D unque. Lui l’ha inventato”, racconta Whitfield Diffie con apparente serietà, il mento sollevato a indicare Martin Hellman. Sta parlando dello “scambio di chiavi Diffie-Hellman”, il protocollo che negli anni Settanta li rese entrambi famosi nel mondo dell’informatica. “E io mi sono preso metà del merito”, aggiunge, scoppiando in una risata bonaria. Lunghi capelli argentei e barba candida, Diffie sembra lo stregone di una saga fantasy. Hellman, seduto accanto a lui, sorride a sua volta con l’aria di chi conosce i suoi polli.
I nomi di Diffie e Hellman vanno spesso in coppia e sono arcinoti a chiunque si occupi di crittografia; potremmo chiamarla “la matematica della codificazione”: come trasformare un messaggio in modo che solo il destinatario sia in grado di leggerlo. L’origine della crittografia si perde nella notte dei tempi, ma la disciplina diventa un’autentica scienza solo con l’avvento dei computer. La consacrazione arriva con la seconda guerra mondiale, quando sventare le comunicazioni del nemico e proteggere le proprie si fa uno strumento strategico irrinunciabile.
Oggi Diffie ed Hellman non lavorano insieme – non è più così da molto tempo – ma insieme diedero, ormai più di quarant’anni fa, una svolta su scala globale al settore, gettando le basi di quella che sarebbe diventata la cosiddetta “crittografia a chiave pubblica”. L’idea è controintuitiva quanto potente: un messaggio si può proteggere combinando una chiave segreta, nota solo al destinatario – nemmeno il mittente la conosce – e una chiave pubblica, nota a chiunque. La chiave pubblica è indispensabile, ma se è intercettata non basta a decodificare il messaggio perché manca la seconda chiave, quella segreta. Un’intuizione che sfruttiamo anche oggi, continuamente, nelle nostre comunicazioni online: la chiave pubblica è il trucco tecnologico al cuore dei sistemi che proteggono le transazioni finanziarie o anche semplicemente le chat.
Incontro Diffie ed Hellman all’Heidelberg Laureate Forum (HLF), una conferenza annuale che vede protagonisti matematici e informatici di fama mondiale. Per una settimana, centinaia di studenti e giovani ricercatori meritevoli provenienti dai cinque continenti condividono con le superstar del convegno, come Hellman e Diffie, un programma fitto di conferenze, panel e conversazioni scientifiche, ma anche cene, visite turistiche e intrattenimenti vari. È chiaro che i due, perennemente circondati da gruppetti di studenti che ne osservano ogni gesto e ne bevono ogni parola, sono molto popolari.
Martin Hellman, settantaquattro anni portati splendidamente, fronte alta, sguardo curioso, eloquio garbato, ha tenuto un intervento fatto di aneddoti autobiografici e riflessioni etiche sul disarmo nucleare, tema a lui caro fin dagli anni Ottanta. Whitfield Diffie, suo coetaneo, elegante, con un che di spregiudicato, si diverte a spiazzare i suoi interlocutori, emanando a ogni parola un’aura di saggezza irriverente.
Più di quarant’anni fa Diffie ed Hellman gettarono le basi di quella che sarebbe diventata la cosiddetta “crittografia a chiave pubblica”: un’intuizione che sfruttiamo anche oggi, continuamente, nelle nostre comunicazioni online, nelle transazioni finanziarie, nelle chat.
A cementare ulteriormente il binomio tra i due si è aggiunto recentemente un riconoscimento importante: nel 2015 hanno vinto il Turing Award, spesso definito “il Nobel dell’informatica”, assegnato dalla Association for Computing Machinery (ACM) . Il successo scientifico, però, è solo una parte della loro storia, assai più avventurosa, fatta di battaglie per la trasparenza e dissidi con i servizi segreti.
Prima ancora di pubblicare nel 1976 quello che poi diverrà “lo scambio di chiavi Diffie-Hellman”, i due si ritrovarono, nei primi anni Settanta, al centro di una controversia con la National Security Agency, l’agenzia per la sicurezza nazionale statunitense. In quegli anni la crittografia non era argomento di ricerca universitaria, e ai vertici dell’NSA non piaceva per niente che una manciata di accademici zelanti si mettesse a studiare sistemi di codificazione d’avanguardia che, al contrario, era loro interesse tenere segreti. Whitfield Diffie e Martin Hellman erano per loro una minaccia multiforme: oltre a indagare una materia delicata come quella, padroneggiarla, pubblicare i loro risultati, si erano anche accorti che gli standard di sicurezza garantiti dall’NSA erano bassi. E non erano tipi da soprassedere. Così nel giro di pochi anni i due denunciarono pubblicamente le falle dei protocolli dell’NSA, sollevarono uno scandalo di portata internazionale e, non contenti, pubblicarono poi l’idea dello scambio di chiavi Diffie-Hellman, ignari di aver riscoperto una procedura che l’NSA aveva già messo a punto e teneva segreta.
“In realtà”, precisa subito Hellman, “si tratta di un sistema di distribuzione di chiavi pubbliche, il che era un’idea di Ralph Merkle”. Merkle era, ai tempi, un suo studente. “Io lo dico sempre: dovrebbe chiamarsi scambio di chiavi Merkle-Diffie-Hellman. Noi incoraggiamo moltissimo il riconoscimento del lavoro di Ralph. Anche se è chiaro il perché l’ACM abbia premiato noi due”, aggiunge con una franchezza molto americana, “hanno voluto premiare le firme digitali”.
“Nel selezionare i vincitori”, interviene Diffie, “l’ACM investe più sull’impatto che sulla priorità cronologica. E noi abbiamo avuto un impatto maggiore, nel successo di questa tecnologia, rispetto a Ralph”.
“E poi, anche se non è stato esplicitato, sospetto che abbiano voluto premiare il nostro lavoro sulla libertà di pubblicazione”.
Il professore pazzo e lo studente schiappa
Le strade di Whitfield Diffie e Martin Hellman si incrociarono nel ‘74. Da qualche anno Hellman, trentenne brillante con una cattedra di associato a Stanford, aveva iniziato a occuparsi di crittografia. “I miei colleghi mi dicevano che ero pazzo. L’NSA aveva fondi enormi e decenni di vantaggio: come pensavo di scoprire qualcosa che loro non sapessero già? E se farai qualcosa di buono, dicevano, diventerà materiale secretato”.
Ma a lui non importava cosa fosse segreto e cosa no. I computer stavano diventando un bene di massa. “C’era una crescente domanda, da parte dei privati, di crittografia: una domanda che non poteva certo essere soddisfatta da ricerche segrete. Perciò continuavo a lavorarci, da solo. Finché un giorno Whit si presentò nel mio studio. Era su una linea di ricerca simile alla mia. Diversa, ma assolutamente compatibile. E fu, veramente – be’, parlo per me – amore accademico a prima vista”. Diffie annuisce. “Di certo andavamo molto d’accordo. Mi ha sempre colpito quanto contasse il fatto che ci ritrovavamo anche in famiglia. Io arrivai da Martin un pomeriggio verso le quattro, e alle sei stavamo ancora parlando. Venne mia moglie a chiedere: a che punto siamo? Martin doveva tornare a casa e ci invitò entrambi a cena. E rimanemmo da loro fino alle undici”. Hellman sorride tutto soddisfatto: “E mia moglie ed io ne fummo felicissimi!”
Nei primi anni Settanta i due si ritrovarono al centro di una controversia con la National Security Agency, l’agenzia per la sicurezza nazionale statunitense.
All’epoca del loro primo incontro, Diffie, in tasca una laurea in matematica al MIT, aveva lasciato il suo lavoro al MITRE per fare ricerca autonoma in crittografia. Insieme alla sua futura moglie girava in macchina da una città all’altra degli Stati Uniti per visitare biblioteche, spulciare documenti, conoscere esperti del campo con cui gli interessava parlare, proprio come fece con Hellman. “Avevamo talenti diversi. Per esempio, Whit conosceva la matematica teorica meglio di me. Avevamo insomma registri un po’ sfalsati”.
“In parole povere”, spiega Diffie, ”Marty è più intelligente di me, e io sono più fantasioso. La combinazione funzionava a meraviglia“. Il video che l’ACM ha pubblicato al momento del conferimento del Turing Award si apre con la voce di Hellman: “spesso dicono che Diffie era un mio studente, ma in verità Whit non poteva essere lo studente di nessuno”. Diffie, dal canto suo, si definisce uno studente schiappa. “Essere un bravo studente è una gran cosa, ma non era certo il mio caso. Non sono il tipo capace di mettermi a tavolino a studiare quel che devo, quando posso studiare quel che voglio”.
“Un attimo”, si affretta a precisare Hellman, “quando dico che non potevi essere lo studente di nessuno, intendevo dire che eri troppo indipendente, non certo che non fossi bravo!”
“Ma non lo ero! Ero il peggiore della mia classe al MIT”.
“Ah! Be’, questo io lo scopro adesso”.
La prima critto-guerra
Quando Whitfield “Whit” Diffie girava gli Stati Uniti raccogliendo informazioni sullo stato dell’arte in crittografia, aveva uno scopo dichiarato. “Già negli anni Sessanta sapevo che la crittografia era uno strumento essenziale per la privacy. L’NSA ne sapeva moltissimo, ma non rendeva pubblico ciò che sapeva. Bisognava che noi lo scoprissimo”. Mettersi contro un ente come l’NSA non è una passeggiata, e avrebbe destato preoccupazione in una mente più convenzionale. “Io non mi ricordo di aver mai riflettuto sulla saggezza o meno di fare una cosa simile. Mi ricordo solo di essermi messo seduto a studiare il DES e di aver concluso che non era sicuro come io ritenevo dovesse essere”. Il DES (data encryption standard) era il protocollo messo a punto dall’IBM e con cui, all’epoca, l’NSA garantiva la sicurezza delle comunicazioni. Hellman e Diffie si resero conto che la lunghezza delle chiavi raccomandata dall’NSA (48 cifre invece delle 64 proposte dall’IBM, risultate poi nel compromesso di 56) era insufficiente. I due, preoccupati, si misero in contatto con l’NSA per segnalare il problema. Ma la risposta non fu quella che si aspettavano.
Secondo l’agenzia andava tutto benissimo così. “Pensavamo fosse un errore”, spiega Hellman, “e invece era una caratteristica voluta”. Una forma di controllo che non poteva durare a lungo. Diffie, dopo tutti questi anni, sembra ancora incredulo. “Col senno di poi, è emerso che il sistema era pianificato perché resistesse una quindicina d’anni. Non è chiaro come pensavano di fare alla fine di quel lasso di tempo. Se anche fossimo stati tutti dalla stessa parte, se anche fossero state stanziate risorse ancora maggiori, sarebbe stato evidente entro l’inizio degli anni Novanta che qualcosa bisognava fare”.
Dopo aver ricevuto dall’NSA una risposta così disarmante, Diffie ed Hellman decisero di rendere pubbliche le loro perplessità. La denuncia divenne un articolo e la comunità scientifica non potè più far finta di niente. Hellman si riferisce a quel periodo come “la prima critto-guerra” (crypto-war): la prima di tre. Fu l’inizio di un dibattito destinato a durare decenni, a disturbare interessi macroscopici, a tradursi in processi. “Il momento in cui ebbi il dubbio più serio fu parecchi anni dopo”, racconta Diffie, “mentre testimoniavo contro Mike McConnell, allora direttore dell’NSA, davanti a una commissione scientifica. Mike fece un discorso meraviglioso, una bomba! E pensai be’, forse è stato un errore mettersi contro il DES, perché loro, al livello di marketing, sarebbero stati degli alleati meravigliosi”.
È poco dopo aver denunciato pubblicamente l’NSA che i due hanno l’idea che cambierà le loro vite. E influenzerà le abitudini quotidiane di chiunque oggi sia un utente della rete.
Lo scatto della serratura
“Una sera, nel maggio del 1976, ero alla scrivania sul tardi, probabilmente dopo mezzanotte”, racconta Hellman. “Quella notte finalmente restai a giocare con le x e le y abbastanza a lungo da arrivare a quel che ora si chiama scambio di chiave Diffie-Hellman. Ma considero pari i contributi mio e di Whit”.
Il “gioco con le x e le y” era un sistema che apriva la strada alla crittografia a chiave pubblica, o crittografia asimmetrica. Un modo di concordare una chiave segreta, cioè un parametro per costruire un cifrario concordato in precedenza, scambiandosi chiavi non segrete: chiunque le intercetti non saprà comunque arrivare a quella segreta. Tutto si basa su due ingredienti chiave. Il primo è una verità aritmetica controintuitiva: ci sono operazioni facili da fare ma difficili – molto difficili – da disfare. In teoria si può, ma servirebbero tempi biblici e una potenza di calcolo elevatissima, e nella pratica diventa impossibile. Su questo punto fu preziosa la consulenza di John Gill, anche lui in forze a Stanford, che suggerì di sfruttare oggetti matematici chiamati “logaritmi discreti”. Il secondo ingrediente è la costruzione di una funzione che dipende dalle chiavi segrete con una ben precisa proprietà.
Il “gioco con le x e le y“
Antonio e Barbara hanno concordato un cifrario, cioè un modo per modificare i loro messaggi e renderli incomprensibili ad altri. Questo cifrario non è sempre uguale: dipende da un parametro. Per poter comunicare a distanza, Antonio e Barbara devono dirsi di volta in volta qual è il parametro, senza che un’eventuale spia possa intercettarlo. Come fanno?
1. Ognuno dei due interlocutori, Antonio e Barbara, sceglie una chiave segreta: a per Antonio e b per Barbara.
2. Antonio e Barbara applicano alla loro chiave segreta una prima funzione f, che si basa su operazioni aritmetiche elementari, la moltiplicazione e il modulo. Antonio ottiene A=f(a) e Barbara ottiene B=f(b). f è molto semplice da calcolare, ma molto difficile da invertire.
3. Antonio invia A a Barbara, Barbara invia B ad Antonio. Se una spia intercetta i messaggi, si ritrova con A e B, dai quali però non può risalire né ad a né a b, perché f è praticamente impossibile da invertire.
4. A questo punto Antonio e Barbara possono calcolare il loro parametro segreto, dato da una seconda funzione g di due variabili, che è costruita con questa particolarità: g(a,B)=g(b,A). Antonio calcolerà il parametro a partire dalla sua chiave segreta a e dalla chiave pubblica di Barbara B. Barbara dalla sua chiave segreta b e dalla chiave pubblica di Antonio A. I due numeri coincidono, perché g è stata costruita apposta.
5. La spia, non avendo né a né b, non ha idea di quale sia il parametro segreto concordato alla fine.
Lo scambio di chiavi Diffie-Hellman risolve due problemi. Da un lato consente di concordare un parametro segreto da usare in conversazioni successive. Dall’altro è, di per sé, un sistema per verificare l’identità dell’interlocutore: se le due parti alla fine non ottengono lo stesso numero c’è qualcosa che non va. Era un’idea rivoluzionaria. Ed è la stessa che ancora oggi sfruttano per le firme digitali che garantiscono la sicurezza delle transazioni online. Ecco perché Diffie ed Hellman sono così fieri del loro impatto: la loro idea rimbalzò in poco tempo da ogni parte del mondo e cambiò il volto della comunicazione a distanza.
Al momento dell’intuizione, Hellman era in contatto con un altro dei grandi nomi della teoria dell’informazione, Jim Massey, che faceva parte del comitato editoriale di IEEE Transactions on Information Theory, una rivista prestigiosa. “Mi aveva invitato a scrivere un articolo. Quando Whit ed io iniziammo a lavorare insieme, fu subito chiaro che sarebbe stato un lavoro firmato da entrambi”.
Nel maggio del ‘76, lo scambio di chiavi aveva preso forma. “In giugno ero a una conferenza in Svezia, ma non avevo inserito la novità in nessuno dei materiali che avevo proposto agli organizzatori, perché all’epoca non l’avevamo ancora ideato. Nella mia presentazione lo citai lo stesso, e fece sensazione. Jim era lì e mi disse: mettete subito a posto l’articolo e io ve lo pubblico nel numero di novembre. Ed era già giugno”. Erano tempi strettissimi per una pubblicazione scientifica. “Be’, diciamo che non fece uscire il numero di novembre fino al febbraio dell’anno successivo,” ridacchia Diffie. “Però fummo comunque molto lusingati”. L’articolo, intitolato New Directions in Cryptography, iniziava così: “Siamo oggi sull’orlo di una rivoluzione della crittografia”. L’impatto fu enorme.
Lo scambio di chiavi Diffie-Hellman un’idea rivoluzionaria. Ed è la stessa che ancora oggi sfruttano per le firme digitali che garantiscono la sicurezza delle transazioni online.
”Fummo fortunati ad avere un editore che riconobbe l’importanza della nostra idea. Così come accadde con l’RSA”. L’RSA (dai nomi dei suoi ideatori, Ronald Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman) è la tecnica di crittografia a chiave pubblica più diffusa ancora oggi. In sostanza sostituì il DES ed è, per stessa ammissione dei tre ideatori, figlia dello scambio di chiavi Diffie-Hellman. Si basa sulla fattorizzazione di numeri molto grandi, ma sfrutta lo stesso principio della coppia di chiavi (una privata, una pubblica) e delle operazioni difficili da disfare. Quando i tre la proposero per la pubblicazione, Hellman fu chiamato come referee, cioè l’esperto che deve valutare in forma anonima la qualità dei contenuti di una ricerca. ”Ricevetti una lettera dall’editor della CACM” – la rivista – “che mi chiedeva di sbrigarmi: potrebbe essere il paper più importante che abbiamo mai pubblicato, mi scrisse. Non esattamente una lettera imparziale, ma aveva le sue ragioni”. L’articolo che introduce l’RSA uscì nel ‘77: appena un anno dopo il paper di Diffie ed Hellman sullo scambio di chiavi.
Nel giro di due anni la crittografia aveva assunto un aspetto completamente nuovo. Ma nuovo per chi? In realtà Diffie ed Hellman non erano stati i primi a immaginare il meccanismo delle chiavi pubbliche. Nemmeno il trio dell’RSA. E nemmeno Ralph Merkle. La chiave pubblica esisteva già: l’NSA la conosceva benissimo, ma era un segreto militare. Rimase tale fino al 1996.
Era nell’aria
Come spesso accade con le grandi idee, sia lo scambio di chiave Diffie-Hellman che l’RSA, a posteriori, sembrano trovate semplici. Gli ingredienti sono alla portata di qualsiasi studente universitario. Come mai, a parte i servizi segreti pochi anni prima, nessuno ci aveva pensato?
Diffie sembra averci riflettuto a lungo. “Questo caratterizza tutta la crittografia”, risponde. “Molte delle tecniche di base necessarie ai sistemi prima della chiave pubblica erano note fin dal Cinquecento, ma non potevi farne niente senza computer in grado di eseguire grandi quantità di calcoli. Una mia vecchia battuta era che l’RSA o lo scambio di chiavi Diffie-Hellman avrebbero potuto giocare un ruolo durante le guerre napoleoniche!” A quei tempi in Europa il genio matematico per eccellenza era Carl Friedrich Gauss. “Gauss però non sapeva che l’elevamento a potenza fosse un calcolo facile. Non so quand’è che poi divenne chiaro, ma se Gauss non conosceva la forma della scomposizione binaria che si usa nell’RSA, non avrebbe potuto eseguire l’aritmetica necessaria. Non è nota da sempre”.
Negli anni Settanta però la scuola di Hellman non era la sola, anche al di fuori dell’NSA, ad aver le mani in pasta sulla crittografia a chiave pubblica. “Precedemmo di pochissimo un gruppo britannico. È buffo”, sorride Diffie un po’ diabolicamente, “iniziarono prima di noi ma finirono poco dopo. Non ho trovato prove che il meccanismo fosse noto altrove, ma è anche vero che due diversi gruppi che se ne accorgono contemporaneamente dimostrano che la tecnologia è arrivata a un punto tale da permetterti di pensarci. E secondo me la nostra ignoranza ci ha aiutato. L’ignoranza secondo me è una grande virtù”. “Chiamiamola mente del principiante”, interviene Hellman. A Diffie però la parola ignoranza piace: “Non saprei dire quando l’ignoranza è una cosa buona e quando no, ma sono abbastanza convinto che se avessi lavorato per l’NSA sarei stato trascinato da una miriade di cose che interessavano a loro, e non sarei mai arrivato a nessuna di queste idee. D’altra parte, certo, la mia ignoranza della teoria dei numeri mi ha penalizzato! Se avessi avuto una formazione più solida, potrei benissimo aver scoperto l’RSA”.
Oggi Diffie è fiero di aver contribuito alla creazione di una comunità scientifica di migliaia di persone. “Io vedevo chiaramente l’importanza della crittografia già negli anni Settanta, anche se la mia visione commerciale dello scenario non era granché, altrimenti sarei molto più ricco! E immaginavo una comunità molto più orientata verso l’attività politica di quanto poi è stato. La comunità attorno alla crittografia è molto conservatrice, e in sostanza si occupa di promuovere la crittografia come una legittima attività scientifica. Sono molto più interessati allo standard professionale che, per esempio, alla tutela del diritto alla privacy”.
Vite parallele
Whitfield Diffie e Martin Hellman sono molto diversi. Hellman è professore emerito a Stanford. La carriera di Diffie è stata quella di un consulente d’azienda. Hellman si interessa di etica, il suo intervento a Heidelberg si intitolava “The Technological Imperative for Ethical Evolution”. Diffie, in un’intervista recente, ha detto che l’etica serve a convincerti a fare cose contro il tuo stesso interesse. “Diciamo che ho un po’ un pregiudizi nei confronti dei discorsi sull’etica”, mi spiega. “Spesso si rimarca che una certa azione, anche se è etica, potrebbe essere illegale”. Mentre il contrario è merce rara. “La gente si fa molti più problemi a dirti: questa cosa dovresti farla, anche se è illegale, perché è etica. Coloro invece che non hanno abbastanza potere politico da far sì che le loro posizioni siano legali, magari cercano di raggirarti, insinuando che tu non ti comporti in modo etico”. La conclusione è uno slogan efficace: “Io credo che l’etica non sia un argomento etico”. Hellman ride. “Secondo me hai ragione, l’etica può essere male impiegata. Si tocca il fondo con quelli che vengono a dirti: “Dio ha detto a me cosa devi tu fare”. E poi ti dicono quel che loro vogliono che tu faccia”.
Hellman ha da poco pubblicato un insolito libro, disponibile gratuitamente online, dal titolo A New Map for Relationships: Creating True Love at Home and Peace on the Planet. È la storia, firmata da Martin Hellman e da sua moglie Dorothie, di come abbiano risolto la loro crisi di coppia e allo stesso tempo individuato un modo migliore di gestire ogni relazione. Tutti insegnamenti, sostengono gli autori, che si applicano agli attriti coniugali quanto alle tensioni geopolitiche che preoccupano il mondo intero.
Hellman si definisce “un attivista per la sopravvivenza umana”, e il suo impegno pacifista trova radici fin dai tempi della Guerra Fredda. Diffie è un attivista anche lui? “Un disturbatore”, ridacchia Hellman. Diffie annuisce. “Sicuramente ho impiegato l’ultima parte della mia carriera facendo politica sulla libertà di usare la crittografia e la libertà di privacy. Venni assunto nel 1991 alla Sun Microsystems per ricoprire una posizione chiamata distinguished engineer. Mi fu detto che il compito di un distinguished engineer era lavorare su qualunque cosa fosse considerato importante ai fini dell’interesse dell’azienda. Presi queste parole più seriamente di altri. All’inizio del ‘93, mi divenne chiaro che le principali sfide alla sicurezza in rete fossero politiche. Per questo la mia attività, da allora in poi, slittò verso la politica”. Non sarà un attivista, eppure sono in molti a definirlo advocate per il diritto alla privacy: Diffie non perde occasione di schierarsi. Conferenze, pubblicazioni, testimonianze a processi, e nel 1998, insieme all’esperta di diritto digitale Susan D. Landa, ha pubblicato Privacy on the Line: The Politics of Wiretapping and Encryption.
Secondo Diffie, la comunità attorno alla crittografia è oggi molto conservatrice, più interessata allo standard professionale che, per esempio, alla tutela del diritto alla privacy.
Ma la tutela della privacy è un’esigenza nata col web? “Il punto cruciale è che oggi ci sono persone che hanno relazioni molto influenti con gente che vedono di rado, o mai. Perché internet consente ovunque di comunicare a distanza”, spiega Diffie. “Nella società di oggi la prossimità fisica non gioca il ruolo di un tempo. La questione è se la privacy sarà disponibile solo a coloro che possono permettersi la prossimità fisica, il che ad esempio può significare migliaia di dollari per un volo aereo, oppure se sarà a disposizione della maggior parte delle persone nelle loro interazioni quotidiane. Signal funziona bene come sistema di messaggistica e ha buone recensioni. Ma ad esempio Facebook tiene tutto sui propri server, no? È molto difficile riprendersi i dati dal profilo Facebook usando il proprio computer”. “Ogni volta che vai su Facebook”, rincara Hellman, “che per molti oggi è praticamente un requisito indispensabile per avere una vita sociale, quel che fai è cedere la tua privacy. Ma nel caso delle mail o dei messaggi vocali, la privacy si può conservare abbastanza facilmente”. Diffie è scettico. “Mah, io ci vedo due questioni. La prima è: quanto facilmente? La seconda: mi fido di questi sistemi?”
Chiedo a entrambi quale, tra tutte queste imprese scientifiche, politiche, ideali, considerino il loro più grande successo. Hellman non ha alcuna esitazione: “Il mio matrimonio”. Diffie è vedovo dal 2016, dopo 43 anni al fianco della donna che, a suo dire, fu il suo vero mentore. Era lei che, in gioventù, lo accompagnava nei suoi vagabondaggi on the road sulle tracce dei crittologi del Nord America. “Sì,” esclama lui ridendo, “anche il mio”.