C ontrariamente a quel che accade in quasi tutti gli altri Paesi occidentali, negli Stati Uniti la prima causa di morte tra i giovani adulti non è il cancro, e nemmeno gli incidenti stradali, ma l’overdose, soprattutto per via degli oppioidi sintetici e in special modo del fentanyl, una sostanza che ha preso ormai talmente piede da portare il più ricco Paese del mondo sull’orlo di una crisi sanitaria senza precedenti. Secondo i calcoli dei Centers for Disease Control and Prevention, di fentanyl e altri oppioidi muoiono già oltre 80mila cittadini americani ogni anno: più di 200 decessi al giorno, nove all’ora – abbastanza da farne una questione di sicurezza nazionale. Parlare esclusivamente di un’emergenza sanitaria appare però una semplificazione che non aiuta a comprendere del tutto la pervasività e la complessità del fenomeno in corso. Da dove partire, allora?
Per addentrarsi nell’attuale crisi da fentanyl e oppioidi negli Stati Uniti può essere utile cominciare da una conoscenza più puntuale della sostanza in questione, senza dimenticare il contesto socioculturale in cui viene utilizzata. Se, dunque, in ambito farmacologico le sostanze psicoattive vengono distinte in diverse categorie in funzione degli effetti esercitati sul sistema nervoso centrale, gli oppioidi naturali e di sintesi come la morfina e l’eroina rientrano nella categoria delle droghe che riducono il dolore. Il fentanyl (o fentanil) è infatti un analgesico dalla rapida insorgenza e dalla breve durata d’azione, 100 volte più potente della morfina e 50 volte più dell’eroina. È utilizzato per trattare il dolore cronico, soprattutto quello neoplastico, o come anestetico prima di interventi chirurgici o manovre “invasive”. Il farmaco attraversa con facilità la barriera emato-encefalica, e se iniettato in vena produce effetti in meno di 30 secondi, tra i quali il “flash” tanto ricercato dai consumatori di eroina. Una pillola con un contenuto superiore a 2 milligrammi può però risultare fatale per l’essere umano.
Il più potente derivato del fentanyl è il Sufentanil, che presenta una potenza da 500 a 1.000 volte superiore a quella della morfina. Alfentanil, Carfentanil e Remifentanil rappresentano i cosiddetti fentanili, ossia antidolorifici maggiori nelle diverse farmacopee nazionali a base di molecole derivate dal fentanyl e con indicazioni farmacologiche simili. Il Carfentanil, per la sua capacità anestetica, è destinato all’uso sugli animali di grossa taglia, soprattutto pachidermi. La molecola sintetizzata nel 1976 dal farmacologo Paul Janssen è così potente – circa 100 volte il fentanyl – che il dosaggio massimo per gli esseri umani si aggira intorno al microgrammo, vale a dire un milionesimo di grammo. Accanto ai fentanili, approvati come farmaci, si trovano decine di altri prodotti, fra i quali numerosi brevetti scaduti, che non sono mai stati approvati e neppure proposti per l’uso umano. Di molte di queste sostanze la potenza non è nemmeno nota, eppure vengono prodotte illegalmente e regolarmente commercializzate nel dark web.
Il fentanyl attraversa con facilità la barriera emato-encefalica, producendo quel ‘flash’ tanto ricercato dai consumatori di eroina.
Un chilogrammo di fentanyl in purezza acquistato tra i 3.500 e i 5000 dollari al mercato nero, trattato, “tagliato” e rimesso sul mercato in circa 600mila pillole del valore di 20 dollari ciascuna, offre un ricavo finale di circa 340 volte l’investimento iniziale. Lo stesso quantitativo di eroina – comprato a 50.000 dollari al chilogrammo – genera un utile non superiore a quattro volte la cifra di partenza. Sono questi i numeri del gigantesco narco-affare dell’antalgia sempre più orientato agli antidolorifici di sintesi chimica, e sempre più indifferente alle conseguenze sociosanitarie sulle vite dei consumatori dipendenti e non.
Benché sia in aumento il numero di laboratori per la produzione illecita scoperti anche in Europa, va puntualizzato che la sintesi del fentanyl è assai più complessa di quella della metamfetamina e richiede una certa competenza, oltre che attrezzature specifiche. Dagli anni Novanta le prescrizioni relative alla terapia del dolore – inizialmente tramadolo e ossicodone sotto forma di cerotti, lecca-lecca e spray sublinguale, al fine di evitare quanto più possibile il sovradosaggio – hanno registrato un’indubbia impennata, determinando negli Stati Uniti, a partire dal 1999, la cosiddetta prima ondata di decessi per overdose da oppioidi. Il fentanyl, assorbibile anche per via transdermica, ha provocato numerose intossicazioni anche fra i poliziotti americani nell’azione di maneggiare partite sequestrate senza l’utilizzo di guanti o a causa di inalazioni involontarie nel corso di sequestri.
La seconda ondata ha visto il suo esordio nel 2010, con lo spostamento dei consumi dagli oppiacei legali e regolarmente prescritti a quelli illegali, essendosi prodotta per molti consumatori, divenuti nel frattempo dipendenti patologici, la necessità di un approvvigionamento più consistente. La terza ondata è cominciata invece nel 2013, con aumenti significativi dei decessi per overdose da oppioidi sintetici, soprattutto fentanyl prodotto illegalmente e utilizzato spesso in combinazione con eroina, cocaina e altre droghe sintetiche. Quella che gli Stati Uniti stanno vivendo da poco prima della pandemia di Covid-19 è pertanto definibile come la quarta ondata di decessi da oppiacei, caratterizzata per lo più da morti per overdose da fentanyl e sostanze stimolanti.
Nel 2021 quasi un terzo di tutti i decessi per overdose ha coinvolto l’associazione con gli stimolanti, i quali aumentano di fatto la tolleranza agli oppioidi stessi e inducono il consumatore a utilizzarne in quantità maggiore, con l’evidente rischio di incorrere in dosi letali. Nella scelta dell’abbinamento tra sostanze, il Nordest degli Stati Uniti appariva più propenso alla cocaina, l’Ovest e la maggior parte del Midwest si orientava verso le metanfetamine. Secondo un recente studio epidemiologico, la percentuale di overdose da fentanyl negli Stati Uniti è aumentata di oltre cinquanta volte negli ultimi dodici anni.
L’ascesa degli oppioidi negli Stati Uniti dipende da una molteplicità di cause che vanno dalla liceità della prescrizione all’aggressività del marketing delle aziende farmaceutiche.
Nel 2023 la forma di poliabuso che ha destato le maggiori preoccupazioni è stato il mix fentanyl-xilazina (tranq o “droga dello zombie”), da alternare eventualmente ad altri stimolanti in grado di provocare una pervicace dipendenza, con una stima di avvelenamenti fatali cresciuta dai 260 casi del 2018 e ai 3480 del 2021. La Drug Enforcement Administration (DEA) ha precisato che in molte regioni, soprattutto del Nordest degli Stati Uniti, quasi il 90% del fentanyl da contrabbando contiene la xilazina, un analgesico e sedativo non oppioide il cui utilizzo è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) a partire dal 1972, ma esclusivamente per uso veterinario non cronico. La xilazina è acquistabile per soli 6 dollari al chilo su siti internet dedicati, in special modo cinesi, e ha perciò creato non pochi grattacapi nelle recenti relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti.
L’ascesa degli oppioidi negli Stati Uniti, ossicodone prima e fentanyl più di recente, dipende da una molteplicità di cause che vanno dalla liceità della prescrizione all’aggressività del marketing delle aziende farmaceutiche americane orientate al profitto, fino alla mancanza di un’assistenza sanitaria universale supplita dal sistema assicurativo e dai suoi inevitabili e mirati interessi privati – basti ricordare che i farmaci antidolorifici costano molto meno delle più dispendiose e impegnative terapie riabilitative fisiche. Per poter avere un quadro più accurato a proposito di una questione così complessa, però, non si può prescindere da aspetti geopolitici e socioculturali.
Nel 2020 l’Afghanistan saturava da solo il 95% del mercato europeo dell’eroina, ma dopo che il regime talebano è tornato al potere nel 2021, ha mosso una decisa crociata contro le piantagioni di papavero da oppio presenti sul proprio territorio, soprattutto nel tentativo di accreditarsi agli occhi della comunità internazionale. La crociata del regime talebano contro l’oppio ha determinato così un calo di oltre l’80% della produzione e a un decimo dei chilometri quadrati precedentemente dedicati alle colture. Tutto ciò non vuol dire che l’Afghanistan abbia rinunciato agli introiti derivanti dagli stupefacenti: molto più semplicemente ha optato per prodotti meno impegnativi dal punto di vista della produzione e della commercializzazione.
I fentanili in genere sono leggeri, maneggevoli, discreti, facilmente trasportabili e possono essere prodotti su scala industriale.
Infatti, secondo un report dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e del crimine (UNODOC), il numero di sequestri di metanfetamine in Afghanistan è salito del 200% negli ultimi anni. Allo stesso modo i narcotrafficanti messicani, e principalmente il potente cartello di Sinaloa, hanno preso a servirsi di grandi laboratori industriali per produrre su vasta scala oppioidi, fra cui principalmente fentanyl e alcuni suoi derivati ancora più potenti e pericolosi. I fentanili in genere sono leggeri, maneggevoli, discreti, facilmente trasportabili: non hanno necessità di piantagioni e di addetti alla coltivazione, potenziano di molto gli effetti di sostanze più costose, contraggono i costi sia per il produttore che per il consumatore che le percepisce come sostanze “pulite” perché lavorate in laboratorio.
A partire dal 2019, la Cina ha ufficialmente stretto le maglie sulla produzione di fentanyl e i precursori utili alla sua produzione, classificando l’intera categoria dei fentanili come sostanze controllate e applicando pene severissime ai trasgressori. In questo modo il presidente Xi Jinping ha voluto onorare gli impegni presi durante il G20 del 2018, mettendo in campo una maggiore attenzione rispetto alle aree di produzione conosciute, un controllo più severo dei siti internet che pubblicizzano i prodotti specifici e nuove norme sulla spedizione, con squadre speciali dedicate a indagare il traffico degli oppioidi. Imposto il divieto delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, però, le aziende chimiche e di spedizione si sono orientate sulla vendita di precursori chimici per la produzione dell’oppioide di sintesi ai cartelli della droga di altre nazioni.
A tal proposito, nel marzo dell’anno scorso i governi di Washington e Città del Messico, dopo una lunga fase di reciproca diffidenza, hanno stretto un nuovo accordo di collaborazione, in sostituzione della Merida Initiative (2008-2021), finalizzato proprio a contenere gli scambi di fentanili e precursori dal Messico agli Stati Uniti e di armi dagli Stati Uniti al Messico. In tutta risposta, secondo la DEA, dal 2017 ad oggi sono aumentati i sequestri di fentanyl e precursori in India, alludendo alla concreta possibilità che parte della criminalità cinese dedita alla produzione di oppioidi si sia trasferita in Asia meridionale. Resta sullo sfondo l’ipotesi complottistica, suggestionata dal rimando alle guerre dell’oppio dell’Ottocento ma a parti invertite tra Oriente e Occidente, di una strategia studiata dalla Cina per mettere in difficoltà gli Stati Uniti nella competizione per la supremazia globale.
L’abuso e la dipendenza di antidolorifici si sono infiltrati soprattutto nella classe operaia, più esposta a infortuni sul lavoro, occupazioni usuranti e alla cronicizzazione del dolore fisico.
Durante le guerre dell’oppio (1839-1842 e 1856-1860), la Compagnia britannica delle Indie orientali mantenne il controllo delle attività commerciali in estremo oriente inondando la Cina di oppio: ne scaturirono due conflitti dai quali l’Impero cinese uscì sconfitto sul campo e umiliato dalle condizioni di pace. La Cina fu costretta a tollerare il commercio dello stupefacente e a firmare i trattati di Nanchino e di Tientsin, che prevedevano l’apertura di nuove aree portuali al commercio straniero e la cessione di Hong Kong al Regno Unito. Il sentimento nazionalista e xenofobo che ne seguì condusse poi alle rivolte di Taiping (1850-1864) e dei Boxer (1899-1901). Come se non bastasse, nel 1937, il regime fascista imperiale giapponese tornò alla già utilizzata strategia inglese per preparare il terreno all’invasione della Cina proprio con la riapertura delle fumerie, con pesanti ripercussioni sulla popolazione locale. Negli anni della “lunga marcia”, Mao mosse così la guerra di resistenza per la liberazione nazionale in concomitanza a quella contro gli opifici.
Ma per comprendere davvero quella che ad oggi sembra proporsi come una guerra dell’oppio a parti invertite tra potenze d’Oriente e d’Occidente occorre tenere in considerazione altri fattori, come gli effetti della crisi economica e le dinamiche del lavoro. L’abuso e la dipendenza di antidolorifici si sono infatti infiltrati soprattutto nella classe operaia americana, più esposta a infortuni sul lavoro, occupazioni usuranti, e alla cronicizzazione del dolore fisico. La cornice è sempre più quella delle periferie fisiche ed esistenziali, depauperate e deprivate di stimoli socio-economici e culturali dove il problema abitativo e quello occupazionale stanno consegnando sempre più al malessere e alla sconfitta la working class americana, per decenni orgoglio degli Stati Uniti e del suo modello di democrazia. Uno studio del 2021 evidenzia come il Sud del Paese e la regione degli Appalachi siano le aree dove i residenti riportano punteggi di dolore estremamente elevati con una prevalenza per le fasce meno istruite, evidentemente più esposte e vulnerabili. Per gli individui con titoli di studio universitari o superiori, il livello di istruzione sembra funzionare come una sorta di firewall personale, sebbene il consumo di fentanyl sia socialmente tollerato anche nelle classi più abbienti molto più dell’eroina.
Allargare lo sguardo sulla crisi da fentanyl negli Stati Uniti impone gioco forza di misurarsi con la politica del dolore nella società americana contemporanea. I contesti sociopolitici e culturali, infatti, hanno un ruolo cruciale nel determinare e plasmare le esperienze del dolore che, secondo uno studio del 2021, è aumentato sensibilmente negli ultimi decenni. “Si potrebbe pensare che con i progressi della medicina saremmo diventati più sani e avremmo provato meno dolore”, scrivono gli autori dello studio, “ma i dati suggeriscono fortemente l’esatto contrario”. Nella moderna società medicalizzata, il dolore è assurto a problema tecnico e, oggettivato, ha perso ogni tratto di inevitabilità esistenziale che aveva un tempo. Non sembra tanto importante il suo significato – peraltro in italiano il termine è molto più estensivo del lemma anglosassone pain, che invece si riferisce esclusivamente al dolore fisico – quanto la possibilità immediata di ricorrere all’assistenza medica e farmacologica per farlo cessare.
Nella moderna società medicalizzata, il dolore è assurto a problema tecnico e ha perso ogni tratto di inevitabilità esistenziale che aveva un tempo.
Come ha scritto Ivan Illich in Nemesi medica. L’espropriazione della salute (1977), “il dolore si traduce così in accresciuta domanda di farmaci, ospedali, servizi medici e altre forme di cura professionalizzata e impersonale. […] Nella distopia del ventesimo secolo, la necessità di sopportare una realtà dolorosa, interna o esterna, è vista come un difetto del sistema socioeconomico e il dolore è considerato un’emergenza accidentale da affrontare con interventi straordinari”. È con la fine dell’Ottocento – ossia dopo l’Illuminismo, la Rivoluzione Francese e quella Industriale – che il progresso inizia ad essere misurato in funzione della riduzione della sofferenza, spingendo sempre più verso quella che a oggi può essere considerata con Illich una società “anestetizzata”.
In sintesi, il misuso e la diversione di un farmaco legalmente prescritto non possono mettere in discussione l’opportunità e l’utilità della sostanza in sé, così come limitarsi a criminalizzare l’uso medico e la spregiudicatezza di alcune aziende produttrici non può risolvere una problematica complessa e sfaccettata come l’epidemia di abuso di oppioidi. Scienza e coscienza esigono un’analisi in grado di tutelare i pazienti che continuano a necessitare delle corrette prescrizioni e di quanti hanno sviluppato una dipendenza patologica, attingendo da quelle realtà che possono suggerire accorgimenti più utili della semplice condanna di prodotti e produttori. Il dolore acuto è un campanello d’allarme che va ascoltato e interpretato, non di meno quello cronico avvilisce il paziente demotivandolo anche rispetto alla cura stessa, e per questo va affrontato con strumenti adeguati. Basti dire che nel 2022, secondo la Società Italiana di Cure Palliative, solo il 36% delle persone decedute per tumore ha ricevuto un’assistenza di cure palliative nel nostro Paese, a dimostrazione di quanto in Italia sia ancora diffusa l’oppiofobia.
Resta fondamentale, però, prendere in considerazione la questione della dipendenza patologica, perché non si può aumentare la prescrizione senza tener conto degli effetti avversi dell’abuso da oppiacei. L’Europa e specificatamente l’Italia, pur essendo ancora ai margini di un fenomeno che ha visto principalmente gli Stati Uniti travolti dai suoi effetti indesiderati, possono dirsi parzialmente protette, almeno per ora. A febbraio Direzione della Prevenzione del Ministero della Salute ha lanciato l’allerta di grado 3, il livello più alto, contro la diffusione del fentanyl, mentre il mese successivo è stato presentato a Palazzo Chigi il nuovo “Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio del fentanyl e di altri oppiacei sintetici”. L’iniziativa impone alle farmacie di assumere tutte le precauzioni necessarie a evitare furti di fiale e cerotti, mentre le Aziende Sanitarie dovranno segnalare i medici che prescrivono dosi eccessive dell’oppioide. La stretta del governo ha chiamato in causa anche i “precursori delle droghe sintetiche” ossia quelle sostanze esportate illegalmente (vedi soprattutto l’efedrina) che servono poi a produrre stupefacenti sintetici come le anfetamine, i catinoni sintetici, l’MDPHP, e gli stimolanti simil-cocaina. Il Piano condiviso dai Ministeri dell’Interno, della Scuola e della Salute, chiama in causa – e non potrebbe essere altrimenti – il sistema dei Servizi pubblici e del Privato sociale accreditato.
Per Seneca il dolore o finisce o ti finisce: per gli Stati Uniti e l’Europa, e sempre di più, entrambe le opzioni.
Un ruolo importante nella prevenzione di un’ondata che dovesse propagarsi dagli Stati Uniti al nostro Paese arriverebbe, infatti, dall’esperienza maturata dai Servizi per le dipendenze (SerD) e dalle Comunità Terapeutiche, regolarmente autorizzate e contrattualizzate, a partire dalla diffusione di eroina negli anni ‘70, ma anche dall’azione di sensibilizzazione e informazione delle società scientifiche del settore e dai sistemi di monitoraggio istituzionali. La piega che sta prendendo la crisi da oppioidi negli Stati Uniti deve far riflettere sulle conseguenze della contrazione di fondi per la sanità pubblica, soprattutto per quel che riguarda gli interventi di prevenzione orientati ai più giovani, ai trattamenti necessari, alle politiche di riduzione del danno.
Dovrebbe essere chiaro, anche se per molti non lo è, che reprimere, punire, criminalizzare ha un effetto negativo nella lotta contro l’uso di e (le dipendenze da) sostanze stupefacenti, al pari però di una legalizzazione del mercato priva di giuste regolamentazioni. Dovrebbe essere lampante che l’Intelligenza Artificiale può offrire ai mercati di sostanze di sintesi infinite possibilità e combinazioni. Dovrebbe essere ovvio che la persona che fa uso di sostanze non è la sostanza che assume ma molto di più: è una casa che non ha, un lavoro che cerca inutilmente, una rete di relazioni sociali squarciata, innumerevoli percezioni di fallimento, patologie correlate e tanto altro. La nostra comprensione dovrebbe essere più rapida della capacità di infiltrazione e di diffusione sui territori delle vecchie sostanze e di quelle nuove. Per Seneca il dolore o finisce o ti finisce: per gli Stati Uniti e l’Europa, e sempre di più, entrambe le opzioni.