L o scorso ottobre, l’attenzione dei giornali è stata catalizzata per qualche giorno (forse uno o due) dal rapporto Global Warming of 1.5 ºC, firmato dall’IPCC, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Secondo il documento, se la temperatura del pianeta supererà il grado e mezzo di aumento rispetto alla media di qualche decennio fa, le condizioni per le attività umane si faranno quantomeno problematiche. Limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto a 2°C, dice il report, ridurrebbe molti impatti gravi sugli ecosistemi e sulla salute umana: meno carestie, meno povertà, meno migrazioni di massa, meno mortalità infantile, meno rischi per la salute – tutte cose alle quali andremo comunque incontro nel giro di qualche decennio.
Molti commentatori hanno accolto il rapporto con scetticismo, preoccupazione, sgomento. E sorpresa, come se fosse un’ultima ora inattesa, un grave allarme del tutto inaspettato. Eppure il primo rapporto dell’IPCC è del 1990 e la prima Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (COP) è del 1995, quando le modifiche climatiche indotte dalle attività umane erano già iniziate da tempo e avrebbero condotto alla situazione corrente.
Dopo qualche giorno, lo stupore per l’allarme dell’IPCC sembrava già svanito e, qualche settimana più tardi, i lavori della COP24 di Katowice hanno ricevuto poche righe nelle pagine interne.
Un meccanismo di assuefazione al pericolo e di veloce metabolismo della notizia a cui è abituato chi segue queste vicende da tempo. Proprio dagli sguardi e dalle analisi stupite e fugaci della stampa generalista nasce l’idea della breve analisi che leggerete. Parte da una manciata di domande: sappiamo con precisione qual è la storia scientifica delle ricerche sui cambiamenti climatici, ma da quanto tempo ne stiamo parlando anche a livello divulgativo? Da quanto tempo l’opinione pubblica è a conoscenza del riscaldamento globale per cause antropiche? E come se ne parlava, all’epoca, del problema? È stato raccontato da subito come una minaccia incombente? Com’è cambiata nel tempo la percezione delle responsabilità umane?
Abbiamo deciso di andare a ripescare i libri acquistati o ricevuti in dono in questi decenni che discutevano o almeno accennavano agli allarmi ambientali e climatici (o, come si diceva un tempo, all’effetto serra), libri che risalgono a volte all’inizio dell’interesse per la materia, fine anni Sessanta o inizio anni Settanta.
La raccolta è avvenuta in maniera del tutto antologica e qualitativa, consultando i libri ammassati in cantina e in garage. Ovviamente è una rassegna incompleta e soggettiva, un metodo empirico e piuttosto personale, eppure si tratta di un campione statistico con significatività ridotta ma non nulla (e non sono state prese in considerazione riviste, pamphlet, foglietti e altri mezzi di diffusione delle notizie, proprio per avere una base stabile di analisi).
Il primo “manoscritto ritrovato” è La società suicida: requiem per un pianeta infetto, di Gordon Rattray Taylor, del 1970 (in Italia è arrivato, per i tipi della Mondadori, nel 1971. Il sottotitolo originale era un po’ più speranzoso: Mankind can survive! The Doomsday Book). Un intero capitolo, il terzo, si intitola “Età glaciale o morte da calore?”, e racconta proprio le discussioni tra i sostenitori di due tesi allora presenti. All’epoca la temperatura terrestre non aveva ancora iniziato l’ultimo gradino della cosiddetta mazza da hockey – termine utilizzato per descrivere il periodo, negli anni Settanta/Ottanta, che vide un deciso e definitivo rialzo della temperatura terrestre.
In quegli anni i timori climatici riguardavano non solo il riscaldamento ma anche un possibile e altrettanto globale raffreddamento del pianeta. Anche tra gli scienziati non esisteva una certezza riguardo alla futura temperatura della Terra. Le preoccupazioni derivavano da alcuni studi che descrivevano un trend di raffreddamento iniziato negli anni Quaranta del secolo scorso, dovuto essenzialmente all’aerosol emesso dalle attività umane. Il dibattito si trascinò per qualche anno, ma in breve l’idea di raffreddamento globale divenne una nozione rapidamente superata, smontata per esempio con l’esame di dati termometrici dell’emisfero meridionale, in cui la tendenza era piuttosto al riscaldamento. Se l’idea fu abbandonata dalla scienza negli anni Settanta, non fu invece dimenticata dai media. Il settimanale Newsweek nel 1975 intitolò una storia di copertina “The cooling world”. A questo e ad altri articoli di media generalisti si aggrapparono molti negazionisti anche nei decenni successivi (persino dopo il 2000, come fece Crichton nel 2004) per smentire l’idea di un riscaldamento globale causato dall’uomo. Il mito quindi, come una fenice, ogni tanto risorge, come testimonia questo articolo di debunking di Climate feedback.
Nel libro di Taylor, comunque, la spiegazione dell’aumento di temperatura dovuto alla crescita dell’anidride carbonica è piuttosto approfondito. Poi, però, si legge:
La sola cosa certa è che il tasso [di crescita] di anidride carbonica aumenta e che aumenta con un sempre crescente ritmo. Tracciata su carta millimetrata, la curva lascia prevedere che la temperatura media della Terra aumenterà di almeno 5 °C per il 1990.
Una previsione esagerata, perché a questo punto saremmo tutti sott’acqua, che fa capire come al tempo la stampa (Taylor era un giornalista) non avesse poi le idee così chiare sulla posizione della scienza riguardo all’effetto serra. Il capitolo è ricco di altre considerazioni, dati, interviste e previsioni, che però non vanno inequivocabilmente in direzione del riscaldamento.
Il libro successivo è lo storico Il cerchio da chiudere, di Barry Commoner (The closing circle: la prima edizione americana è del 1971, tradotta in italiano l’anno successivo da Garzanti ‒ qui una critica del 1971 ancora di Michael Cricthon). Commoner, ecologo e fisiologo vegetale, fu una delle voci più lucide di analisi della situazione ambientale, con particolare riguardo all’aspetto energetico. I suoi libri – oltre Il cerchio da chiudere ci furono La povertà del potere e La politica dell’energia – sono analisi chiare della situazione del tempo e delle conseguenze per il pianeta del proseguimento nell’uso dei combustibili fossili. A pagina 39 del primo libro afferma:
Ora noi stiamo bruciando questi combustibili fossili, e quindi la concentrazione di anidride carbonica nell’aria riprende a salire: l’effetto che questo fenomeno potrà avere sulla temperatura della Terra è argomento di vivaci discussioni da parte degli scienziati.
Un libro quasi contemporaneo è La morte ecologica (Laterza, 1972 – in italiano andavano i titoli catastrofisti: l’originale era A blueprint for survival, The ecologist, 1972, cioè Progetto per la sopravvivenza), affronta lo stesso problema, ma con ben altre basi. Nel libro gli autori, Edward Goldsmith e Robert Allen, propugnano una nuova società basata su principi ecologici, di basso impatto e attenta ai messaggi della natura. Per quanto riguarda il riscaldamento globale, il libro parte da un aspetto tangenziale, cioè la distruzione delle foreste tropicali, che
farebbe diminuire la capacità di assorbimento dell’anidride carbonica da parte dell’ecosfera, e anzi potrebbe aumentare ulteriormente la velocità con cui attualmente aumenta la concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera: tale concentrazione aumenta ad un tasso dello 0,2% all’anno dal 1958 e, se questa tendenza continuerà, nel 2000 essa sarà del 18% superiore al valore attuale. […] Lo studio SCEP indica che potrebbe derivarne un aumento della temperatura media della Terra di 0,5 °C [rispetto, probabilmente, alla temperatura del 1971 n.d.r.]
Lo studio SCEP citato è una ricerca del 1972 ‒ Study of Critical Environmental Problems ‒ preparatoria alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (United Nations Conference on the Human Environment). Il mezzo grado è un valore non molto distante dalle rilevazioni attuali, anzi, è quasi perfettamente in linea.
Il passo successivo è solo di un anno dopo: il libro è Una sola Terra (Mondadori, 1972; edizione originale Only One Earth, vari editori in giro per il mondo, 1972), di Barbara Ward e René Dubos. Il volume è il rapporto non ufficiale commissionato dal Segretario Generale della Conferenza di cui sopra, preparato da un comitato di 152 membri di 58 paesi. È dunque un’opera a più mani, raccolta da Ward e Dubos sulla base di dati e letteratura scientifica. Per quanto riguarda l’effetto serra, verso la fine del libro si legge:
In quantità normale, cioè lo 0,03% dell’atmosfera totale, l’anidride carbonica gioca un ruolo minimo ma altamente specializzato nel sistema di riscaldamento della Terra. Ma è anche provato che nell’ultimo decennio la liberazione di anidride carbonica nell’atmosfera, come risultato dei molti combustibili fossili bruciati dall’uomo, è andata crescendo dello 0,2% l’anno. […] La sua crescente concentrazione nell’aria significa che, secondo le attuali percentuali di impiego, la temperatura della Terra verso l’anno 2000 potrebbe aumentare di 0,5 °C.
A parte il linguaggio più cauto, i valori sono ancora una volta più attendibili di quelli dei libri precedenti, e anche l’aumento è vicinissimo a quello che è stato effettivamente rilevato (anche se non si dice quale sia la data di partenza delle rilevazioni). Le pagine successive sono approfondimenti su quanto accade in atmosfera e nel sistema Terra con altre attività, umane, come il disboscamento e l’inquinamento da gas di combustione (PM25, PM10, PM5 eccetera). A partire da questi anni inizia a sgonfiarsi definitivamente l’ipotesi dell’era glaciale incombente.
Un salto di qualche anno ci porta a un libro, di per sé, storico. Si tratta di Gaia, nuove idee sull’ecologia (Bollati Boringhieri, 1981, edizione originale Gaia, a New Look at Life on Earth, 1979). L’autore è James Lovelock, un chimico inglese famoso per le sue attività da ricercatore indipendente e soprattutto per la proposta della teoria di Gaia, che vede la Terra come un unico organismo autoregolantesi con l’azione delle specie batteriche, animali e vegetali (anche se non “vivente” in senso pieno, come è stato a volte riportato).
Nel libro Lovelock scrive:
È stato detto che l’aumento dell’anidride carbonica agirà a guisa di coperta gassosa per tenere più calda la Terra. Si è anche discusso del fatto che l’aumento della foschia dell’atmosfera potrebbe produrre effetti di raffreddamento. È stata perfino fatta l’ipotesi che i due effetti si annullino a vicenda, ed è per questo che nulla di significativo si è verificato fino ad oggi a causa delle perturbazioni prodotte dall’impiego dei combustibili fossili. Se le previsioni di aumento sono corrette e se, col passare del tempo, il nostro consumo di questi combustibili continuerà a raddoppiare più o meno ad ogni decennio, sarà necessario stare in guardia.
Sempre nei primi anni Ottanta esce Salvare il mondo, di Robert Allen (1981, il titolo originale è How to save the world, 1980, l’editore italiano Mondadori e quello originario Iucn-Unep-Wwf). Allen, lo stesso autore di La morte ecologica, lavorava all’Iucn (International Union for the Conservation of Nature, l’ente che ancora adesso si occupa delle specie in via di estinzione e di politiche di conservazione).
Il libro si concentra più che altro sulle minacce e sulle strategie per salvare le specie animali e vegetali, ma non può fare a meno di far notare i pericoli che corrono gli ecosistemi terrestri, e in particolare le foreste tropicali.
Quando si consumano i combustibili fossili o quando le foreste vengono distrutte, i composti che contengono il carbonio vengono bruciati ed esso si accumula nell’atmosfera come anidride carbonica. Secondo i calcoli più recenti, la distruzione delle foreste tropicali è oggi così intensa da liberare nell’atmosfera tanta anidride carbonica quanta ne proviene dall’uso dei combustibili fossili. La conseguenza probabile dell’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera è che il clima terrestre diventerà più caldo e l’aumento della temperatura sarà maggiore ai poli che nelle altre zone.
Esattamente quello che sta accadendo ai giorni nostri. Il libro cita a suo supporto un documento della World Meteorological Organization del 1979, che sembra scritto ieri.
Il libro successivo necessita di una piccola introduzione. L’entomologo Paul Ehrlich (solo omonimo dell’immunologo tedesco) pubblica The Population Bomb, (1968, Sierra club/Ballantine books, con numerose riedizioni fino al 2018). Nel libro predice estese carestie sul pianeta e morti di centinaia di milioni di persone verso l’anno 2000. Le sue previsioni non si sono verificate, anche se la sua posizione neo-malthusiana non è cambiata nel tempo.
Insieme all’ecologia come scienza, il suo interesse principale sono le specie animali messe in pericolo dalle attività umane, cui dedica uno dei suoi libri più famosi, Extinction (1981 Ballantine books). Qui elenca le azioni umane che portano le specie animali e vegetali all’estinzione. Tra di esse, c’è un’approfondita discussione sulle modifiche al sistema atmosfera/clima. L’enfasi principale è ancora sull’abbattimento delle foreste tropicali, causa prima dell’estinzione di un gran numero di specie, ma a essa è agganciata anche la modifica della concentrazione di CO2 in atmosfera a causa delle attività umane.
Forse il modo più marcato in cui l’ecosistema può influenzare il clima è attraverso la modifica della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Potenzialmente questo potrebbe avere effetti a scala globale. Molte attività umane scaricano la CO2 in atmosfera ‒ a tutt’oggi le più importanti sono l’uso dei combustibili fossili e la distruzione delle foreste. […] Perché questo è importante? Un accumulo di CO2 in atmosfera potrebbe portare a un aumento della temperatura media globale. Anche una crescita modesta ‒ circa un grado ‒ potrebbe risolversi in un cambiamento sensibile del clima su tutto il pianeta. […] Un cambiamento apparentemente insignificante nella temperatura media globale potrebbe causare un’alterazione imponente nella distribuzione delle piogge.
Queste analisi sono il riassunto di quanto si può trovare nel massiccio volume Ecoscience: Population, Resources, Environment (W.H. Freeman company, 1970 ed edizioni successive; quella presente nella mia biblioteca è del 1977) scritto insieme alla moglie Anne e a John Holdren. Qui le spiegazioni riflettono quanto era noto all’epoca, a livello universitario (quindi con fonti dirette, diverse da quelle “mediate” cui spesso accedono i giornalisti o i divulgatori). Cioè che, per esempio:
La concentrazione atmosferica dell’anidride carbonica è aumentata di più del 10 % (da 290 ppm a 329) dal 1880 al 1975. […] Se tutti gli altri fattori rimangono costanti, l’aumentato effetto serra causato da questo aumento potrebbe aver accresciuto la temperatura media superficiale globale di circa 0,3 °C.
Non sono i libri di divulgazione gli unici che contengono brevi e a volte problematiche argomentazioni sul riscaldamento globale (che al tempo era definito quasi univocamente effetto serra). Tra le mani mi ritrovo anche un fascicoletto definito Lo stato dell’ambiente: rapporto sulle condizioni ambientali del pianeta, dell’Unep (United nations environmental program. 1987, Guerini e associati. L’originale è L’etat de l’environment mondial, Onu, 1987). Nel capitolo “L’effetto serra e il clima”, si afferma:
Le emissioni di biossido di carbonio dovute ai combustibili fossili sono stimate in circa 5 miliardi di tonnellate di carbonio l’anno. I biota terrestri, in particolare le foreste e i loro suoli sono stati, per l’atmosfera, una fonte di biossido di carbonio nel secolo scorso e a tutt’oggi emettono ogni anno da 1 a 2 miliardi di tonnellate di carbonio, di cui circa l’85% deriva dal disboscamento, in particolare nelle aree tropicali.
[…]
I modelli climatologici recenti fanno pensare che l’aumento della temperatura media di superficie, causata alle (sic ‒ forse era dalle) maggiori concentrazioni di biossido di carbonio e altri gas responsabili dell’effetto serra, equivalente a un raddoppio della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera, potrebbe essere compresa tra gli 1,5 °C e i 4,5 °C.
Anche il libro successivo è del 1987. Il titolo è I limiti dell’energia (Garzanti) e gli autori sono italiani. Paolo degli Espinosa, al tempo della stesura del libro, lavorava all’Enea come responsabile delle ricerche sul teleriscaldamento, Enzo Tiezzi è stato un chimico famoso per alcuni libri interessanti e a volte dibattuti, come Tempi storici, tempi biologici (1984 Garzanti) e un oscuro tentativo di unire fisica ed evoluzione, Verso una fisica evolutiva. Natura e tempo (2006. Donzelli). Degli Espinosa e Tiezzi erano al tempo all’avanguardia nella divulgazione di concetti e idee di un’ecologia intrecciata con la politica, la società e la cultura.
Il libro è un’analisi della situazione energetica italiana e non solo, con cenni di ecologia e di impatto sociale sulle scelte energetiche. Un’intera appendice è dedicata all’effetto serra, e spiega bene quali siano le basi del fenomeno e le conseguenze dell’aumento dell’anidride carbonica. “Dal punto di vista socioeconomico il problema fondamentale è quello della crescita dell’anidride carbonica per gli effetti sul clima e sull’agricoltura che verrebbero causati dallo scioglimento di una parte dei ghiacci polari e dalla desertificazione. Se la tendenza attuale dei consumi delle energie fossili non rinnovabili continua, la quantità di anidride carbonica terrestre raddoppierà in circa 50 anni”. È interessante vedere come si conclude il paragrafo: “La posta in giuoco [sic] è altissima, le incertezze molte e l’unico modo politico di affrontare il problema è una difficile cooperazione internazionale”. Profetico è dir poco.
Ci sono anche errori e punti oscuri, come quando scrivono: “La potenziale capacità delle profondità oceaniche di assorbire anidride carbonica è virtualmente illimitata”, cosa che sappiamo non essere vera, ma il libro è un quadro molto interessante della situazione energetica, e non solo, nel nostro Paese quando nessuno (o meglio nessun politico o uomo di cultura) pensava al riscaldamento globale.
Un salto di un anno ci porta al 1988, quando esce un libro, per certi versi, epocale: Il futuro di noi tutti (1988, Bompiani. L’edizione originale, Our common future, è del 1987, Oxford University Press). È il risultato dei lavori della cosiddetta Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, o Commissione Brindtland, dal nome della politica norvegese Gro Harlem Brundtland che commissionò il rapporto.
Il libro è una vera enciclopedia dello stato dell’ambiente del pianeta negli anni Ottanta, e tratta di molti aspetti del rapporto della nostra specie con il pianeta, dall’economia alla popolazione all’energia, con un ricchissimo apparato di rimandi e note ‒ ancora oggi punto di riferimento per molte discussioni sullo “sviluppo sostenibile”, una frase che proprio questo rapporto contribuì a diffondere.
I rischi e le incertezze ambientali di un futuro energetico ad alto consumo sono allo stesso modo preoccupanti e danno adito a parecchie riserve […]. L’elevata probabilità di mutamenti climatici frutto dell’“effetto serra” derivante dall’immissione di gas nell’atmosfera, in primo luogo anidride carbonica (CO2), prodotti dal consumo di combustibili fossili.
Nella pagina accanto ci sono addirittura due scenari, uno a consumi elevati e un altro a bassi consumi, ciascuno con le sue conseguenze. Si passa poi a parlare di come Gestire i cambiamenti climatici. Si spiega come
scienziati di ventinove paesi industrializzati e in via di sviluppo sono giunti alla conclusione che i cambiamenti climatici devono essere visti come una “probabilità plausibile e grave” e che “molte importanti decisioni economiche e sociali vengono oggi formulate […] sul presupposto che i dati relativi al passato climatico costituiscano, senza variazioni di sorta, un’affidabile guida per il futuro. Ma si tratta di un presupposto che non è più valido.
Bill McKibben, attivista storico, è invece l’autore di La fine della natura (1989, Bompiani. L’edizione originale è The End of Nature, 1989 Random House). Il primo capitolo del libro, “Una nuova atmosfera”, è dedicato all’inquinamento e alle emissioni di anidride carbonica da parte della attività umane, con un breve ma succoso riassunto della storia della scoperta dell’effetto serra. Scrive McKibben:
Dunque, nell’ultimo secolo noi abbiamo fatto crescere il tasso di anidride carbonica nell’aria circa del 25%, ed esso quasi certamente raddoppierà nel prossimo secolo; abbiamo più che raddoppiato il livello di metano; abbiamo aggiunto un minestrone di altri gas. Abbiamo sostanzialmente alterato l’atmosfera della Terra.
E poche pagine più in là:
I modelli che sono stati costruiti concordano che quando, come previsto, l’anidride carbonica raddoppia rispetto alla concentrazione in epoca anteriore alla Rivoluzione Industriale, la temperatura planetaria media aumenta, e che questo aumento va da 1,5 a 4,5 °C.
Ci risiamo con la forbice 1,5-4,5, che come abbiamo visto è presente in altri volumi. E con la costruzione o meglio la diffusione dei modelli climatici, che già allora prevedevano quello che sta accadendo ora. Scrive poi McKibben:
Che il processo di riscaldamento sia iniziato ufficialmente o no è probabilmente una questione più importante per i politici che per gli scienziati. Almeno da otto anni a questa parte, il mondo scientifico si trova sempre più d’accordo che una tendenza al rialzo termico, per quanto possa non essersi già manifestata, sia inevitabile.
Gli ultimi libri della pila: Gaia Connections, di Alan Miller, (1991, Rowman & Littlefield) dove si legge: “Questo accumulo dei cosiddetti gas serra porterà a un aumento di temperatura di almeno 1,5-4,5 °C per il 2025”. E poi un altro libro di Paul e Anne Ehrlich, Per salvare il pianeta (1992, Franco Muzzio. L’edizione originale, Healing the Planet, è del 1991, Addison Wesley) che dedica un capitolo intero al riscaldamento globale: la storia, le conseguenze, le lotte con i politici, le grida di allarme degli scienziati e la sordità (congenita?) degli economisti. Anche l’apparato di note e commenti in fondo al capitolo è (ancora) notevole.
A partire dagli anni Novanta, messi da parte alcuni indefettibili negazionisti, la pubblicistica che discute di cambiamenti climatici non metterà più in discussione la realtà della Terra calda, e più che altro affronterà le discussioni sulle possibili soluzioni del problema.
Ma come abbiamo visto in questa breve e aleatoria rassegna, anche nei libri di divulgazione degli anni Settanta (e sicuramente nei lavori scientifici precedenti, da cui quei lavori in gran parte attingevano) c’erano le avvisaglie di una situazione che è andata evolvendosi nel tempo fino ai giorni nostri. Il riscaldamento globale e le responsabilità della nostra specie sono diventati fenomeni sempre più chiari e difficili da ignorare. I libri di divulgazione (il cui campione qui proposto è almeno parzialmente rappresentativo) hanno provato sin da subito a riflettere il dibattito scientifico e riportarlo a una platea di lettori più ampia.
Le notizie di questi mesi, e gli scenari niente affatto inediti del report dell’IPCC dello scorso ottobre, non possono insomma aver colto di sorpresa politici ed economisti. A meno di non presumere una totale e abissale ignoranza delle sorti dell’ambiente, una altrettanto notevole noncuranza o una palese malafede.