M ark Solms è un neuropsicologo e psicoanalista sudafricano, che nel 2000 ha fondato l’International Neuropsychoanalysis Society e dirige oggi diverse istituzioni dedicate alla neuropsicoanalisi. La fonte nascosta. Un viaggio alle origini della coscienza (Adelphi, 2023) è il libro che racconta tutta la sua ricerca, ancora poco nota in Italia, ed espone le sue principali ipotesi teoriche. Si tratta di un’opera di grande ambizione, che ha almeno quattro snodi concettuali, corrispondenti ad altrettanti campi aperti della ricerca contemporanea.
In primo luogo, Solms si occupa della ricerca neuropsicologica sulle basi della coscienza e formula una propria teoria sui cosiddetti “correlati neurali della coscienza”. È questo un campo di ricerca affascinante e controverso che negli ultimi anni ha diviso filosofi come David Chalmers, e neuroscienziati come Antonio Damasio, Joseph LeDoux e molti altri, chiamando in causa anche le ricerche sulla mente degli altri animali, per esempio negli studi di Peter Godfrey-Smith. Il problema riguarda il fatto che solo alcune tra le numerosissime operazioni che avvengono continuamente nel nostro sistema nervoso si accompagnano a un’esperienza soggettiva. I correlati neurali della coscienza sarebbero quelle aree o processi nel cervello (o nel sistema nervoso) la cui attività risulta necessaria e sufficiente al prodursi di stati coscienti.
Oggi non c’è accordo tra gli scienziati su quali siano i correlati neurali della coscienza, rispetto ai quali esistono molte ipotesi.
Oggi non c’è accordo tra gli scienziati su quali siano questi correlati, esistono molte ipotesi alternative e divisioni anche molto aspre sulle basi e le prospettive di questa indagine. Per esempio, di recente è stato condotto un esperimento collaborativo per stabilire quale tra due di queste teorie avesse maggiori conferme sperimentali. Si trattava della “teoria dello spazio di lavoro neuronale globale”, proposta da un gruppo guidato dal neuroscienziato Stanislas Dehaene, e della “teoria dell’informazione integrata”, sviluppata da un gruppo guidato dallo psichiatra e neuroscienziato Giulio Tononi. L’esperimento è risultato in uno stallo, dando risultati parzialmente favorevoli all’una e all’altra teoria. Qualche giorno fa, un nutrito gruppo di scienziati e filosofi ha sottoscritto una lettera in cui si sostiene che, a dispetto della risonanza di questo esperimento, esso non metteva alla prova le previsioni fondamentali della teoria dell’informazione integrata, la quale infatti non sarebbe empiricamente testabile e quindi dovrebbe essere attualmente considerata alla stregua di una “pseudoscienza”.
In questo campo, Solms sostiene una teoria che considera le emozioni, come fame e sete, quali forme originarie di coscienza e ne colloca i correlati nel tronco encefalico. In questa prospettiva – già difesa in precedenza da Jaap Panksepp e Antonio Damasio – l’attività cognitiva svolta dalla corteccia cerebrale non è originariamente cosciente, e infatti spesso resta inconscia, mentre sarebbero gli stati emotivi a produrre la coscienza. Inoltre, anche specie animali che non hanno la corteccia cerebrale, e individui umani che ne sono accidentalmente privi, possono avere stati coscienti.
La seconda tesi di Solms consiste nella rivalutazione della ricerca di Sigmund Freud dal punto di vista della neuropsicologia. Freud è noto soprattutto per il metodo psicoanalitico e per le ambiziose ipotesi sull’interpretazione dei sogni e sulla suddivisione della psiche in diverse istanze come Io, Es e Super-io, guidate da principi differenti e spesso in contrasto. Molto meno noto è il fatto, ricordato da Solms, che Freud fu neurologo di formazione e all’inizio della sua carriera avanzò delle ipotesi sui correlati di coscienza e inconscio, abbandonandole in seguito a causa dei limiti delle conoscenze biologiche del tempo per intraprendere la nuova via psicoanalitica. Ma Solms va oltre questa constatazione, sostenendo che Freud, nonostante i limiti delle sue ipotesi neuroscientifiche, avesse già compreso alcune delle caratteristiche fondamentali della mente e del suo funzionamento che oggi possiamo descrivere in termini neuroscientifici. Questa è l’idea che sta dietro alla disciplina della neuropsicoanalisi.
La seconda tesi di Solms consiste nella rivalutazione della ricerca di Sigmund Freud dal punto di vista della neuropsicologia.
La terza tesi fondamentale del libro di Solms riguarda il modo in cui la coscienza sorge dalla materia. La scoperta dei correlati neurali, infatti, non spiega ancora come da determinate aree del cervello si produrrebbero stati soggettivi e qualitativi quali l’esperienza di un intenso piacere o la percezione visiva di un determinato colore. Solms, collaborando con lo scienziato Karl J. Friston, ha elaborato un modello basato sull’auto-organizzazione e sulla riduzione dell’entropia nei sistemi fisici, che intende collegare questi processi della materia (anche inorganica) con la fenomenologia della coscienza. Ne La fonte nascosta, Solms tratteggia le linee generali di questa complessa ipotesi scientifica.
Da quest’ultima discende, quasi come un colpo di scena, la quarta tesi forte del libro, che Solms introduce nei capitoli finali e riconosce di aver raggiunto relativamente tardi nel corso della sua carriera: la possibilità di una coscienza artificiale. Se la coscienza dipende da un processo fisico descrivibile in termini di energia ed entropia, allora non c’è ragione di escludere che un sistema artificiale opportunamente costruito potrebbe sviluppare stati coscienti. Ho intervistato Solms per domandargli di guidarci attraverso alcuni passaggi cruciali del libro e illustrare alcune implicazioni della sua teoria.
Se la coscienza dipende da un processo fisico descrivibile in termini di energia ed entropia, allora non c’è ragione di escludere la possibilità di una coscienza artificiale.
Paolo Pecere: Le neuroscienze della coscienza sono attualmente caratterizzate da diverse teorie. Lei collega la sua ricerca alla “neuroscienza affettiva” sviluppata da Jaap Panksepp, Antonio Damasio e altri, che presenta i sentimenti (o “emozioni”) come forma fondamentale di coscienza negli animali. Che cos’è un “sentimento” e qual è la sua funzione in questa prospettiva?
Mark Solms: Un sentimento [feeling] è una deviazione da uno stato fisiologico omeostatico, cioè da dove abbiamo bisogno di essere. In altre parole, una sensazione negativa equivale a un allontanamento da questo stato, mentre una sensazione positiva è un ritorno verso di esso. Questo permette all’animale di sapere se le sue scelte, in una situazione di incertezza, stanno andando male o bene, e quindi di “cambiare idea” prima che sia troppo tardi. Questa è la base del comportamento volontario. A sua volta, esso consente all’animale di imparare dall’esperienza.
PP: Nel libro lei racconta di particolari esperienze cliniche che l’hanno portata verso questo approccio. C’è stato un punto di svolta in questo senso?
MS: Il punto di svolta per me è stato assistere alla piena reattività emotiva dei bambini anencefalici, cioè privi di corteccia cerebrale e solitamente considerati privi di coscienza.
PP: Lei sostiene che i sentimenti sono la forma più fondamentale di esperienza soggettiva, mentre i tipi di percezione sensoriale che apparentemente riempiono la nostra esperienza, come la visione e l’udito, sono processi che possono essere inconsci e che in realtà sono resi coscienti da un’eccitazione affettiva. Le percezioni, come scrive, “danno significato” agli affetti. Lei presenta questa visione come il ribaltamento di un “approccio corticocentrico” che ha dominato le neuroscienze ed è ancora molto influente nella teoria e nella pratica neuroscientifica.
MS: Le prove che i processi corticali percettivi e cognitivi possono svolgersi inconsciamente, e di solito lo fanno, sono schiaccianti. Altrettanto schiacciante è l’evidenza che la coscienza dipende interamente dall’eccitazione del tronco encefalico e che le stesse strutture che generano l’eccitazione generano anche gli affetti. La coscienza percettiva e cognitiva corticale permette semplicemente all’animale di sapere quali sono i suoi stati affettivi.
PP: L’esistenza di processi inconsci era diffusa anche tra i filosofi e gli scienziati fin dal XIX secolo, ed è ovviamente anche una nozione di base della psicoanalisi. Nel libro lei racconta il suo passaggio dalla neuropsicologia alla psicoanalisi e la nascita del nuovo campo della “neuro-psicoanalisi”. Questo può sembrare strano a chi associa Freud solo alle pulsioni sessuali represse e al complesso di Edipo, ma lei sottolinea che Freud era originariamente un neuroscienziato e che molte delle sue idee si rivelano ancora preziose. Quindi, quale Freud dobbiamo rivalutare e quale no?
MS: Per quanto riguarda la coscienza, l’aspetto principale della teoria freudiana che deve essere rivisto è la sua convinzione, condivisa con la maggior parte dei neurologi del XIX e XX secolo, che la coscienza sia una funzione percettiva e quindi corticale. Anche molti altri aspetti della teoria psicoanalitica devono essere rivisti, ma questi non riguardano da vicino la teoria della coscienza. Una possibile eccezione a questo proposito è la necessità di rivedere radicalmente la teoria freudiana delle pulsioni: ci sono molte più pulsioni delle due postulate da Freud, e ci sono molti tipi diversi di piacere nel cervello. Non tutto il piacere è “libidico”, cioè associato alla soddisfazione delle pulsioni sessuali.
PP: Abbiamo parlato di come i sentimenti e la cognizione producano un processo cosciente congiunto. Come esseri umani, di solito associamo i sentimenti a tipi di cose per mezzo della memoria e di preconcetti culturali, ad esempio posso avere paura dei ragni, apprezzare il gusto particolare del cibo che ho mangiato da bambino e avere un pregiudizio negativo quando ascolto una certa lingua straniera. Questo ha portato alcuni neuroscienziati, come Joseph LeDoux, a chiedersi se possiamo attribuire le emozioni in senso proprio ad altri animali che non hanno il nostro apparato cognitivo. Dove pensa che inizi la coscienza negli animali, o negli organismi?
MS: La coscienza riflessiva umana è la forma più elevata di coscienza, ma non è sinonimo di coscienza stessa. La forma più elementare di coscienza è l’affetto grezzo e l’affetto è un prerequisito per tutte le altre forme di coscienza. È evidente che si può provare qualcosa come il dolore senza pensarci! Credo che almeno tutti i vertebrati siano coscienti, ma sembra altamente probabile che anche molte altre creature lo siano, come i cefalopodi, gli insetti e alcuni crostacei. Credo che il criterio decisivo debba essere la capacità di comportamento volontario, come ho spiegato sopra.
PP: In una sezione del libro lei presenta un modello fisico di coscienza basato sul processo biologico della sopravvivenza, che a sua volta dipende dalla riduzione dell’incertezza. Può darci un’idea di come funziona?
MS: Tutti i sistemi biologici sono sistemi auto-organizzati. I sistemi auto-organizzati sorgono spontaneamente in natura. La loro caratteristica distintiva è che resistono all’entropia, per continuare a esistere. È da questo principio che si è evoluta l’omeostasi. Anch’essa è una forza anti-entropica e auto-organizzante. Per mantenere l’omeostasi in un mondo pieno di incertezze, è necessario che il sistema sviluppi un modello predittivo, un modello di come funziona il mondo che lo circonda, in modo da poter agire intenzionalmente per mantenersi in condizione di omeostasi.
PP: Con questa teoria, lei sostiene di fare progressi rispetto al “problema difficile della coscienza”, come il filosofo David Chalmers ha chiamato rompicapo dello spiegare perché alcuni processi cerebrali sono accompagnati da esperienze soggettive. Lei sottolinea che se vogliamo comprendere la soggettività dobbiamo cercare di assumere la prospettiva di un sistema fisico. Sembra che la descrizione neurologica non basti e che la teoria abbia una componente filosofica.
MS: In effetti ha una componente filosofica fondamentale!
PP: Un risultato sorprendente del modello è la possibilità di macchine senzienti. In che senso possiamo parlare di coscienza delle macchine?
MS: Credo sia importante riconoscere che la coscienza delle macchine sarà molto diversa, non solo dalla nostra coscienza, ma anche da quella di qualsiasi organismo vivente. Tuttavia, possiamo descrivere sistemi come quello che stiamo progettando come “coscienti” nel senso del filosofo Thomas Nagel: cioè, c’è qualcosa che “si prova” a essere una macchina del genere, qualcosa che la macchina prova.
PP: Come ho accennato all’inizio della nostra conversazione, esistono diverse teorie della coscienza nelle neuroscienze. A che punto siamo oggi?
MS: La teoria dello spazio di lavoro globale è, a mio avviso, facilmente conciliabile con le neuroscienze affettive, purché si riconosca che lo spazio di lavoro corticale [cioè lo spazio, definito nel modello, in cui i diversi contenuti elaborati nel cervello vengono condivisi e divengono pertanto coscienti] è modulato – anzi, letteralmente generato – dall’eccitazione del tronco encefalico. Invece la teoria dell’informazione integrata è, a mio avviso, più difficile da prendere sul serio.
PP: Dopo aver finito il suo libro ho pensato: ecco un neuro-psicoanalista che spiega la coscienza come espressione di un meccanismo biologico che tende alla riduzione del rischio e all’“ottimizzazione” dello sforzo. Eppure noi dedichiamo tante energie a ossessioni, deliri privati, rappresentazioni religiose, idee artistiche, ideali politici, teorie della coscienza. Come si inserisce tutto questo nel quadro?
MS: La prima cosa da dire è che i bisogni emotivi sono molteplici e in conflitto tra loro. Soddisfare una pulsione significa spesso frustrarne un’altra. In secondo luogo, bisogna dire che alcune delle nostre pulsioni portano direttamente a ossessioni, illusioni, religioni, idee artistiche, ideali politici, eccetera. Nel caso delle ossessioni, delle religioni e di altre illusioni, queste pulsioni sono la pulsione epistemofilica chiamata “ricerca”, mentre nel caso delle idee artistiche, politiche eccetera si tratta della pulsione sociale chiamata “gioco”.