, nella maremma grossetana: aspettava i quadrupedi allo scoperto, quando attraversavano una poco frequentata stradina nei pressi della spiaggia.
L’eleganza del gufo
L’arma segreta del gufo, invece, è il suo volo silenzioso, radente, con le ali che si muovono potenti e colpiscono l’aria, senza lasciare alcun indizio acustico o sibilo che farebbe scappare all’improvviso la preda, facendo fallire l’attacco.
Come succede? Il trucco è nelle penne. In generale, la struttura delle penne degli uccelli è questa: c’è il rachide, ovvero il “bastoncino” centrale, ci sono i vessilli destro e sinistro, la parte soffice e colorata, e poi il calamo, la punta. Il vessillo è costituito da una serie di barbe: sono dei filamenti che partono perpendicolari al rachide. Ogni barba poi ha altre ramificazioni chiamate barbule. E ogni barbula ha degli uncini microscopici che servono ad agganciare le barbe e le barbule le une alle altre. Microscopici gancetti che si allineano sulle penne, e le compattano: in modo molto simile, ma più delicato, di come funziona il velcro.
Tutte le specie di uccelli hanno potenti penne alari, quelle che permettono il volo. Possono essere allungate, per permettere eleganti evoluzioni nell’aria (è il caso di falchi pellegrini e nibbi), oppure più tozze e corte, per permettere colpi d’ala potentissimi, e quindi scatti veloci e repentini come quelli di sparvieri e astori.
Al contrario delle penne dei rapaci, che hanno contorni molto netti, e sono rigide e compatte, le penne dei rapaci notturni (gufi, allocchi, civette) hanno invece un contorno frastagliato. La punta delle penne del rapace notturno è infatti praticamente priva di quei piccoli ganci di cui parlavamo, il che ne fa una penna sgraziata e apparentemente meno efficiente. Il bordo sfilacciato è poco pratico, da un punto di vista prettamente aerodinamico: riduce la potenza dello slancio provvisto dallo scatto muscolare delle fibre connesse con la loro base, fissata sull’osso sterno “carenato” che sporge dal petto. Poco pratico e meno potente, ma del tutto silenzioso: per piombare sulla preda con un unico efferato colpo obliquo.
Giocare con i pipistrelli, al buio
I pipistrelli sono esseri “nascosti”, che sembrano ben più rari di quanto in realtà siano. Rappresentano, a livello globale, una porzione considerevole di tutti i mammiferi terrestri viventi: secondo alcune stime sono circa un terzo di tutte le forme mammifere, secondo altri calcoli sono tra un quarto e un quinto del totale. In Italia sono poco considerati dal pubblico. Perché sono notturni, e incutono ribrezzo, quando non paura, ma anche perché molte specie di pipistrelli sono concentrate nelle zone tropicali del pianeta.
I pipistrelli sono importanti regolatori dell’ecologia urbana, soprattutto nelle grandi città metropolitane. Divorano continuamente grandi masse d’insetti, tra cui le zanzare, ma anche altri artropodi nocivi per l’agricoltura, la floro-vivaistica e la frutticoltura. In Italia non esistono, come invece in molte zone del mondo, pipistrelli che si nutrono di frutta, né pipistrelli nettarivori o pescatori.
Le nostre interazioni con i pipistrelli sono scarse. Non ci accorgiamo che sono animali migratori, ovvero che compaiono solamente in alcune stagioni, nelle nostre città, dove ovviamente svolazzano soprattutto nelle zone verdi, dove le prede sono più abbondanti. Li abbiamo allontanati dai centri abitati, trasformando sottotetti e abbaini in comode e leziose garçonnier, murando porte e finestre di vecchi ruderi o estirpando, perché “anestetici”, i vecchi tronchi secchi che invece rappresentano comodi rifugi per pipistrelli sia in ibernazione (letargo) che in sosta, di ristoro durante la migrazione.
Ma gli appassionati di pipistrelli sono molti, e in crescita. La sempre più popolare citizen science, di impronta anglosassone, sta garantendo un nuovo massiccio sforzo di osservazione scientifica ecologica – e anche ecologista – del popolo e per il popolo. Luoghi di elezione per poter osservare i pipistrelli sono le zone umide, le pozze d’acqua all’interno dei parchi cittadini o le zone cosiddette a habitat frammentato: quelle aree suburbane dove le villette si annidano tra giardini di medie o grandi dimensioni. Il momento migliore per osservare da vicino i pipistrelli è quando nel cielo si raggrumano grandi quantità di insetti, per esempio sopra pozze e laghetti nel momento in cui, da larve acquatiche, “sfarfallano” e diventano adulti: è proprio in questa fase delicata che i pipistrelli li attendono al varco, per cibarsene. Mi è capitato di osservare pipistrelli che garruli banchettano sulla massa di maschi alati di formiche o formiconi: secondo il molto colto e pratico evoluzionista Adriano Martinoli, dell’Università dell’Insubria, a Varese, i luoghi d’elezione per entrare in contatto restano gli specchi d’acqua “ferma”, laghetti e stagni, ma anche semplici anse o rallentamenti di fiumi e fiumiciattoli cittadini.
Osservare pipistrelli con il binocolo è praticamente impossibile, dato che il loro volo è assai turbinoso e cangiante. Il motivato bat-watcher utilizza un’arma segreta: il bat-detector, quell’apparecchio che (oramai commercializzato in rete e utilizzabile con estrema facilità) permette di “trasdurre” in suoni udibili gli squittii ultrasonici che il pipistrello utilizza come sonar per individuare e catturare le prede ed evitare ostacoli. Esistono parecchie versioni di bat-detector, tutte economicamente più che accessibili (tra i 35 e i 70 euro). Per attrezzature più professionali e costose, magari da acquistare in gruppo, rimando al catalogo completo del Natural History Book Catalogue.
Con il bat-detector è possibile, in base ai suoni resi udibili in cuffia, comprendere quale specie di pipistrello stiamo osservando. Esistono infatti manuali che illustrano e caratterizzano suoni, ronzii e click caratteristici delle varie specie italiane.
Un altro sistema utilizzato dai cultori dell’arte di avvicinare i pipistrelli – ma anche da chi vuole aumentarne la popolazione nel proprio giardino per poter diminuire le locali concentrazioni di zanzare e insetti nocivi per l’orto o il balcone – è quello di mettere in posa delle speciali bat-boxes: versioni particolari delle ben più note e utilizzate nest-boxes per uccelli, le casette-nido. Qualche anno fa le Coop, in singolare e meravigliosa combutta col bellissimo museo fiorentino della Specola, distribuirono, almeno in Toscana, diverse bat-box. Durò poco, purtroppo.
L’impossibilità di un incontro
L’ansia securitaria è una brutta bestia, fa scorgere nemici e pericoli ovunque, cambia le nostre vite, non di rado in peggio. La decisione, che da qualche anno sembra quasi ineluttabile, di cingere con insormontabili inferriate giardini, giardinetti e piccoli parchi delle nostre città, ha finito per isolarci. Abbiamo “carcerato” il verde pubblico che resta nei quartieri centrali delle metropoli ottenendo l’effetto, perverso, di separare noi comuni cittadini da quel poco di vita notturna naturale che ci spetterebbe di vivere col buio, da quel silente coacervo composto di silenziose esistenze di gufi, civette, barbagianni in caccia o in amore, e dalle tante specie urbane di pipistrelli che setacciano i cieli a caccia perpetua di zanzare, tarme e altri insetti.
Insomma, la paura ha reso inaccessibili dopo il tramonto i nostri pacifici giardinetti diurni. Questo rende culturalmente impossibili le saltuarie passeggiate “darwiniane” notturne in città, ledendo, inibendo e soffocando i delicati rapporti tra umanità cittadine e animali notturni. Un’altra piccola porzione di natura armonica che soffre, qualche ulteriore elemento di bioetica cittadina che sfuma nella zoofobia e nella superstizione: quella che per secoli ci ha fatto etichettare come “animali del malaugurio” degli innocui, utilissimi regolatori di popolazioni urbane di tarme, tarli, zanzare, topi, ratti e altre specie inurbate che invadono invece senza disturbo le nostre città, e dunque le nostre vite.