A Greta Thunberg probabilmente questo articolo non piacerebbe. Perché è stufa di sentirsi dire quanto è di ispirazione per tutti, e perché ciò che desidera sono i fatti, non le parole. Lo ha ribadito più volte, con la sua consueta franchezza, recentemente anche davanti ai senatori americani. Eppure l’ascesa di questa ragazza, che è ormai la voce più ascoltata del mondo sul riscaldamento globale, è diventata di per sé un argomento degno di interesse scientifico. Non solo per ricercatori e appassionati di psicologia e scienze sociali. Anche per tutti coloro che sono allarmati per lo stato di salute del pianeta e sperano che l’effetto Thunberg duri abbastanza a lungo da sortire risultati concreti.
Quali sono gli ingredienti del suo carisma? Non rischia di bruciarsi troppo in fretta? John Antonakis, che ha studiato psicologia cognitiva a Yale dopo essersi laureato in business administration, insegna comportamento organizzativo alla facoltà di economia di Losanna. Ha fatto della leadership il suo principale campo di ricerca. In uno dei suoi lavori più interessanti, pubblicato su Science nel 2009, Antonakis ha avuto l’idea di reclutare un campione di bambini. Gli ha chiesto di scegliere il capitano della loro nave per compiere il viaggio da Troia a Itaca, selezionandolo tra le foto dei candidati alle elezioni di un altro paese. Il fatto che nel corso di questo gioco la loro scelta abbia coinciso per lo più con le reali decisioni di voto degli elettori suggerisce che, per quanto ci piaccia pensare a noi stessi come persone riflessive e razionali, siamo influenzati inconsapevolmente da caratteristiche esteriori potenzialmente ingannevoli. Le percepiamo come degli indicatori di competenza, e i bambini sono in grado di cogliere istintivamente gli stessi segnali. Molti altri studi confermano il peso delle prime impressioni, anche se è possibile correggerle quando ne sappiamo di più sul comportamento delle persone.
“Probabilmente Greta Thunberg non sarebbe stata scelta come capitano da un campione di bambini che non sapeva nulla di lei”, spiega Antonakis al Tascabile. I piccoli si aspettano che siano gli adulti a guidare navi e aerei, perché non hanno mai visto un minorenne al comando. Ma Thunberg è una vera leader lo stesso, Antonakis ne è certo, e l’ascendente che ha esercitato su milioni di persone, con i suoi scioperi settimanali e i suoi discorsi pubblici, lo dimostra. Lei ha 16 anni, Olga Misik, che ha sfidato Putin leggendo la Costituzione russa per le strade di Mosca, ne ha 17, Emma Gonzalez ne aveva 18 quando ha iniziato a fare campagna per il controllo delle armi negli Usa, poi c’è la pakistana Malala, che ha ricevuto il Nobel a 17 anni per aver difeso il diritto allo studio delle bambine, e altre ancora. Vien voglia di credere che tutte queste rondini facciano primavera, che sarà questa generazione di ragazze coraggiose a cambiare il mondo. La giovane età è un vantaggio in materia di leadership?
“È molto inusuale che delle persone tanto giovani riescano a ottenere attenzione e potere in questa misura. Credo siano efficaci come portavoce di movimenti sociali perché rappresentano il futuro della società, incarnano le questioni di cui sono promotrici”. Non parlano delle nuove generazioni in modo ipotetico, come farebbe un adulto. Rivendicano il diritto a un futuro per sé e i propri coetanei, come fa Thunberg. “Il fatto che sia una ragazza la rende ancora più sorprendente come leader che se fosse un maschio. Le dà un grado di libertà maggiore. Molti adulti ascoltandola hanno ammirato il suo coraggio e si sono rammaricati di non averne avuto altrettanto da giovani, credo sia questo il suo potere simbolico”, sostiene il ricercatore che lavora in Svizzera, ma è nato in Sud Africa da genitori greci.
Alcune tra le leader emergenti condividono delle caratteristiche, a cominciare da un mix molto particolare di competenza e purezza, ma le somiglianze apparenti non devono ingannare, spiega Antonakis. “Molti ragazzi hanno tentato la via dell’attivismo sociale senza ottenere risultati importanti. Come scienziato ritengo che il fatto che Malala e Greta abbiano qualcosa in comune non implichi che quella sia la chiave del loro successo”. In questi casi c’è sempre un problema di survival bias, o un pregiudizio nella selezione del campione che viene preso in considerazione, perché vediamo solo chi ce l’ha fatta e non chi ha fallito.
Il carisma è facile da riconoscere ma difficile da definire e da misurare. Assomiglia al campo di Higgs “perché conferisce massa e gravità non alle particelle ma ai movimenti sociali”. Per gli antichi greci era uno stato di grazia, una sorta di dono divino. Per Antonakis è la capacità di trasmettere informazioni in modo simbolico, emozionale e valoriale, attraverso tecniche verbali e non verbali. Un leader che voglia farsi eleggere Presidente degli Stati Uniti, ad esempio, deve essere “inspiring”, deve segnalare ciò in cui crede, ma per piacere ad alcuni finirà per dispiacere ad altri. “Invocare il controllo delle armi, ad esempio, attira applausi a sinistra e suscita scontento a destra. Greta Thunberg non ha questo problema. Può segnalare tutti i valori che vuole perché non deve preoccuparsi di essere eletta. Può essere più trasparente, più libera”. Chi ha familiarità con la minoranza dei neurodiversi, riconosce dei tratti tipicamente Asperger nella sua coerenza (“Dico quello che penso e faccio quello che dico”), così come nella concentrazione da nerd con cui studia i rapporti dell’Ipcc. Il particolare stile cognitivo di Thunberg è uno degli ingredienti della sua leadership?
Antonakis ne è convinto, e si sofferma sul fattore empatia, che nelle persone Asperger è poco (ma forse sarebbe meglio dire diversamente) sviluppato. “Per un leader essere molto sensibile costituisce una maledizione, perché prendere delle decisioni diventa molto difficile. I buoni leader non hanno una spiccata intelligenza emotiva e nemmeno una forte empatia affettiva, ma hanno una forte bussola morale e uno spiccato senso della giustizia sociale”. Devono essere molto dotati intellettualmente, estroversi e capaci di promuovere un’agenda. “Portano avanti la propria visione e fanno quello che ritengono giusto senza curarsi troppo del giudizio degli altri”. Da questo punto di vista chi è nello spettro autistico, ed è abbastanza forte da sopravvivere alle sfide che comporta crescere da neurodiversi in un mondo fatto su misura per i neurotipici, può trovarsi con un super-potere. “Non tutti i ragazzi Asperger riescono a superare le difficoltà quotidiane come il bullismo, molti restano introversi e preferiscono stare in disparte. Ma alcuni sono come i metalli, nel crogiolo si rafforzano. Greta Thunberg è così, è una sopravvissuta”, dice Antonakis.
Il suo linguaggio è diretto, audace, con un pizzico di freddo umorismo. Come quando lei, una teenager, rimprovera ai potenti della politica e dell’economia seduti in platea di essere degli immaturi. O quando ironizza sulla passività dei suoi interlocutori: “Il mio inglese è ok? Il microfono funziona? Perché sto iniziando a chiedermelo”. Ai senatori democratici ha detto: “Risparmiatevi le lodi, non le vogliamo. Non invitateci per dirci quanto vi ispiriamo se poi non fate niente. Non vi state impegnando abbastanza”. Quando suo padre ha insistito perché tagliasse le frasi più radicali del discorso che doveva tenere al suo primo summit sul clima (la COP24), lei ha finto di accontentarlo ma le ha memorizzate e poi pronunciate lo stesso.
Il carisma è dato dai valori che servono a distinguere il bene dal male, dai simboli che uniscono la psiche collettiva, dalla capacità di far arrivare le emozioni per spingere le proprie ragioni. “Thunberg usa molto bene le metafore, come quella della casa in fiamme per riferirsi al riscaldamento globale. È entusiasmante vedere una ragazza di 16 anni così”. Le metafore sono importanti per veicolare i significati simbolici che sono il cuore del carisma, spiega Antonakis. La comunicazione simbolica è vivida, produce immagini che le persone possono vedere, toccare, annusare, e poi ricordare.
Molti in passato si sono chiesti se un approccio catastrofista al dibattito sul clima non portasse con sé un senso di impotenza e quindi l’inazione. Altri hanno sostenuto che sono le false speranze a giustificare l’inerzia individuale e collettiva. Ma paura e speranza non sono fattori mutuamente esclusivi. Thunberg usa retoricamente la prima emozione (“Voglio che andiate nel panico”) per comunicare l’urgenza di una svolta radicale. “Ma non lo fa in modo manipolatorio, esiste un consenso scientifico sulla gravità della crisi climatica”, precisa Antonakis. Quanto alla speranza, la incarna con la sua giovinezza e non è un caso che molti l’abbiano definita “la ragazza che vuole salvare il mondo”.
La domanda più difficile l’abbiamo lasciata per ultima: quanto può durare questo tipo di leadership? “La mia opinione non è necessariamente più vera di quella degli altri”, premette Antonakis ricordando un errore commesso in passato. “Il mio modello matematico aveva previsto la vittoria di Obama, gli esperimenti con i bambini lo stesso, ma ho dichiarato che secondo me avrebbe perso. Il fatto è che si tratta di questioni molto complicate”. Ci vuole cautela, dunque, nell’avanzare un’ipotesi plausibile. C’è stata un’altra ragazza straordinariamente carismatica prima di Thunberg che ha arringato i delegati delle Nazioni Unite su buco dell’ozono e specie a rischio di estinzione, ricorda Antonakis. Era canadese, si chiamava Severn Cullis-Suzuki ed era la figlia di un noto genetista poi diventato un influente attivista per l’ambiente (David Suzuki). Aveva solo 12 anni quando si tenne il Summit di Rio e lei pronunciò il suo discorso, ancora oggi virale con il titolo La ragazza che zittì il mondo per 6 minuti. Ora di anni ne ha 40 e si batte ancora per l’ambiente, ma in pochi ne ricordano il nome. “Credo che Thunberg abbia maggiori chance di durare perché nel frattempo è aumentata la sensibilità a questi temi”, dice Antonakis. Dopo decenni di apatia, finalmente i cambiamenti climatici sono riusciti a toccare le corde psicologiche giuste in una fetta consistente della popolazione. In effetti, oltre a chiedersi perché Greta Thunberg, bisognerebbe domandarsi perché ora.
“Forse perché c’è Trump, il fatto che lui non creda nel global warming potrebbe aprire delle possibilità a chi vuole contraddirlo. Forse è perché i disastri ambientali e gli eventi meteo estremi sono sempre più frequenti”, ipotizza Antonakis. Un altro elemento è che le giovani generazioni stanno cambiando stile di vita, sono meno consumisti dei ragazzi che li hanno preceduti, in numero crescente, per esempio, scelgono di diventare vegetariani o vegani. “È un buon momento per il messaggio di Greta”.