U n tappeto di foglie gialle e marroni scricchiola sotto le scarpe. L’aria è caldissima, si può ancora sentire il canto delle cicale. Siamo a fine luglio ma le piante non sono morte avvizzite, si tratta di una strategia di sopravvivenza deliberata. Lo chiamano “falso autunno”: stressata dalle temperature eccessive e dalla carenza di precipitazioni, la vegetazione attiva una sorta di modalità di emergenza. Cerca di trattenere più acqua possibile all’interno del fusto, e fa così cadere le foglie in anticipo. Il costo energetico del loro mantenimento supera i benefici, e con meno superficie da dover irrorare, la pianta può così sopravvivere ed entrare in quiescenza, preparandosi alla stagione successiva. Il risultato è l’ingiallimento e la caduta delle foglie ben prima di Ferragosto: la vegetazione, anche quella spontanea, assume l’aspetto di un giardino con l’impianto di irrigazione rotto. Il falso autunno si verifica nei casi più estremi, quando siccità e temperature sopra la norma si combinano. Casi che si sono tuttavia verificati con sempre maggiore frequenza negli ultimi anni, e con maggior anticipo nel corso dell’anno. Un fenomeno che fa presagire qualcosa di peggio: la quasi totale scomparsa di un’intera stagione.
Per stessa ammissione della comunità scientifica, l’autunno è la stagione meno trattata dalla ricerca climatologica. Forse perché è quella più complicata, più influenzata da molteplici fattori. La primavera è, in confronto, più facile da leggere: inizia quando sbocciano i primi germogli. Una foglia secca, invece, può significare sia un problema di salute per la pianta che il normale sopraggiungere del periodo di senescenza autunnale. Le temperature anomale stanno rendendo difficile prevedere l’andamento dell’autunno: alcuni modelli climatici si aspettavano, per esempio, che l’innalzamento delle temperature globali avrebbe fatto maturare le foglie più tardi, invece che in anticipo. Se l’autunno inizia in ritardo, in teoria la vegetazione ha a disposizione una finestra temporale più lunga per i processi fotosintetici. In questo modo immagazzina nei rami e nelle radici una maggior quantità di CO2, con conseguenze positive per tutto l’ambiente – un fenomeno chiamato carbon sink. E invece uno studio su Science del 2020 sulle foreste temperate nordamericane ha riscontrato il fenomeno opposto: il periodo di fotosintesi è più breve e ha portato a un mancato immagazzinamento pari a un miliardo di tonnellate di CO2 rispetto alle stime precedenti. Una volta esaurita la loro capacità di crescita stagionale, le piante hanno attivato la senescenza geneticamente programmata in anticipo. Il caldo le ha sfiancate al punto da farle andare in vacanza prima.
L’autunno ha delle associazioni mentali precise nell’immaginario collettivo. Fresco, pioggia, vendemmia e castagne. Halloween. Il pumpkin spice latte di Starbucks. Tra tutti, il colore rosso delle foglie. L’autunno ha un pantone. Ma anche questo sembra sparire un po’ alla volta: le foglie del falso autunno, infatti, sono gialle e marroni, non rosse. Quando una foglia termina il processo di fotosintesi stagionale, la clorofilla si scompone ed emergono altri pigmenti già presenti ma fino ad allora coperti dal verde, come per esempio tonalità giallo-arancio date dai carotenoidi. Il colore rosso, invece, viene dalle antocianine, un’altra classe di pigmenti che la pianta deve sintetizzare apposta con costi energetici non indifferenti. Le antocianine hanno una funzione protettiva: quando le condizioni ambientali sono fredde (intorno ai 10°C) ma luminose, l’efficienza del processo fotosintetico si riduce. Filtrando la luce in eccesso, le antocianine permettono ai cloroplasti di continuare a sintetizzare energia anche a basse temperature senza accumulare sostanze di scarto nocive.
L’autunno è la stagione meno trattata dalla ricerca climatologica.
Ma durante il falso autunno un albero non arriverà mai a produrre foglie di questo colore, perché l’energia necessaria a sintetizzare antocianine è troppa per un organismo già sotto stress, e le condizioni ambientali non sono mai abbastanza fredde. Due ricercatrici della George Mason University negli Stati Uniti si sono messe a spulciare quasi due secoli di erbari, raccolti tra il 1826 e il 2016, analizzando proprio la presenza del colore rosso nelle foglie dei campioni. E hanno scoperto che le tonalità date dalle antocianine appaiono sempre più tardi nel corso dell’anno solare, per la precisione 0,26 giorni più tardi ogni anno. Come per la sparizione di un ghiacciaio, o per l’innalzamento dei mari, anche l’autunno ha un tasso di scomparsa: sei ore all’anno. In Giappone, dove il colore rosso delle foglie d’acero ha un nome, kyoko, e attira turisti in un vero e proprio pellegrinaggio da tutto il paese, se ne sono accorti da tempo. Nel 2023 il picco delle foglie rosse a Tokyo è giunto il 1 Dicembre. Negli anni Cinquanta, arrivava nella seconda settimana di Novembre.
Niente più tappeti di foglie rosse, quindi, ma solo di quelle gialle e marroni, cadute nel bel mezzo dell’estate. A volte il clima mite di settembre e ottobre non le fa ingiallire proprio, e queste rimangono ancora verdi sugli alberi per poi cadere all’improvviso con le gelate di novembre. E niente più piogge, almeno non del tipo che associamo all’autunno. In Italia la piovosità annuale nel 2023 è stata sopra la media trentennale, ma se andiamo a vedere i dati dell’ ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts) questo va imputato alle piogge insolitamente intense di aprile, maggio e giugno, responsabili dell’alluvione in Emilia-Romagna. Settembre e ottobre, su quasi tutto il territorio italiano, sono stati non solo più caldi ma anche più secchi rispetto alla media trentennale. Poi è arrivato novembre, con precipitazioni massicce, alluvioni in Toscana, esondazioni e disagi in tutto il Nord-Est. L’autunno non è più fatto di piogge sottili e frequenti, da guardare malinconicamente dalla finestra, ma di tempeste violente, bombe d’acqua improvvise che rompono gli argini dei fiumi.
C’è anche meno nebbia, un altro elemento della stagione autunnale: anch’essa vittima delle temperature in aumento. In alcune zone costiere dell’Oceano Pacifico, dove la presenza di nebbia autunnale è simbolica del territorio quanto lo sono le foglie rosse in Giappone, le ore di nebbia stagionali si sono ridotte di circa un terzo negli ultimi 60 anni. Non sono molti i dati globali a disposizione sulla nebbia poiché si è cominciato a monitorarla da poco tempo, ma se ci basiamo sulle registrazioni degli aeroporti di Milano, Linate e Verona-Villafranca, che si prendono la briga di tenere sotto controllo la nebbia per il suo impatto sui trasporti, si riscontra una decrescita da 100-140 giorni di nebbia annuali negli anni 70 fino ai 30-40 di oggi. Non è solo una questione di temperatura, c’entrano anche la minor presenza di polveri sottili che fungono da nuclei di condensazione del vapore acqueo, il vento, il consumo di suolo. Ma il risultato rimane lo stesso: la tipica nebbia che un tempo salutava l’arrivo di Ognissanti da norma sta diventando eccezione.
Non ne risente solo l’atmosfera ma anche alcune coltivazioni di stagione: spinaci, radicchio, ravanello e cavolo beneficiano dalla presenza della nebbia che funge da strato protettivo in grado di trattenere calore e umidità nelle notti più fredde. La siccità estiva non permette nemmeno di piantare ortaggi come broccoli e finocchi, e le bombe d’acqua fanno il resto, martoriando i campi e di fatto estirpando interi raccolti, come è successo dopo l’alluvione di marzo con il radicchio tondo di Chioggia, che quest’anno difficilmente si riuscirà a trovare a tavola. Così anche i piatti della tradizione autunnale sono sempre meno tali e si finisce per mangiare meno varietà stagionali e più alimenti onnipresenti tutto l’anno, di solito importati. E le zucche da intagliare ad Halloween? La pratica è ancora poco comune in Europa e i campi di zucca nel vecchio continente sono per lo più usati a scopo alimentare. Negli USA, dove metà della popolazione ne intaglia una, il 2023 è stato un anno nero per le zucche di Texas, Colorado e Arizona, con un calo del 20% della produzione prevista, sempre a causa della siccità – del resto, coltivare zucche nel deserto non è decisamente un’attività sostenibile, e questo calo potrebbe auspicare scelte agricole più oculate.
Come per la sparizione di un ghiacciaio o l’innalzamento dei mari, anche l’autunno ha un tasso di scomparsa: sei ore all’anno.
“Non esistono più le mezze stagioni” è una frase banale, non meno vera per il fatto di essere un luogo comune. Mentre possiamo affermare che la primavera non sta sparendo (in realtà è prolungata, più calda, tende a confondersi con l’estate pur mantenendo le sue principali caratteristiche distintive), lo stesso non si può dire per l’autunno. È una stagione fuor di sesto: arriva allo stesso tempo in anticipo e in ritardo, scarica tutto assieme ciò che ha in serbo ed è subito inverno.
Di questa sfasatura risentono soprattutto le specie animali migratorie, in particolare gli uccelli. Tra tutti rondini e rondoni, che di anno in anno intraprendono sempre più tardi i loro voli di quindicimila chilometri diretti verso l’Africa. Altre specie percorrono tragitti inferiori rispetto agli anni passati perché non devono fuggire da climi troppo rigidi, andando così a impattare sulle risorse naturali della nuova zona di stazionamento ed entrando in competizione con la fauna locale. Grandi mammiferi come alci e caribù trovano i loro abituali pascoli ben oltre la fase di maturazione, già in deterioramento. Le risorse trofiche – siano esse vegetali o insetti – non crescono con i ritmi abituali, e di conseguenza c’è chi rimane a bocca asciutta. Altre specie vanno in ibernazione più tardi, o saltano proprio un giro. Il risultato è un enorme disallineamento dei cicli vitali perdurati per milioni di anni, con pochissimo tempo per adattarsi. Un report del 2024 delle Nazioni Unite ha identificato proprio le specie migratorie come tra le più suscettibili all’estinzione, e una buona parte di queste si sposta proprio alla fine dell’estate, ma non è più chiaro quando l’estate finisce per davvero.
L’autunno è stato mano a mano fagocitato dalle stagioni adiacenti, i tratti che lo contraddistinguono sono più labili. Se i trend climatici continuano in questa direzione, toccherà abituarsi all’idea di vivere con una stagione in meno. Cosa abbastanza naturale per moltissime culture che non dimorano in climi temperati: ai tropici e all’equatore le stagioni sono solo due, quella secca e quella delle piogge, e se le sono sempre fatte bastare. È un dato di fatto che il clima temperato stia andando incontro a una tropicalizzazione accelerata. Forse semplicemente ci toccherà accettare, assieme ad essa, una tropicalizzazione culturale, adeguare le nostre attitudini ai nuovi ritmi ed ecosistemi del pianeta.
Eppure è difficile che succeda. Perché l’autunno, pur resistendo a stento a livello climatico, mantiene una presa fortissima nel nostro immaginario. Per millenni ha simboleggiato cicli di semina e raccolto, mistero e cambiamento, morte e rinascita. Simboli che si sono consolidati ed evoluti fino ad acquisire la loro forma odierna, ai quali ci sembra impensabile rinunciare. Più probabile, quindi, che anche di fronte alla sua progressiva sparizione, l’autunno sia qui per restare come simulacro, spettro onnipresente di una stagione che non c’è, ma che ci manca. Un caro estinto. Oppure rimembrato in maniera quasi feticistica tramite la sua iconografia classica, sempre più standardizzata, sempre più distaccata dall’aspetto dell’ambiente circostante. Nuovi set di lenzuola con fantasia foglie rosse di acero quando fuori ci sono 30 gradi. Scaffali inondati di oggettistica a tema zucche, funghi, halloween, tutta di quel pantone lì che ci piace tanto, approfittiamone ora che tra poco arriverà la roba di Natale. L’autunno reale e quello celebrato sono due cose diverse, e la presenza del primo non è necessaria perché il secondo funzioni. Ci rimarrà l’autunno del pumpkin spice latte. Quest’anno, Starbucks lo ha reso disponibile a partire dal 22 Agosto.