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avid Quammen è l’autore di Spillover, il libro del 2012 in cui si trattava del possibile del salto di specie degli agenti patogeni dagli animali all’uomo, che dopo la pandemia è apparso profetico e ha reso l’autore ancora più popolare. Ma Quammen da decenni è tra i migliori scrittori di scienza, che unisce il lavoro sul campo alla ricerca scientifica e – come vedremo – narrativa. Oltre che di epidemiologia, Quammen si è occupato di diversi temi di storia naturale e biologia.
Nell’Albero intricato (Adelphi, 2020), racconta come l’immagine darwiniana dell’albero della vita sia stata successivamente rielaborata da scienziati meno noti, portando a risultati originali. In particolare, Quammen approfondisce la figura e l’opera di Carl Woese, che grazie alla filogenetica molecolare ha scoperto aspetti prima impensati della trasmissione genetica, come il passaggio di sezioni di DNA tra specie diverse. Questa scoperta, gradualmente accolta dalla comunità scientifica, ha portato a complicare l’immagine lineare dell’albero della vita della biologia evoluzionistica del passato: se per Darwin il mutamento delle specie era limitato al meccanismo della variazione e della selezione naturale dei tratti più adatti, i casi di trasferimento genico orizzontale, di cui ormai si riconosce l’occorrenza fin dalle prime fasi della vita sulla Terra, rafforzano l’idea della inscindibile connessione ecologica tra i viventi – di cui il contagio virale è un aspetto inquietante.
Nessuno mi ha influenzato come scrittore di scienza più di William Faulkner con i suoi romanzi.
Senza respiro (Adelphi, 2022, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) parte dalla pandemia, riprende la ricerca sui virus e sulla conoscenza genetica, sviluppandola in una vera e propria inchiesta sul coronavirus. È un libro rigoroso e imponente, basato su decine di interviste e analisi di articoli, ma è anche un racconto indiziario su come la ricerca ha lottato con il tempo durante gli ultimi anni. È anche l’occasione per una conversazione con Quammen, che incontro a Roma durante il suo tour di presentazioni.
Inizierò con una domanda sulla tua idea di scienza. In Senza respiro la presenti come un’indagine complessa e collettiva caratterizzata dall’incertezza, e contrapponi questo quadro a come invece è stata raccontata e usata da personaggi politici di spicco come Trump o Bolsonaro, che hanno provato a negare la pandemia o a dire che poteva essere risolta direttamente dall’immunità di gregge, dai farmaci, e così via. Quando hai scritto Senza respiro sei partito da qui, da queste polarizzazioni e da queste visioni discordanti di cosa è la scienza?
Sì, ci ho pensato, perché stavo scrivendo un libro su COVID-19, sulla ricerca scientifica intorno a questo virus SARS-Cov-2, ma il sottotesto del libro è proprio: Come funziona la scienza? Cos’è la scienza? Quindi ho cercato di scrivere di questo mentre scrivevo di teorie, ipotesi, prove relative al virus e alla pandemia. In generale, come te, sono interessato alla storia della scienza, a come si è sviluppata la biologia evolutiva da Darwin in poi. Ora abbiamo a che fare con questo virus, quindi volevo che le persone vedessero la scienza come un processo umano compiuto da esseri umani imperfetti, che ci consente di avvicinarci passo dopo passo ad una comprensione più accurata della realtà fisica del mondo, e che procede per osservazioni, per esperimenti, per ipotesi, per correzione di ipotesi – quando i dati non le supportano –, per critiche, per competizione tra diversi scienziati. La scienza risulta da questi processi molto umani, tutti guidati però dalla razionalità e dalla convinzione che le prove empiriche contino, a sostegno o a smentita di qualsiasi ipotesi che la scienza abbraccia.
Ma c’è anche qualcosa di più, oltre alla razionalità. Come racconti nel libro, nella ricerca giocano un ruolo anche i pregiudizi, i bias, i dati mancanti per risolvere i problemi, com’è successo, all’inizio della pandemia, rispetto a questioni come l’origine del virus stesso e il meccanismo dei vaccini. Sono ostacoli per la scienza e sono anche questioni che coinvolgono la società che si trova a reagire alla pandemia. Uno degli scienziati che hai intervistato cita l’importanza dell’immaginazione come mezzo per affrontare il virus. Quanto è importante l’immaginazione per la scienza?
Quello scienziato è Ali Kahn, ex del CDC, ora è il direttore della School of Public Health in Nebraska. Gli ho chiesto perché all’inizio abbiamo sbagliato così tanto nel contenere questo virus, perché non ci siamo mostrati preparati. Gli ho chiesto se questo fosse un fallimento della scienza o un fallimento della sanità pubblica, e lui mi ha detto no, è stato un fallimento dell’immaginazione. E quello che intendeva dire è che è stato un fallimento dei leader politici, che non hanno saputo immaginare quanto potesse essere grave la pandemia, che non hanno saputo immaginare una preparazione contro una pandemia annunciata, preparazione che per quanto costosa avrebbe invece fatto risparmiare poi molti soldi e vite umane. L’immaginazione in questo senso è importante perché il futuro non possiamo prevederlo, ma abbiamo delle ipotesi su come sarà il futuro e queste ipotesi ce le forniscono proprio le prove scientifiche che abbiamo, che ci permettono di immaginare cosa potrebbe accadere, a patto di starle ad ascoltare.
Credo che lo stesso discorso potrebbe farsi per il cambiamento climatico.
Esatto! In più il cambiamento climatico è una crisi lenta. È grave quanto la pandemia, è grave quanto la perdita della diversità biologica, ma sta accadendo così lentamente che i governi e le singole persone si possono pure permettere di mentire a loro stessi e agli altri, possono dirsi questo non è un problema per ora, questo è un problema che dovranno affrontare i nostri discendenti.
Nel libro descrivi come i virus, non solo il SARS-Cov-2, entrino nelle nostre cellule. È un fatto disturbante, perché il nostro buon senso suggerisce che i nostri corpi siano un luogo privato e che tutto ciò che viola il nostro corpo è maligno. Invece tu scrivi giustamente che i virus sono da sempre e costantemente stati presenti nel nostro corpo, e sono loro che hanno fornito parte del nostro DNA. Ti concentri su questi processi, e sul nostro intreccio con la natura, anche nel tuo libro precedente. Pensi che la biologia custodisca una rappresentazione della nostra connessione con la natura diversa da quella che immaginiamo di solito?
Beh, anche Darwin, per quanto grande sia stato, non poteva immaginare che i virus sarebbero entrati a far parte della linea genetica umana. Darwin non conosceva i geni, figuriamoci il trasferimento genico orizzontale, questo incredibile fenomeno che descrivo nell’Albero intricato: i geni che si spostano lateralmente da un tipo di creatura all’altro, da un ramo all’altro dell’albero della vita. Quindi, ora che sappiamo quanto siamo incredibilmente invischiati con altre forme di vita, questo dovrebbe ridimensionare noi esseri umani. Ma dovrebbe anche essere edificante per noi umani capire che non siamo separati dalla natura, non siamo al di sopra della natura, siamo parte della natura: noi siamo i batteri, i virus e gli altri microrganismi che vivono nel nostro corpo e che fanno parte del nostro microbioma. Abbiamo persino geni virali nel nostro DNA, che ci sono pervenuti attraverso infezioni negli ultimi cento milioni di anni circa: infezioni animali, infezioni con retrovirus – retro perché restrospettivamente possono inserirsi nei genomi delle cellule che infettano –, che, quando si inseriscono nei nostri spermatozoi o nelle nostre cellule uovo o nelle cellule staminali che li producono, diventano parte permanente del lignaggio umano. Uno di questi virus ha depositato un gene nel genoma umano che è assolutamente essenziale per permettere una gravidanza umana di successo. È un gene che produce una membrana tra la placenta e il feto in una donna incinta e quella membrana porta nutrienti al feto, trasporta prodotti di scarto fuori dal feto e permette al feto di crescere per sopravvivere e nascere. È una cosa che abbiamo scoperto solo negli ultimi dieci o vent’anni.
Gli animali non umani figurano tra gli attori e le vittime della storia della pandemia. Nel tuo libro si racconta della sorte degli animali dei wet market, tra cui il pangolino del probabile spillover, dell’uccisione di migliaia di visoni infettati, e così via. Pensi che le pandemie ci debbano spingere anche a un cambiamento nella nostra etica nei confronti degli animali?
Beh, spero che almeno possano essere d’aiuto. C’è molto lavoro da fare riguardo al nostro atteggiamento nei confronti degli altri animali. E non parlo solo degli esempi che hai appena fatto. Nel nostro complicato rapporto con gli animali bisogna includere anche il fatto che usiamo i primati per la ricerca medica, per esempio. Oggi è raro che si usino ancora gli scimpanzé e altri nostri antenati viventi più vicini, ma in passato sono stati usati per la ricerca medica sull’HIV, per esempio. Abbiamo intenzionalmente sacrificato gli scimpanzé per cercare di salvare la vita degli umani perché tendiamo a pensare che ci sia un’assoluta differenza di valore della vita degli umani e quella di ogni altro tipo di animale. A me interessa profondamente la vita umana, il benessere umano, ma penso che dobbiamo riconoscere anche il valore individuale e la personalità di altri animali, a partire da scimpanzé, bonobo e altri dei nostri antenati più stretti, e le scimmie che usiamo nella ricerca medica. Il punto è che il benessere umano non deve sopraffare ogni altro tipo di benessere su questo pianeta, dobbiamo immaginare dei nuovi limiti a ciò che facciamo per soddisfare i nostri bisogni e anche i nostri desideri, altrimenti alla fine trasformeremo questo pianeta in un luogo molto solitario, con un numero molto piccolo di membri dell’equipaggio che condividono il viaggio con noi.
Sono stati fatti passi avanti per considerare il benessere animale in questo senso, e altri se ne faranno. Ma non pensi che la sperimentazione animale in medicina rimanga decisiva per molti campi?
Certo. Provo anche però a inquadrare la questione da un altro punto di vista. Mi chiedo: se sulla Terra fossero rimasti solo 1000 scimpanzé e fosse necessario sperimentare su di loro per salvare la vita di uno o due persone, avremmo ragione a farlo? Non ho nessuna risposta, sia chiaro. Dico solo che è una domanda seria, che non possiamo evitare.
E ora qualcosa di più leggero: i viaggi. Hai sempre viaggiato molto per scrivere i tuoi libri. Questa volta non potevi, ma hai intervistato dozzine di scienziati e hai letto un’enorme quantità di articoli pubblicati e preprint. Quanto conta oggi l’esperienza di viaggio in prima persona, per raccontare storie di indagine scientifica e per conoscere le società di cui si scrive?
Viaggiare è stato estremamente importante per i miei libri. Uno dei miei principi operativi è sempre stato quello del giornalista scientifico e autore di libri di scienza che va nei posti. Se scrivi dell’ebola che uccide i gorilla e le persone nella foresta del Congo, vai lì. Se hai intenzione di scrivere sui virus che si nascondono in pipistrelli che vivono nelle caverne nel sud della Cina, vai lì! Vai lì con gli scienziati che lo stanno studiando, vivi con loro, scrivi di loro. Scrivi del processo del loro lavoro così come dei loro risultati. Scrivi della loro personalità. Scrivi delle cose che a loro non tornano. Scrivi dei pericoli che affrontano. Scrivi delle cose inaspettate che sono accadute nelle loro ricerche, e delle cose divertenti, tutte cose che ti permettono di dipingere una storia più ricca possibile. Questo era il mio modo di scrivere. Ma poi è arrivato il COVID e il mio editore mi ha chiesto di scrivere un libro sulla pandemia. Siamo nell’aprile o nel maggio 2020, e sento che è un dovere dire di sì, quindi sì, scriverò il libro. Ma come? Capisco subito che sarà un libro diverso. Non posso salire su un aereo e volare a Wuhan, in Cina. E anche se riuscissi a trovare un modo di arrivarci, probabilmente non potrei tornare negli Stati Uniti. Ho pensato a lungo a come fare, come cambiare metodo. Ero a casa mia a Boswell, Montana, ero appena tornato dall’Australia, dove stavo raccogliendo idee per un altro libro. Come tutti, mi sono seduto nel mio ufficio e ho inviato e-mail chiedendo interviste via Zoom. Ho capito che avrei potuto scrivere questo libro cambiando prospettiva per una volta, facendo del virus il protagonista, scrivendo delle sue origini, della sua evoluzione e del suo impatto devastante sulla popolazione umana. L’avrei fatto usando le voci degli scienziati, pensavo di contattarne sessanta o settanta, alla fine sono novantasei. Avrei usato le loro voci per raccontare la storia della pandemia, di come si è snodata ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Hai iniziato come scrittore di narrativa e Senza respiro si sviluppa come una storia di spionaggio. Dozzine di persone che mettono le mani su degli indizi e faticano a trovare soluzioni. Alla fine dei paragrafi spesso inserisci colpi di scena, arrivano nuovi personaggi o sorprese inaspettate della storia. Citi William Faulkner come modello per il suo modo in cui restituire la forma frammentaria della “verità” – parola “imperiosa e sospetta” che metti tra virgolette – che dipende da molti punti di vista. Quanto è importante la forma letteraria per la tua scrittura?
La forma letteraria è estremamente importante per quello cerco di fare. Scrivo di scienza su libri e riviste, e cerco sempre di creare – spero non suoni troppo pretenzioso – qualcosa di letterario e non solo divulgativo. Da una parte cerco di aiutare i lettori a comprendere le scoperte della scienza, le idee della scienza, i processi della scienza e anche i modi in cui funziona la scienza. Spiego, in una certa misura, ma cerco anche di raccontare storie. Come dicevo prima, quando scrivi di scienza, a mio avviso, devi scrivere anche delle persone che fanno la scienza, devi raccontare le loro storie. Ne scrivi come fossero personaggi, e le trame sono sempre intrise di suspense, meraviglia, sorpresa, a volte umorismo, altre volte tristezza. Cerco di creare un’opera letteraria e non solo un’opera di divulgazione, in modo che i lettori, anche se si tratta di un libro su qualcosa di così orribile come COVID-19, possano leggerlo e trarne piacere, oltre che informazioni. Cerco di rendere il linguaggio musicale. Cerco di rendere il ritmo avvincente. Cerco di creare dei volta-pagine. Senza respiro è strutturato in brevi sezioni, ognuna delle quali numerata in sequenza. L’ho fatto per indicare che questa è una storia che va immaginata in maniera serrata una scena dopo l’altra, un evento dopo l’altro, un personaggio dopo l’altro, e che sono tutti collegati insieme. Nel modo in cui l’ho messo insieme sono stato molto influenzato, come dicevi, da William Faulkner. Ho letto Faulkner molto presto nella mia vita e nessuno mi ha influenzato come scrittore di scienza più di William Faulkner con i suoi romanzi.
È interessante che tu abbia Faulkner come modello. Riflette bene la tua visione della scienza, credo. La scienza come processo umano senza una verità finale assoluta, come un processo aperto, in cui convivono e si scontrano molte prospettive. Alcune delle domande che poni, che affronti, non sono risolte. E alla fine del libro, nel capitolo intitolato “Nessuno sa tutto”, troviamo altre domande ancora: quale sarà la prossima pandemia? Dove inizierà? In Spillover avevi in qualche modo annunciato la pandemia che sarebbe arrivata. Alla fine di Senza respiro scrivi che la pandemia di COVID-19 non sarà certamente l’ultima del secolo, poiché i virus che possono innescarla esistono già. La divulgazione ha un ruolo decisivo per la consapevolezza e la diffusione del sapere scientifico, anche all’interno della comunità scientifica. I libri come i tuoi sono un momento di rielaborazione del sapere, se vuoi. Mi sembra però che troppo spesso, ormai, gli scienziati non siano interessati alla divulgazione, o che siano troppo impegnati, a volta costretti, a scrivere paper e articoli specialistici. Se pensi invece ai libri di Darwin, sono stati utili anche a Darwin stesso, per elaborare le sue teorie, e a molti giovani ricercatori che si sono avvicinati con più facilità a quelle materie. Pensi che i libri di scienza possano svolgere una funzione importante per la scienza stessa?
Sì, penso che possano realizzare diverse funzioni importanti. Possono avvicinare più persone alla scienza, possono persuadere il grande pubblico a capire e supportare la scienza. Scrittori-scienziati come Steven Jay Gould, Telmo Pievani, Edward O. Wilson, Freeman Dyson e altri hanno scritto meravigliosi libri letterari, coinvolgenti, che aiutano ad aprire le porte della scienza a lettori nuovi, ai giovani, a volte anche ai bambini. I più grandi complimenti che io abbia mai ricevuto li ho ricevuti da persone che ho incontrato a qualche presentazione, e che dopo mi hanno avvicinato, con una copia sgualcita di qualche mio vecchio libro in mano, dicendomi: questo libro mi ha fatto desiderare di diventare uno scienziato, e ora sto tornando a casa dal Borneo o lavoro in Africa centrale o in questo istituto, questo ospedale.
Accennavi prima a qualche altro tuo progetto in cantiere. A cosa stai lavorando?
Ho un altro libro in uscita a maggio e non perché sono veloce come scrittore, ma perché ci stavo lavorando, come ti dicevo, prima che iniziasse il COVID. Si basa su una raccolta di articoli che ho scritto per la rivista
National Geographic negli ultimi 20 anni, ruota attorno alla conservazione della natura e della diversità biologica. Situazioni diverse, progetti diversi, modelli diversi in giro per il mondo e che ho potuto seguire negli anni grazie a
National Geographic. Li ho messi insieme in questo volume, connettendoli, riscrivendoli. Il titolo è
The Heartbeat of the Wild, “Il battito selvaggio”. È la mia visione della natura dopo quarant’anni di copertura di notizie e storie sul tema, su ciò che funziona in termini di conservazione naturale. Fatto questo, tornerò a un altro libro ancora, anche su questo lavoravo prima che iniziasse la pandemia di COVID, un libro sul cancro e l’evoluzione, sulla
biologia evolutiva del cancro. Un altro campo di fatti contro-intuitivi, sorprendenti e importanti, in cui si cerca di capire il cancro in azione.