S e non conoscete John Carstairs siete pienamente giustificati. Le cose cambiano se invece ignorate l’esistenza dei cianobatteri o se li ritenete trascurabili, oggi o nel futuro. Carstairs era il superlativo cacciatore di piante spaziali a capo degli Interplanetary Botanical Gardens, su cui Frank Belknap Long ha scritto negli anni Quaranta brutti gialli di fantascienza. I suoi racconti sono un bestiario salgariano più che un erbario, popolato da “piante-non-piante”: felci intelligenti, fiori magnetici, piovre fotosintetiche e piante-drago di Plutone, che generano vapori capaci di indurre la confessione nei reprobi. Solo la mente umana, per lui più brillante delle altre, poteva addomesticarle con la sua scienza, eppure il suo detective-botanico incrocia le stesse vie della ricerca vera: misteri, molte piste, tecnologie che cambiano le carte in tavola, depistaggi. E qualche volta, ma non sempre, un colpevole certo da indicare.
John Carstairs troverebbe ai nostri giorni pane per i suoi denti davanti all’enorme montagna di dinosauri, rettili e uccelli che nei millenni, periodicamente, sono morti in massa ai bordi di un fiume nella cosiddetta Maevarano Formation in Madagascar. Oppure per capire chi o cosa abbia ucciso centinaia di cetacei, spiaggiati a ripetizione sulle coste del Cile alcuni milioni di anni fa. Avrebbe forse risolto il caso delle 42 persone finite al cimitero in Brasile nel 1988 o delle 140 all’ospedale col fegato a pezzi nel 1983 in Australia. Più di recente sarebbe stato consultato per l’enorme blob viscoso che nel 2018, per mesi, ha ucciso centinaia di animali nel mare e nelle lagune della Florida, mettendo in ginocchio il turismo, obbligando la chiusura delle spiagge e colpendo uomini e donne con asma e irritazioni cutanee. Avrebbe senza dubbio scoperto un collegamento con piante-non-piante del pianeta Terra: i cianobatteri che si producono in esplosive e periodiche “fioriture” “algali”.
La doppia virgolettatura sta a indicare che non si tratta né di alghe né di piante capaci di fiorire, con cui hanno una parentela più lontana di quella esistente tra l’uomo e un ragno. Si tratta di batteri fotosintetici che prosperano in habitat marini e d’acqua dolce poco profondi che sarebbero stati benissimo nella faretra botanica di Belknap Long: inafferrabili, elusivi, mutevoli, capaci di crescere vertiginosamente in poche ore e letali con le loro tossine multiple e perfide. Questi veleni, che mirano al fegato, infiammano il derma e ledono il sistema nervoso, hanno nomi che andrebbero bene in un racconto pulp, come saxitoxins, anatoxins, paralytic shellfish poison. Individuate le intossicazioni fulminanti, i Carstairs moderni si interrogano ora sul coinvolgimento dei cianobatteri in faccende più subdole e a lungo termine, che apparentemente colpiscono 20, 30 anni dopo l’esposizione alla tossina. E che pur partendo da lontano rischiano di diventare molto contemporanee nel futuro prossimo.
Un personaggio reale simile a Carstairs e legato a doppio filo ai cianobatteri esiste e come il suo omologo fittizio ha un ruolo in un libro. Si chiama Paul Cox, è ovviamente un botanico eclettico ed è ospite di L’isola dei senza colore di Oliver Sacks, edito nel 1996. L’anno di edizione è importante, perché se le investigazioni di fantasia hanno una fine e una soluzione, quelle della ricerca si accrescono di nuove puntate come un serial infinito e intrecciano cause e sfumature che rendono arduo distinguere colpevoli e complici: sono dedali pieni di maschere e non semplici racconti con personaggi limpidi. Chi ha letto Sacks conosce parte della storia: proprio mentre Belknap Long pubblicava i suoi racconti, nell’Oceano Pacifico si scopriva che gli indigeni Chamorro nell’isola di Guam soffrono di una malattia neurologica, definita lytico-bodig da loro o amyotrophic lateral sclerosis/ Parkinson’s dementia like-complex dai medici, con una frequenza enormemente superiore alla media, al punto da essere causa del 5% dei decessi totali.
Si tratta di una patologia affine alla SLA e legata alle cosiddette malattie del motoneurone, in quanto colpisce la parte del sistema nervoso che invia impulsi ai muscoli. Paul Cox, partendo da altre neuropatie indotte da amminoacidi strani, come il latirismo causato da alcuni legumi, ipotizzò che un amminoacido insolito chiamato beta-N-metilamino-L-alanina (BMAA) fosse un indiziato. Alla base del fenomeno ci sarebbe la passione gastronomica per alcuni pipistrelli e per la farina ottenuta da semi piante del genere Cycas da questi mangiati. Per far entrare in scena i cianobatteri basta dire che queste piante presentano una particolare simbiosi radicale con quelli del genere Nostoc, che producono il BMAA e fissano l’azoto per le piante: il Nostoc produce BMAA, questo si accumula nei semi di Cycas, i pipistrelli mangiando lo accumulano e lo passano a chi li mangia, che a sua volta gradualmente lo accumula in corpo.
Dal resoconto di Sacks sono passati quasi 25 anni e come in ogni trama poliziesca che si rispetti quella di Cox era un’ipotesi investigativa, non una soluzione. Tra intoppi e partenze tutt’ora non è stato incarcerato alcun colpevole, ma cinque lustri dopo è possibile dire che l’alibi dell’indagato inizia a scricchiolare e che la mole indiziaria si condensa in qualche prova. La quantità di BMAA inizialmente rinvenuta negli alimenti consumati a Guam era minima e del tutto incompatibile con gli effetti riscontrati, soprattutto in assenza di una spiegazione medica chiara. Nel 2003 si è però visto che questo amminoacido viene incorporato in molte proteine e occorre quindi una precisa procedura analitica per misurarlo a dovere: il rapporto tra BMAA libero e legato è circa 1:100, cioè i Chamorro ne ingerivano ben di più di quanto ipotizzato ai tempi di Sacks. Si è anche verificato che il BMAA è abbondante nel cervello di animali che stanno in cima alle reti alimentari nelle zone sensibili a fioriture algali e che è presente nel cervello di persone morte per patologie neurodegenerative. Nel 2013 si è scoperto che quando l’aminoacido serina è sostituito dal BMAA nella sintesi proteica, si hanno variazioni strutturali che rendono tossiche le proteine dei neuroni con un effetto manifesto molto lontano dal periodo di esposizione. L’anno scorso, in scimmie alimentate con BMAA a dosaggi compatibili con un’intossicazione cronica, si sono ottenute strutture analoghe a quelle considerate un marker della neurodegenerazione. Infine, gradualmente, anche altri ricercatori hanno indipendentemente ottenuto risultati analoghi a quelli di Cox.
Un aspetto che non sarebbe piaciuto a Belknap Long è che nonostante le apparenze i cianobatteri non sembrano produrre BMAA con intenti malevoli, perché così funziona la natura non umana: con ruoli sfumati e colpevoli involontari guidati dal caso. È probabile infatti che questo amminoacido sia il perfetto testimonial dell’opportunismo naturale in quanto, non avendo un ruolo nella sintesi delle proteine, la sua funzione primaria sarebbe quella di conservare azoto, incamerato dai cianobatteri durante il boom della fioritura algale, per sottrarlo ai concorrenti. A differenza dei composti killer di altri cianobatteri, il BMAA non sarebbe classificabile come tossina vera e propria; a conferma di questo vi sarebbe il suo accumulo nelle cellule, da cui esce solo con la morte: una sua azione così proiettata nel futuro non avrebbe senso per scopi di difesa. Insomma, la tossicità nascerebbe da un effetto collaterale e non per malevola volontà cianobatterica, giovandosi di uno scambio di persona che non può mancare in un plot poliziesco serio. Trattandosi di un amminoacido, il BMAA viene infatti facilmente assorbito dal nostro corpo, che non lo tratta come un corpo estraneo da eliminare bensì come un composto potenzialmente utile. Le vie di questa esposizione spaziano dal contatto diretto e dall’assunzione di acqua contaminata fino all’aerosol di goccioline nebulizzate dal vento e ovviamente includono i cibi. Così come entra nel corpo umano, il BMAA accede infatti senza problemi alle catene alimentari, resiste alla cottura e in particolar modo si accumula in animali acquatici come molluschi e crostacei, concentrandosi progressivamente in quantità migliaia di volte superiori a quelle prodotte dai cianobatteri.
Gli animali commestibili più a rischio sarebbero granchi, bivalvi filtranti come cozze e ostriche e poi più su i pesci di lago e di mare, con punte critiche in pinne e cartilagini di squalo. L’accumulo non è uniforme e privilegia le interiora e il sistema nervoso, mentre è cento volte inferiore nei muscoli e nei filetti di pesce e i valori sono comunque inferiori ai 3500 mg/kg presenti nei pipistrelli di Guam: fino a 8 mg/kg in alcune partite di cozze e ostriche, 3 mg/kg nei granchi, fino a 10 nei granchi reali e 35 nelle cartilagini delle pinne di squalo. Nel pesce di lago pescato durante una fioritura algale il contenuto può essere tra 1 e 2 mg/kg. È verosimile pensare che se l’effetto a lungo termine del BMAA alimentare è quello ipotizzato da Cox, chi è esposto a questa sostanza oltre un certo e ancora ignoto quantitativo, potrebbe soffrire di problemi simili a quelli dei Chamorro. Un ulteriore indizio: da quando a Guam non si mangiano più pipistrelli, l’incidenza del lytico-bodig è passata da 180 casi ogni 100.000 persone ai circa 2 comuni alla media mondiale.
Un aumento medio delle temperature dei mari, sarebbe una pacchia per i cianobatteri, che già si avvantaggiano di condizioni favorevoli offerte dal cambiamento climatico e dall’operato umano.
Questa storia avrebbe un valore limitato, se il problema riguardasse solo la caccia al killer dei Chamorro nati ai tempi ormai lontani in cui Belknap Long scriveva i racconti di John Carstairs. In fin dei conti Guam è più distante di Plutone e (Ozzy Osbourne a parte) per il resto del mondo le diete a base di pipistrelli e farina di piante preistoriche sono davvero roba da fantascienza. Ma qui arriva il colpo di scena che rende i cianobatteri organismi degni di nota anche dalle nostre parti: questi microrganismi non crescono solo tra le radici di Cycas delle Isole Marianne, ma prosperano nelle acque dolci e salate di tutto il mondo e circa il 90% delle specie produce BMAA. È grazie a loro che con le prime gocce dei temporali estivi sentite l’“odore della terra”: da bravi alieni, i cianobatteri sono in mezzo a noi..
I pianeti in cui Belknap Long mette Carstairs sono mondi lineari, fatti di poche regole semplici: i cattivi fanno i cattivi, i buoni stanano i cattivi e non sbagliano mai, i cattivi perdono sempre allo stesso modo, i problemi complessi prevedono soluzioni brutali. Sul nostro pianeta invece le trame sono sempre intricate e seguono fili con molti capi, sia in partenza che in arrivo. Uno dei fili meno piacevoli nel caso dei cianobatteri è assai contemporaneo e guarda al futuro in modo molto poco fantascientifico. Un aumento medio delle temperature dei mari, come quello ipotizzato per la fine del secolo, sarebbe una pacchia per questi organismi, che già si avvantaggiano di condizioni favorevoli offerte dal cambiamento climatico e dall’operato umano. Il caldo li rende infatti competitivi rispetto alle più innocue alghe e questo si combina con le maggiori piogge, con l’eutrofizzazione garantita dal dilavamento di fertilizzanti e reflui in fiumi, laghi e mari e col minore rimescolamento verticale delle acque causato dalle fioriture e dal calore, creando la combinazione perfetta per la lunga vita e prosperità cianobatterica. Il risultato complessivo è che queste strane fioriture stanno aumentando nel numero, nella diffusione geografica, nell’intensità e nella durata: impegnano sempre più specchi d’acqua per più mesi, con un incremento della probabilità di esposizione a loro e alle loro tossine.
Questa diffusione ha al tempo stesso aperto nuove piste: già ora il focolaio di Guam potrebbe non essere isolato, ma solo il caso eclatante di un fenomeno più diffuso. Se il BMAA è prodotto dai cianobatteri, se finisce nelle catene alimentari e se può entrare gradualmente nel nostro corpo nel corso di un’intera vita ricca di cozze e granchi, allora le zone più soggette a fioriture algali potrebbero corrispondere a un’incidenza maggiore di malattie del motoneurone. Seguendo questa pista un’indagine del 2018 ha combinato dati satellitari e medico-sanitari correlando la presenza di cianobatteri in Nordamerica a un incremento del rischio standard di SLA del 48%. In Maine, New Hampshire e Vermont la prossimità ai laghi aumenta il rischio, creando veri e propri cluster di SLA, ovvero zone con un’incidenza della patologia nettamente superiore alla media. Per esempio, a mezzo miglio di distanza dalle coste del Lago Mascoma noto per i frequenti bloom di cianobatteri, la probabilità di contrarre SLA è tra 10 e 25 volte superiore alla media.
Più l’acqua dei laghi è di cattiva qualità, ovvero più facilmente soggetta a fioriture di cianobatteri, maggiore è il rischio. Le zone lacustri sottovento, dove l’aerosol potrebbe aumentare l’esposizione tramite la respirazione, offrono un rischio leggermente maggiore. Un’altra mappatura, estesa a un terzo delle contee americane, ha evidenziato una maggiore incidenza di patologie al motoneurone in corrispondenza di un più frequente impiego di acqua di pozzo per scopi irrigui e alimentari: è vero che i sistemi di depurazione dell’acqua eliminano fino al 99% il BMAA e le altre tossine cianobatteriche, ma l’uso di acqua non depurata potrebbe aprire una via al veleno. In Giappone, tra il 1995 e il 2004, una analoga mappatura ha confermato cluster di SLA vicino a zone note per le fioriture ricorrenti di cianobatteri e lo stesso avviene in alcune aree finlandesi, vicino ai fiumi australiani e nel sud della Francia, dove le aree circostanti alla laguna di Thau hanno un’incidenza doppia rispetto alla media.
Tutte queste prove bastano a inchiodare il BMAA? A Carstairs sarebbero bastate, ma nella realtà non sono sufficienti. A causa della ridotta frequenza della patologie, i numeri su cui si basano le indagini che collegano malattia e geografia, hanno un valore limitato. Ad esempio, l’indagine che ha collegato SLA e consumo di granchi sulle coste della Cheasapeake Bay in Virginia si basa su tre soli casi. Inoltre, la caccia al colpevole offre pochi appigli sicuri e non è affatto detto che queste malattie abbiano un’unica causa scatenante: anche se il BMAA ne fosse responsabile gli stessi effetti potrebbero essere indotti anche da altre cause e la loro evidenza potrebbe avere esiti diversi in persone diverse. È probabile infatti che alcune persone presentino una maggiore propensione allo scambio tra serina e BMAA e quindi possano più facilmente essere esposte alle conseguenze, mentre altri ne sono più al riparo, come spesso avviene per tutti i fenomeni nati da un’interazione tra geni e ambiente.
Tornando ai libri e alla fantasia, John Belknap Long era uno dei migliori amici di H.P. Lovecraft. Nei racconti di John Carstairs non emerge l’insignificanza del genere umano; l’occulto caro al suo amico è totalmente imbrigliato dall’ottimismo per la presunta superiorità umana, che assicura un lieto fine a qualunque minaccia aliena. Nella storia dei cianobatteri però non ci sono belve cosmiche e nessuna mente superiore può domarle con una scienza taumaturgica. Non ci sono neanche colpevoli crudeli che attentano alle nostre vite, quanto piuttosto equilibri delicati, come quelli ecologici, che si innestano in un sistema che noi uomini percepiamo a fatica: quello delle conseguenze a lungo termine. Al contrario dell’uomo di Lovecraft, quello di Belknap Long sa modificare esiti e risolvere problemi e l’irrealtà maggiore di queste narrazioni più che nelle bizzarrie botaniche consiste nell’illusione che un uomo con grandi poteri possa risolvere qualsiasi criticità. Nel mondo dei Paul Cox e degli altri ricercatori intenti a dimostrare se il BMAA è colpevole o innocente, l’obiettivo è invece la prevenzione del crimine e la gestione delle conseguenze, perché questa sostanza potrebbe essere solo uno dei tanti agenti che concorrono al malfunzionamento neuronale.
Sino a ora i dubbi sollevati all’ipotesi di Cox hanno trovato una risposta e lo strano aminoacido dei cianobatteri non è stato pienamente scagionato. È verosimile uno scenario in cui l’esposizione a queste tossine per l’uomo aumenterà ed è probabile che le autorità possano introdurre a breve norme più stringenti per il suo monitoraggio nelle catene alimentari analogamente ad altre tossine alimentari. Non è escluso che si arrivi a bloccare il commercio di molluschi da alcune zone e che si indaghi su categorie a rischio, come impiegati in itticoltura, pescatori o militari in missione che spesso bevono acqua di scarsa qualità. Vorremmo che il mondo fosse quello semplice di Belknap Long, ma anziché soluzioni brutali a problemi complessi ci tocca dover affrontare le gestioni: controllare i cianobatteri, prevenire l’esposizione, monitorare la presenza nei cibi, cambiare abitudini, contrastare gli squilibri ambientali.