Alessandra Castellazzi
/ Illustrazioni
di Roberto Abbiati, tratte da "Il libro degli esseri a malapena immaginabili"
25.1.2019
Bestiari moderni
Evoluzione, estinzione, natura: intervista a Caspar Henderson, autore del Libro degli esseri a malapena immaginabili.
Alessandra Castellazzi è traduttrice e scrive soprattutto di libri e letteratura. Ha tradotto, tra gli altri, Maggie Nelson, Mark O'Connell e Brian Dillon. Collabora con alcune case editrici ed è stata caporedattrice del Tascabile.
Il diavolo spinoso è una lucertola nativa dell’Australia. Ha il corpo ricoperto di aculei grandi come le spine di una rosa, entra nel palmo di una mano. È una preda ambita nel bush, per questo ha sviluppato diversi meccanismi di difesa: è dotato di una doppia testa, posta sulla nuca, che può essere staccata a morsi per poi ricrescere; può gonfiarsi come un pesce palla, per rendere più difficile ai predatori inghiottirlo; può mimetizzarsi nel terreno arido come un camaleonte.
Il granchio yeti, invece, vive nei fondali oceanici. È stato scoperto solo nel 2005 in una sorgente idrotermale sottomarina a circa mille chilometri a sud dell’Isola di Pasqua, dove l’acqua sgorga a oltre 300° e si irradia nel gelo degli abissi. Qui, in compagnia del granchio yeti, vivono altre creature che traggono energia dal calore interno della Terra: organismi minuscoli, ma anche vermi tubo giganti, grandi fino a due metri e mezzo, creature prive di bocca, stomaco e apparato digerente.
“Anche gli esseri più brutti, strani, hanno una loro bellezza”, mi dice Caspar Henderson, giornalista e scrittore, autore del Libro degli esseri a malapena immaginabili (Adelphi, 2018, traduzione di Massimo Bocchiola). L’opera di Henderson è un bestiario moderno che raccoglie alcune tra le creature più stupefacenti sulla faccia della Terra e sotto la superficie del mare, spaziando da giganti animali ora estinti a minuscoli batteri. Henderson intreccia divulgazione scientifica e storia culturale, con un’ironia che trova specchio nelle illustrazioni realizzate da Roberto Abbiati per l’edizione italiana del libro. “Ho pensato a delle illustrazioni più semplici e reali possibili” mi racconta Abbiati, “ma il modo in cui si colloca un disegno, come lo si adopera, come lo si storta e si raddrizza, mi sembra sempre che possa trasmettere un senso. Qui ho creato una cornice che richiama i libri di cetologia, ma gli animali a volte sono in basso, altre in alto, a volte entrano nel libro, a volte sono molto piccoli, altre fuori proporzione”.
Il cambiamento di proporzione e prospettiva è una costante di questo bestiario anomalo: si parla di estinzione, evoluzione, impatto dell’uomo sugli ecosistemi; c’è un continuo andirivieni tra cultura e natura, si scoprono tratti umani in creature mai toccate dalla luce del Sole. “Gli animali facevano da intermediari tra l’uomo e le sue origini, perché erano simili a lui e al tempo stesso diversi”, scrive John Berger nel saggio Perché guardiamo gli animali? Gli esseri raccolti nel libro di Henderson sono l’incarnazione dell’Altro per eccellenza, sono creature al limite dell’immaginazione, a volte curiose altre mostruose, che hanno preceduto e accompagnato l’uomo in tutta la sua storia culturale ed evolutiva.
Il l
ibro degli esseri a malapena immaginabili contiene tante fonti e ispirazioni: i bestiari medievali e quelli immaginari di Borges, gli studi sull’evoluzione e le leggende di folclore. Qual è stato il punto di partenza per costruire questo bestiario del Ventunesimo secolo?
Volevo creare qualcosa che intrattenesse i lettori e che intercettasse delle domande che tutti, in fondo, ci siamo posti: qual è la natura della nostra esistenza? Perché siamo qui? Come siamo fatti? Perché siamo diversi da altri esseri? In cosa possiamo sperare? Credo che quando ci sono buone risposte a queste domande, o bei tentativi di affrontarle, sia utile mettere in campo tutte le risorse provenienti da diversi ambiti della cultura, dalla scienza alla letterature, dalla storia all’arte. E poi, una cosa che si nota nei bestiari prodotti in Europa nell’Alto Medioevo, è l’esuberanza. C’è un’energia coinvolgente e anche se ci sono dei pensieri cupi nel libro – e ce ne sono, perché ci sono aspetti cupi nella nostra realtà – credo che l’esuberanza sia molto importante, è una della cose che più mi ha affascinato dei bestiari. Un’altra ispirazione è Il libro degli esseri inimmaginabili di Borges, una raccolta di miti e storie inventate: ha un’energia incredibile, è un librino sottile che contiene tantissimo.
Gli animali si prestano spesso a un’interpretazione simbolica.
I bestiari medievali erano libri di allegorie, perché il lettore colto del tempo – come un prete – credeva che tutto fosse stato creato dal Dio di cui leggevano e di cui sentivano parlare in chiesa, che tutto fosse stato creato con uno scopo, per impartire una lezione sul piano divino. In generale, non sono in tanti a crederci oggi, dopo la rivoluzione scientifica: dopo Galileo, Darwin, Einstein, abbiamo una visione molto diversa dell’universo. Il mondo non è allegorico come lo intendevano nel medioevo, ma per un certo verso lo è ancora. L’impatto umano sul mondo naturale è così grande, abbiamo cambiato il mondo per trasformarlo in una nostra immagine – che sia intenzionalmente o per caso, senza pensarci – che stiamo trasformando il mondo in uno specchio di noi stessi. Non un bello specchio, molte volte. Stiamo cambiando il mondo per renderlo un’allegoria di noi stessi.
Qual è stato il criterio di scelta delle creature?
Questo progetto avrebbe potuto avere qualsiasi dimensione. Ci ho lavorato per quattro o cinque anni, ma sarei potuto andare avanti ancora. Dovevo trovare un limite: questo è artificiale, di 26 capitoli, le lettere dell’alfabeto. Ci ho giocato un po’, ho messo due volte la X perché in inglese sta per estinzione, che è un tema ricorrente nel libro.
Detto questo, scegliendo gli animali pensavo al loro rapporto con questioni che riguardavano l’esistenza, l’estinzione, l’evoluzione, la coscienza. Volevo animali che dialogassero con queste domande. A un certo punto, avevo pensato di iniziare il libro con un’alga verde-azzurra, che non è nemmeno un animale, è un batterio. Mi sembrava un’ottima idea perché è grazie ai batteri che c’è ossigeno nell’atmosfera, e quindi che esistono gli animali, anzi ogni forma di vita terrestre. Poi ho trovato l’axolotl, che è perfetto per parlare di evoluzione, rinascita, morte; un bell’inizio per un libro.
La maggior parte degli animali di cui scrivi sono molto molto strani. Pensi che il senso di meraviglia sia un buono strumento per interessare le persone alla natura?
Credo di sì. Mi è piaciuto moltissimo, durante la ricerca e la scrittura del libro, studiare da vicino i fenomeni naturali, gli animali, le piante, tutto quello che ci circonda, incluso ovviamente il corpo umano e la mente umana. Lo studio dettagliato non è mai nemico del senso di meraviglia o dell’entusiasmo; non rende il mondo meno magico, nel senso di bello e sorprendente.
Cercare solo il bello e il sorprendente non può essere controproducente? Non si rischia di tralasciare gli aspetti più comuni della natura?
È una domanda che mi fanno spesso, ma non so se ho una buona risposta. Semplicemente: non credo possa essere controproducente. Sì, siamo sempre in cerca di cose nuove e curiose, è una componente umana piuttosto comune. Non c’è niente di male, va bene essere curiosi, voler scoprire cose sconosciute. Ma si può anche studiare da vicino una cosa comune come una margherita. Cosa sappiamo veramente di questo fiore? Non sono un esperto di botanica, eppure ci sono così tante cosa da capire su come un organismo si riproduce, si organizza… Si nutre di sole! Come fa? Che cosa succede? Credo che la meraviglia si trovi nelle cose più ordinarie, così come in quelle straordinarie.
Il libro gioca molto con l’alternanza di elementi di “famigliarità”, quando riconosciamo negli animali delle caratteristiche umane, e un senso di “perturbante”, nel caso di esseri quasi alieni. Come convivono queste sensazioni opposte?
Parte della risposta sta nel concetto di “perturbante”, che ha introdotto Freud. Oggi si parla spesso del concetto di uncanny valley: per esempio quando guardiamo i robot, che sono simili a delle persone ma anche molto diversi. C’è qualcosa di perturbante, di unheimlich in tedesco, di strano. Il dubbio è proprio questo: questa creatura, o robot, o qualsiasi cosa sia, questa presenza è simile a me? Ha una mente, delle intenzioni? Che cosa pensa, prova, conosce? Non sappiamo deciderci, siamo in dubbio, potrebbe esserci anche un fondo di paura, timore, forse anche disgusto. Disagio, sicuramente.
Prendiamo l’esempio delle murene. Hanno queste bocche strane, spalancate, gli occhi quasi morti. Eppure, siamo cugini, lo sappiamo. C’è una bellissima storia di una scrittrice americana di nome Julia Whitty, che ha instaurato una relazione con una murena. È un animale dall’aspetto terrificante, ma loro hanno stretto una specie di amicizia: la murena si avvicinava, esprimeva interesse e curiosità. Possiamo trovare bellezza e vicinanza anche in un essere che sembra strano, repellente.
D’altra parte, tra gli esseri “a malapena immaginabili” elencati e descritti nel libro c’è anche l’essere umano.
Sì, mi sembrava una trovata divertente. Di solito gli esseri umani non sono inclusi nei bestiari. Storicamente, nella nostra cultura occidentale, si pensava che gli uomini fossero separati dagli animali, che Dio avesse creato il mondo, poi gli animali per popolarlo. Poi invece c’erano l’uomo e la donna, che un giorno avrebbero lasciato la terra per il paradiso, e quindi erano diversi, separati. La rivoluzione scientifica ha minato alla base quella convinzione. Ora è chiaro che facciamo parte, con ogni cellula del nostro essere, della storia evolutiva. Siamo animali. Ma non solo, siamo anche esseri culturali, siamo modellati da una cultura di centinaia di migliaia di anni in un modo così profondo da non poter essere paragonato a quello di altri animali, che pure hanno una cultura in rapida evoluzione.
Il mio obiettivo era scrivere un bestiario con un approccio scientifico. Cosa si può dire di questo strano animale che è l’uomo? Beh, abbiamo dei piedi strani. Dita molto piccole, che aiutano a tenere l’equilibrio, e grossi talloni sul retro. Si possono trovare diversi tratti che distinguono l’essere umano, ma i piedi giocano una parte molto importante. Grazie alla nostra postura eretta, siamo in grado di correre e di avere le mani completamente libere, con tutto quello che comporta: possiamo manipolare gli oggetti e usare il cervello in modo diverso. Da un punto di vista evolutivo, sembra che tutto sia iniziato dai piedi, quando quelli dei nostri antenati hanno assunto la forma che conosciamo oggi.
A proposito di confini labili, il libro dimostra che grazie allo studio degli animali possiamo imparare molto su linguaggio, comunicazione, coscienza e altre caratteristiche che pensiamo prerogative dell’essere umano.
Credo sia molto utile studiare le capacità sensoriali degli altri animali, la potenza della loro percezione in rapporto alla nostra, per vedere quanto le nostre capacità di movimento e percezione siano flessibili. Per esempio, alcuni animali hanno capacità di orientamento incredibili, riescono a ritornare all’esatto punto di partenza dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri, usando il campo magnetico terrestre. Alcuni animali hanno delle capacità che noi non abbiamo. È un motivo di riflessione e ci aiuta a mettere in prospettiva le nostre capacità. A volte scopriamo anche che l’origine di alcuni tratti in comune tra uomo e un animale si può rintracciare in una terza creatura più semplice dal punto di vista evolutivo. E poi la vista, la varietà di occhi in diversi animali, ci può far riflettere sulla natura della nostra vista, che cosa crea e che cosa esclude.
Attraverso le voci dedicate agli animali ricostruisci in ogni capitolo una breve storia della scienza. Ma il libro è pieno anche del racconto di teorie superate, che si sono dimostrate fallimentari o obsolete. Come mai?
Intanto, guardarle retrospettivamente è molto divertente. Gran parte del tempo siamo cullati dalla sicurezza in noi stessi, crediamo di sapere come vanno le cose, siamo certi delle nostre opinioni. Ma spesso ci sbagliamo, alcune delle cose di cui eravamo così certi si rivelano false. A volte l’errore è l’unica strada per scoprire la cosa giusta. È parte del metodo scientifico. Sbagliare è salutare, se si presta attenzione ai risultati. Questi sono alcuni dei motivi per riflettere su come le cose sono andate storte e perché.
Nel capitolo sugli axolotl parlo di questo francese, François De Sarre, che era convinto che i tetrapodi – anfibi e rettili, uccelli e umani – e anche i pesci provenissero tutti da un unico antenato, un “omuncolo acquatico” che aveva una grossa testa, come gli umani. Civiltà intere avevano convinzioni assurde, quindi dovremmo stare attenti e capire quanto sia comune l’errore.
Nell’introduzione parli di Antropocene, fai capire che scrivere il libro ti è servito a riflettere sulle conseguenze del comportamento umano sulla natura.
Durante la ricerca per il libro ho parlato con diversi scienziati e conservazionisti. Ho letto, ascoltato, studiato, guardato, e il processo di scrittura mi ha aiutato a mettere a fuoco la situazione. Volevo scrivere un libro esuberante e gioioso, ma ci sono prove schiaccianti che questo sia un periodo molto negativo per quasi ogni forma di vita sulla terra, umani inclusi. La velocità del cambiamento ambientale, gli effetti della distruzione degli habitat e del cambiamento climatico sono enormi. È come se avessimo una biblioteca, l’incredibile biblioteca della vita, e la maggior parte dei libri venissero distrutti da un incendio prima di essere stati letti.
Bisognerebbe perlomeno evitare di bruciare una parte così grande della libreria in così poco tempo. Forse i libri possono essere riscritti, ricreati. Forse no. Forse verrano scritti nuovi libri a cui mai nessuno aveva pensato. Mi viene in mente la vicenda del filosofo greco Democrito, che ho letto in un libro di Carlo Rovelli. Ha scritto sessanta, forse settanta libri, tutti spariti, distrutti, forse intenzionalmente. Un peccato. Forse le cose sarebbero andate meglio, se non fossero stati distrutti? È un’analogia, ma regge anche per il mondo naturale.
In tutto questo, il tuo animale preferito qual è?
Non ho un animale preferito, mi piacciono tutti. [ride] Ma c’è uno pterosauro chiamato Quetzalcoatlus, che mi piace particolarmente, forse perché è l’unico animale estinto del libro. Tutti gli altri sono reali, esistenti per il momento, anche se qualcuno è molto a rischio. È probabilmente la più grande creatura ad aver volato. Gli pterosauri sono parenti dei dinosauri, ma non sono uccelli, sono rettili. Hanno ali simili a quelle dei pipistrelli, con tessuto connettivo tra le dita, ma l’anatomia è molto diversa: camminavano a terra in modo molto strano, le ali erano giganti. Alcuni erano piccoli come pettirossi, ma altri avevano ali di 8, 9, 10 metri. Dovevano essere uno spettacolo. È incredibile anche solo immaginarli.