P rovate a chiedere in giro chi fu il primo uomo a mettere piede sulla Luna. Saranno in molti a rispondervi correttamente: Neil Armstrong. Chiedete allora chi è stato il secondo uomo a lasciare le sue impronte sul suolo lunare. Scoprirete che molti non ricordano il nome di Buzz Aldrin, l’uomo che 19 minuti dopo Armstrong scese dalla scaletta del LEM, il modulo lunare di Apollo 11, in quel famoso 21 luglio del 1969.
Certo, quest’anno, con le celebrazioni del 50° anniversario del primo sbarco umano sulla Luna, il nome di Buzz Aldrin è tornato a riecheggiare più volte, ma è probabile che tra qualche tempo, passati i festeggiamenti, tutto tornerà come prima. È così che vanno le cose per chi arriva secondo. Jurij Gagarin, primo uomo a raggiungere lo spazio nell’aprile del 1961, è indubbiamente molto più famoso di German Titov, il secondo cosmonauta della storia. E Valentina Tereškova, prima cosmonauta donna nel 1963, è molto più popolare di Svetlana Savitskaya, che pure fu la prima donna a effettuare un’attività extraveicolare nello spazio, nel 1984.
Ecco, era proprio questo l’oblìo che forse avrà temuto Buzz Aldrin quando alla NASA, l’ente spaziale statunitense, decisero che il primo a scendere dalla scaletta del LEM non sarebbe stato lui, ma Neil Armstrong, il comandante della missione.
Buzz Aldrin sapeva che il proprio nome sarebbe comunque passato alla storia, ma in una posizione perennemente subalterna a quello di Armstrong. Scendere sulla Luna dopo il suo comandante, lo avrebbe condannato ad una posizione di eterno secondo. E in effetti, già allora, la fetta maggiore di popolarità e di attenzione mediatica andò a chi, di fatto, era stato designato a compiere il primo passo.
Fratello Buzz
All’epoca di Apollo 11, Buzz Aldrin aveva 39 anni. Nato il 20 gennaio 1930 a Montclair, una cittadina dello Stato del New Jersey, dal matrimonio di un ex pilota militare, Edwin Eugene Aldrin Senior, con una donna di nome Marion Moon. Lei però non vedrà mai il figlio camminare sulla Luna: si tolse la vita l’anno prima di Apollo 11.
Aldrin non si chiamava Buzz ma Edwin Eugene Aldrin Junior. Ma essendo l’unico maschio di tre figli, le sorelle presero l’abitudine di chiamarlo “brother”, fratello. Un giorno, quando il futuro astronauta era ancora un bambino, la sorella Fay Ann pronunciò male quella parola e le uscì un “buzzer”, che poi, abbreviato in Buzz, rimase per sempre il suo soprannome. Nel 1988 Aldrin lo fece diventare il suo nome legale.
Quando entrò alla NASA, nel 1963, Aldrin aveva alle spalle una lunga carriera da militare. Si era formato all’Accademia di West Point, dove si era laureato in ingegneria meccanica nel 1951; quello stesso anno prese parte alla Guerra di Corea come pilota di jet da combattimento. Dal 1953 al 1958 coprì diversi incarichi militari, prima in varie zone degli Stati Uniti, poi in Germania.
Nel 1958 Aldrin si fece mandare dai suoi superiori all’MIT, il Massachusetts Institute of Technology, dove ottenne un dottorato in Astronautica. La sua tesi era dedicata alle tecniche di rendez-vous nello spazio, cioè gli incontri tra veicoli in orbita. Nel 1963, Aldrin entrò a far parte dei gruppi di astronauti che la NASA stava selezionando per le proprie missioni. Proprio in quell’anno si stava concludendo il Programma Mercury, che aveva portato i primi statunitensi oltre l’atmosfera. Era stata la risposta americana ai successi sovietici delle prime missioni umane intorno alla Terra.
Erano gli anni della Guerra Fredda e i rapporti di forza tra Stati Uniti e Unione Sovietica si stavano misurando anche a colpi di primati nella conquista dello spazio. E Mosca era decisamente in testa. Fu John Fitzgerald Kennedy, come noto, a indicare la strada per la vittoria, in un famoso discorso che tenne il 25 maggio 1961 al Congresso americano: l’obiettivo era quello di far sbarcare, prima della fine del decennio, un equipaggio umano sulla Luna e di farlo tornare indietro sano e salvo. Kennedy tornò sull’argomento in un appassionato discorso tenuto il 12 settembre 1962 alla Rice University in Texas.
Così, dopo il Programma Mercury, le cui missioni prevedevano il lancio di un solo astronauta per volta, la NASA inaugurò nel 1963 il più ambizioso Programma Gemini, così chiamato perché le navicelle potevano ospitare un equipaggio di due uomini. Lo scopo del Programma era quello di sviluppare e testare tecniche e procedure per viaggi spaziali molto più avanzati, come sarebbero stati quelli del Programma Apollo, già ideato nel ‘61, all’indomani del discorso di Kennedy, ma ancora tutto da realizzare.
Per il Programma Gemini la NASA aveva bisogno di figure come Buzz Aldrin: era pilota, ingegnere, istruttore di volo, e aveva pure un dottorato in astronautica. L’uomo giusto al momento giusto, e così la NASA lo reclutò. Riuscirà a prendere parte all’ultima delle missioni Gemini, la dodicesima, insieme al comandante James Lovell.
Partita l’11 novembre 1966, Gemini 12 volerà per quattro giorni attorno alla Terra. Tra i suoi compiti principali c’era quello di testare diverse volte le operazioni di aggancio della navicella a un satellite precedentemente immesso in orbita, operazione fondamentale per le successive missioni Apollo, che prevedevano agganci e sganci tra modulo di comando e modulo lunare. Altro compito fu quello di effettuare diverse attività extraveicolari: era indispensabile testarle in vista di una futura passeggiata lunare. E a eseguirle per Apollo 12 fu proprio Aldrin, che totalizzò più di 5 ore di attività al di fuori della capsula, un record per quei tempi.
Direzione Luna
Dopo Gemini 12, la NASA si concentrò subito sul programma Apollo per far arrivare i propri uomini sulla Luna. Ma il programma parte male: il 27 gennaio 1967 un incendio divampa nel modulo di comando di Apollo 1 durante un’esercitazione a terra, e uccide i tre astronauti a bordo.
Le missioni successive effettueranno vari test senza equipaggio e bisognerà attendere l’ottobre del 1968 per vedere nuovamente uomini a bordo di una missione Apollo: è la numero 7, incaricata di effettuare nuovi test intorno alla Terra. Ma bisognava accelerare. La fine del decennio si stava avvicinando e bisognava mantenere l’impegno preso dal presidente Kennedy.
Così, nel dicembre 1968, Apollo 8 portò per la prima volta tre astronauti a orbitare intorno alla Luna e a fare ritorno sulla Terra. Fu un successo straordinario, che agli americani fece sentire la Luna sempre più a portata di mano. Ma Apollo 8 girò intorno al nostro satellite senza il modulo lunare, il LEM, che non era ancora pronto. Lo avrebbero testato le due missioni successive: Apollo 9 in orbita terrestre e Apollo 10 in orbita lunare, rispettivamente a marzo e a maggio del 1969.
A quel punto tutto, finalmente, era pronto per l’allunaggio. L’equipaggio di Apollo 11 era stato presentato dalla NASA già il 9 gennaio 1969: Neil Armstrong, comandante; Buzz Aldrin, pilota del modulo lunare; Michael Collins, pilota del modulo di comando. E dunque Armstrong e Aldrin sarebbero scesi sulla Luna con il LEM, mentre Collins, orbitando attorno alla Luna in solitaria, avrebbe aspettato i suoi compagni sul modulo di comando per riportarli a Terra. Già: ma chi, tra Armstrong e Aldrin, sarebbe uscito per primo dal modulo lunare una volta atterrati sul nostro satellite?
Sfida a due
Fino alla metà di marzo del ‘69 sembrava che a scendere per primo dovesse essere proprio Buzz Aldrin e non Neil Armstrong. Lo stesso Aldrin lo aveva dichiarato in alcune interviste, sorretto dalla convinzione che nelle missioni Gemini si era consolidata la prassi di far svolgere le attività extraveicolari ai piloti delle navicelle spaziali e non ai comandanti delle missioni. Anche un alto esponente della NASA aveva fatto il nome di Aldrin come primo uomo sulla Luna, ma poco dopo la metà di marzo, cominciarono a circolare indiscrezioni di ben altro segno.
Aldrin venne a sapere che la NASA stava pensando di puntare su Armstrong perché era un civile. Nonostante un decennio passato nella Marina Militare e la sua partecipazione alla Guerra di Corea, in effetti Armstrong aveva lasciato l’uniforme nel 1960 per dedicarsi alle attività di pilota collaudatore. La decisione della NASA mandò Aldrin su tutte le furie, e non fece mistero del suo dissenso in più occasioni, anche con alcuni dei suoi colleghi.
Parlò allora della cosa allo stesso Armstrong, ma sembra che Armstrong si limitò a dire che quella decisione non era di sua competenza. In effetti la responsabilità di quella decisione se l’erano presa i vertici della NASA, soprattutto Donald Kent Slayton, direttore dell’ufficio preposto alla selezione degli equipaggi di volo. Slayton non nutriva alcuna simpatia per Aldrin a causa del suo carattere difficile, sapeva che la personalità di Aldrin era risultata d’ostacolo a molti astronauti sin dai tempi del suo ingresso alla NASA.
Non era un tipo simpatico, anzi, era conosciuto come un presuntuoso e un saccente: si era guadagnato il soprannome di “Dottor rendez-vous” perché l’argomento della sua tesi di dottorato era la cosa di cui più amava parlare con i colleghi, anche durante le pause per il caffè. Agli occhi di Slayton la situazione peggiorò quando si venne a sapere che il padre di Aldrin stava facendo pressioni su alcuni amici influenti che avevano conoscenze alla NASA e al Pentagono, affinché il figlio potesse scendere per primo sulla Luna.
Per mettere fine a questo stato di cose, Slayton si recò nell’ufficio di Aldrin per comunicargli che la decisione finale sarebbe stata in favore di Armstrong. La motivò così: Armstrong era entrato alla NASA un anno prima di Aldrin, e poi era giusto che il primo a mettere giù piede fosse lui, come era stato per Cristoforo Colombo e altri comandanti di spedizioni storiche. Sarebbe stato inopportuno, agli occhi del mondo, che potesse accadere il contrario.
L’ordine di uscita degli astronauti dal LEM fu ufficializzato il 14 aprile in una conferenza stampa a Houston. Dopo quella data, l’atteggiamento di Aldrin peggiorò nettamente e il suo carattere, già difficile, diventò sempre più cupo e introverso. La NASA motivò ulteriormente la propria decisione facendo leva sulla posizione dei due astronauti all’interno del LEM: il pilota si sarebbe trovato a destra dell’abitacolo, il comandante a sinistra, vicino all’apertura del portellone di uscita. E con gli spazi già molto angusti, sarebbe stato difficoltoso scambiarsi di posto con indosso tute ingombranti (secondo Alan Bean, pilota del modulo lunare di Apollo 12, questa era solo una scusa per chiudere la controversia e rasserenare un Aldrin irritato – con un po’ di manovre, Aldrin avrebbe potuto uscire prima di Armstrong). La verità era che la NASA preferiva Armstrong per il semplice fatto che Neil era una persona più sobria, più misurata, più controllata rispetto a Buzz, che non aveva mai fatto mistero delle sue ambizioni di gloria.
Nonostante qualche malumore tra Aldrin e Armstrong durante alcune fasi del loro addestramento, la missione Apollo 11 si svolse senza incomprensioni tra i due. Ma – secondo alcuni storici delle imprese spaziali – forse Aldrin un piccolo dispetto lo fece ad Armstrong. Proprio sulla Luna, nelle due ore e mezza che durò la loro passeggiata sul nostro satellite.
La quasi totalità delle foto scattate il 21 luglio 1969 e che ritraggono un astronauta, hanno sempre come soggetto Aldrin, dal momento che era Armstrong a usare la macchina fotografica, come previsto dal protocollo. Per pochi minuti, però, la fotocamera fu affidata ad Aldrin, che iniziò a scattare alcune fotografie dell’ambiente lunare senza alcun intento di inquadrare Armstrong. E così oggi abbiamo una sola immagine in cui Armstrong compare a figura intera sulla Luna, ma in posizione marginale e per di più di spalle. Insomma, Aldrin non si adoperò minimamente per immortalare il suo comandante sulla Luna in una foto celebrativa degna di questo nome, simile a quelle che lo stesso Armstrong aveva scattato a lui. La vendetta di Aldrin per essere arrivato secondo – anche se ovviamente il diretto interessato ha sempre respinto l’accusa.
Nuova normalità
Al loro rientro a Terra, i tre uomini di Apollo 11 furono accolti come eroi. La loro popolarità era alle stelle, ma la celebrità può darti alla testa se non sai come difenderti dalle sue insidie e Aldrin, a differenza di Armstrong e Collins, fu quello che affrontò peggio gli anni che seguirono al viaggio sulla Luna.
Caduto in depressione, si diede all’alcol, fece uso di tranquillanti e finì per due volte in clinica psichiatrica. Divorziò dalla sua prima moglie, Joan Archer, che aveva sposato prima di entrare alla NASA e con la quale aveva avuto tre figli. Lasciò la NASA nel ’71, l’anno successivo le Forze Armate. Insomma, fu un periodo difficile, sul quale pesò certamente anche l’amarezza di aver visto sfumare la possibilità di vedere il proprio nome immortalato – come quello di Armstrong – tra i “primi” della storia. Non è un caso che Aldrin sia spesso tornato, nei suoi libri autobiografici, sui motivi che portarono alla sua esclusione e ci dice molto anche il suo racconto, ribadito in più occasioni, di avere un primato che nessuno gli potrà mai sottrarre: quello di essere stato il primo a fare la pipì sulla Luna (orinando ovviamente dentro un apposito dispositivo della sua tuta) mentre scendeva dalla scaletta del LEM.
A ogni modo, sembra che scrivere le proprie memorie lo abbia aiutato ad uscire dal tunnel dell’alcol e della depressione. Firmò Ritorno alla Terra, nel 1973, e autobiografico è anche il saggio Magnifica desolazione, del 2009, il cui titolo riprende la frase che egli pronunciò non appena sceso dal LEM nell’ammirare il paesaggio lunare. Tra le pubblicazioni più recenti, Nessun sogno è troppo elevato. Lezioni di vita da parte di un uomo che ha camminato sulla Luna, del 2016.
Dopo Johan Archer, Aldrin si è sposato altre due volte, divorziando poi da entrambe le mogli. Oggi, all’età di 89 anni, è in causa contro due dei suoi figli che hanno chiesto a un giudice della Florida di essere nominati tutori legali dell’anziano astronauta, sostenendo che il padre non sarebbe in grado di amministrare le proprie risorse finanziare a causa di un degrado cognitivo.
Per tutta la sua vita Aldrin ha sempre voluto rimanere il principale testimonial dell’esperienza umana sulla Luna, senza mai sottrarsi a interviste, comparsate televisive ed eventi mondani, talvolta anche reagendo duramente nei confronti di chi ha messo in dubbio l’allunaggio, come nel 2002, quando davanti a una telecamera sferrò un pugno dritto in faccia a Bart Sibrel, uno dei tanti negazionisti degli sbarchi umani sulla Luna, che lo aveva inseguito con una Bibbia invitandolo a mettervi la mano sopra e a giurare di esser stato davvero sulla nostro satellite in quel luglio del 1969.
Negli ultimi decenni Aldrin è diventato anche un instancabile sostenitore del futuro dell’esplorazione umana dello spazio, in particolare di Marte, dove, secondo lui, dovremo andare non per lasciarci solo impronte e bandiere, come è stato per la Luna cinquant’anni fa, ma per fondarvi colonie e restarci.
Estratto da Vite che non sono la tua, in onda su Rai Radio3. Potete ascoltare la puntata completa in streaming sul sito della trasmissione.