U na vostra amica è appena tornata da un viaggio che l’ha tenuta lontana dal suo animale domestico, una gatta. Ha sofferto enormemente la sua mancanza, la maniera intuitiva che hanno di comunicare, il passo del felino quando le cammina addosso per accovacciarsi sul seno. Il distacco è stata fonte di angoscia continua, vi confessa. Ora ha solo voglia di passare il resto della giornata con lei, stringendole la testolina, dandole dei baci tutta la notte, aspettandosi di essere ricambiata. Immaginate di essere una studiosa interessata a chiedersi che forma e che contorni abbia questa relazione affettiva, amorosa, tra animali umani e non. Vi troverete davanti a molti contenuti inesplorati, ragionevoli spunti e l’impossibilità di una risposta a molte delle domande poste. Alla fine sarete, cioè, solo all’inizio di un lungo discorso.
Amare gli animali (Meltemi, 2024) è per certi versi il libro più scabroso di Joanna Bourke. La studiosa si è lungamente occupata di violenza sessuale, stupro, psichiatria del dismembramento, e di come aspetti quali militarismo, medicalizzazione forzata, paura e dolore, agiscano e definiscano la vita degli esseri umani. In questo suo debutto sui temi della zoofilia e della bestialità, cercando di esplorare i possibili termini morali di una sessualità umano-animale, Bourke sa che ad ogni parola scritta verrà trascinata, alternativamente, nella difesa di un sesso interspecie violento e lesivo tra umani e animali, o dalla parte di politiche identitarie prêt-à-porter che vorrebbero considerare la questione del sesso con gli animali un orientamento sessuale, una preferenza o una semplice inclinazione.
Il libro di Bourke affronta nei primi capitoli la complessa ricostruzione della storia legale della zoofilia e di quelli che negli anni sono stati definiti “zooerasti”, “sodomiti”, “zoosessuali” o “zoofeticisti”, nel tentativo di diagnosticare, psichiatrizzare e descrivere pratiche sessuali peculiari che coinvolgono gli animali nonumani. Mentre alcuni di questi termini danno priorità al discorso patologico e medico, cercando di comprendere le ragioni alla base di una soddisfazione psicosessuale, altri si focalizzano sul rapporto coercitivo: bestialità, zoostupro, abuso sessuale animale, oltraggio contro natura, zoosadismo e zooerasti omicidi.
In mezzo a questi estremi ci sono persone che più semplicemente amano i giochi di ruolo sessuali a sfondo animale, zoofili fantasticatori, voyeuristi zoofili, il frotteurismo (strofinarsi sugli animali), altri che prediligono solo incontri tattili e quelli a cui piace sia il sesso con umani che quello con animali. All’interno di coloro che si eccitano sessualmente soltanto attraverso rapporti sessuali con animali, esistono poi una serie di termini che indicano il desiderio nei confronti di partner animali specifici: tra questi ci sono ailurofilia, cinofilia, musofilia, ornitofilia e anolingus, che rispettivamente si riferiscono all’attrazione per gatti, cani, topi, uccelli, e al desiderio di leccare lucertole. “Esistono termini latineggianti anche per riferirsi a incontri sadici specifici: gli avisodomiti per esempio sono uomini che penetrano la cloaca degli uccelli rompendogli il collo appena prima dell’eiaculazione”.
Per via di uno storico fattore di disgusto, chi pratica la bestialità è molto attento a mantenerne la segretezza.
Una prosodia repulsiva che si accavalla, infervora, sconfina da una parte all’altra del desiderio o della perversione. Questa impossibilità di un inquadramento definitivo è anche il frutto di una quasi totale assenza di informazioni statistiche affidabili sul numero di persone che hanno esperienze sessuali con animali. Psichiatri, medici e assistenti sociali sono troppo imbarazzati nel riportare i casi che incontrano, e persino chi dovrebbe occuparsi di legiferare in merito è riluttante a parlarne. La cronaca legale delle sentenze contro gli zoofili e gli animali non-umani coinvolti è piena di contraddizioni, esecuzioni sommarie, vendette trasversali e crudeli che hanno a che fare più con la superstizione magica e teologica, puritanesimo e isteria, che con la giustizia verso umani e animali.
Anche i veterinari ammettono si tratti di un argomento tabù all’interno della professione: ancora oggi i manuali di ostetricia e ginecologia animale continuano a omettere le possibilità di intrusioni sessuali quando si occupano di animali che hanno subìto lesioni vaginali. Per via di questo storico fattore di disgusto, chi pratica la bestialità è molto attento a mantenerne la segretezza. Gli zoofili si trovano in una situazione di ostracismo sociale e legale, e sono quindi cauti nell’aprirsi, anche tra loro stessi.
Alla reticenza e alla vergogna dobbiamo aggiungere la constatazione che molti dei sondaggi condotti al riguardo hanno avuto luogo in situazioni psichiatriche o penali, focalizzandosi quindi soltanto su una parte deviante della popolazione che si intrattiene in pratiche estreme. Sono studi marcati quindi da un bias di campionamento. D’altro canto, i sondaggi a cui partecipa invece chi si dichiara apertamente zoofilo rimangono poco affidabili sulla descrizione del fenomeno, ma per i motivi opposti: i test sono di solito somministrati a persone tecnologicamente alfabetizzate e che generalmente si impegnano nel dare una buona impressione, in modo da ridurre lo stigma nei confronti della loro comunità.
A consultare i vari studi condotti dai sessuologi nei decenni che seguono almeno la metà del secolo scorso, si trova un numero di adulti che dal 4 all’8% aveva avuto un qualche genere di rapporto sessuale con un animale, soprattutto animali domestici come cani e gatti. Nelle società contadine, il numero di persone che dichiarava di aver avuto invece degli orgasmi risultanti da contatti con un animale sembra salire al 17%, ma in alcuni luoghi addirittura fino al 65%. Nel 1974, e di nuovo nel 1984, la dottoressa Marilyn D. Story ha intervistato sulle loro preferenze sessuali 50 uomini e 50 donne che frequentavano il suo corso di sessualità umana alla University of Northern Iowa. Nel 1974 l’11% ha ammesso di avere avuto un contatto sessuale con un animale, ma questa percentuale è scesa al 3% nel 1984.
Tra le conoscenze aneddotiche che circolano al riguardo ci sono le dichiarazioni di alcuni sessuologi del Ventunesimo secolo, secondo i quali nelle aree urbane vi sarebbero invece sempre più pazienti che raccontano di attività sessuali con i loro animali domestici: la loro ipotesi è che questo aumento sia dovuto all’effetto di internet, alla solitudine, a una crescente ansia sociale e alla paura dell’intimità. Si tratta ancora una volta di sondaggi di dubbia utilità, effettuati su campioni non rappresentativi della società nel suo complesso.
Al di là dei dubbi e degli evidenti limiti sulla metodologia, le descrizioni che ci giungono ci restituiscono la fotografia di una pratica che sembra essere più che il fenomeno patologico distintivo per sadici e deviati: che siano società contadine, urbanizzate e scolarizzate, siano essi soggetti violenti o perfettamente integrati nel sistema sociale, il sesso tra umani e animali nonumani è un dato di fatto. Il contatto affettivo, sensuale, persino erotico con gli animali nonumani è sempre stato parte della società e difficilmente sparirà nel futuro.
Sessualità e affetto interspecie appaiono ricorrenti nella letteratura e nella storia dell’arte.
Sessualità e affetto interspecie appaiono ricorrenti nella letteratura e nella storia dell’arte: dalle prime culture umane si riscontrano esempi di pitture rupestri e altre forme artistiche che raffigurano umani intenti a fare sesso con animali. La testimonianza più antica si trova in Italia, una pittura paleolitica dell’8000 a.C. in cui un uomo penetra un animale. Rappresentazioni simili abbondano anche nell’Età del ferro e del bronzo. La storia mitologica del mondo pullula di ibridi umano-animali: i satiri (umano/capra), i centauri (umano/cavallo), il Minotauro (umano/toro). Nei miti metamorfici gli dèi si trasformano spesso in animali che seducono degli umani, mentre “alcune popolazioni indigene del Sud-Est asiatico, dell’Australasia e del Nord America si tramandano storie sull’origine della loro discendenza a partire da incontri sessuali tra donne e canidi”.
E poi le fiabe di principi ranocchi e bestiali rinchiusi in un castello, trasformati in umani dal potere dell’amore. Così come non sono mai davvero scomparsi i racconti di una arcaicità più recente legata alla transumanza, alle storie di uomini che per mesi camminavano, si nutrivano e dormivano insieme alle proprie mandrie, in cui il riferimento all’erotismo bestiale assume le sfumature di un espediente alla solitudine bucolica, di giovani uomini, debosciati sì, ma in fondo solo sessualmente frustrati, confinati in società rurali dove l’attività sessuale prematrimoniale era fortemente proibita e rendeva loro impossibile non cercare un qualche tipo di sollievo libidico altrove. Una forma di raccontare il sesso e l’affettività con gli animali non-umani che suona più come un errore di gioventù o un indicatore di pressione sociale, che non una devianza mostruosa.
Il legame con l’Altro nonumano affonda le radici nel profondo della nostra cultura e nel profondo della nostra psiche. La diffusione della bestialità nelle arti non ha subito un declino in tempi più moderni, “anzi le relazioni sessuali tra specie diverse appaiono in letteratura, come per esempio nella traduzione di Le mille e una notte fatta da Sir Francis Richard Burton (1885), o nel romanzo L’isola del dottor Moreau di H.G. Wells (1896)”. Nella puntata The National Anthem (2011), che inaugurava la prima stagione della serie Black Mirror, il primo ministro inglese viene costretto da un gruppo di sequestratori a un rapporto sessuale con un maiale in diretta televisiva. Gli autori anticiparono, senza saperlo, un’indiscrezione che apparirà solo qualche anno più tardi sulla biografia non ufficiale di David Cameron, e di ciò che venne definito piggate. Del cinema, Bourke ricorda il celebre sketch di Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere), del 1972, nel quale Woody Allen include un personaggio che si innamora della sua pecora, Daisy, e quando costui confessa il suo desiderio a uno psichiatra, dopo un iniziale momento di disgusto, anche lo psichiatra finisce con l’innamorarsi della pecora.
Amare gli animali indugia su molte storie incredibilmente avvilenti, le sue pagine sono spesso un documento di barbarie. Il ritratto di coloro che cercano dagli animali pura gratificazione sessuale interspecie è quello di persone spesso misogine, misantropiche, denotate da un sadismo violentissimo. Storie di stupro, percosse, disumanizzazione, come quella dell’attrice porno Linda Lovelace, costretta dal suo produttore cinematografico Robert Wolf e dal suo partner e “protettore” Chuck Traynor, che la minacciano con armi e abusi di ogni tipo, a fare sesso con gli animali davanti alla telecamera. O quelle dei pornografi specializzati nei crush videos, video estremamente sessualizzati in cui una donna che indossa dei tacchi alti calpesta a morte degli animali. Si tratta principalmente di conigli, cuccioli di cane e di gatto, ma si trovano filmati in cui le vittime sono scimmie, maiali e capre.
Sebbene dunque l’aspetto coercitivo e lesivo della dignità degli animali e delle persone sia ampiamente trattato nel libro e non si faccia mistero della diffusione di pratiche profondamente disturbanti, non è forse anche possibile, come suggerisce sempre Bourke, immaginare casi dove il rapporto umano-animale non cada necessariamente in categorie tanto abiette? Le relazioni umano-animali possono essere alimentate da spiriti meno maligni? Per quanto scomoda possa apparire, la domanda posta da Bourke è se gli umani possano amare gli animali sia dal punto di vista sensuale che emozionale. Se un genuino sentimento romantico tra umani e animali sia plausibile o se l’amore esista soltanto tra membri della stessa specie, e se non vi sia mai alcuna possibilità che un cervo si innamori di un cane, il cane di un cavallo, o di un gatto e così via.
La domanda posta da Bourke è se gli umani possano amare gli animali sia dal punto di vista sensuale che emozionale.
A questo tipo di interrogativi sembra rispondere, almeno in parte, un’opera letteraria: La Famiglia Winshaw (1994) di Jonathan Coe. All’interno della fattoria dei Winshaw, divenuta sotto la guida della moglie luogo di allevamento intensivo e sovvenzioni statali, pesticidi e antibiotici, George cerca di mantenere un asilo, un piccolo santuario per animali malconci, che egli protegge, tenta di salvare, dalla reclusione e dall’impietosa catena produttiva. Nel disprezzo per qualsiasi forma di empatia e sentimentalismo che caratterizza la moglie Dorothy, e nella ferocia in cui gli animali vengono trattati come risorsa da smembrare per il profitto, George è invece un uomo che sente corrisposta la propria gentilezza solo da pecore, vitelli, polli, nell’isolamento della brughiera e negli angoli più oscuri della fattoria. La storia di George e dei Winshaw narrata da Coe incrocia così la cronaca saggistica di Joanna Bourke, mettendo in risalto due aspetti che riguardano i rapporti tra esseri umani e animali, e che hanno luogo nella stessa casa: da una parte la vicenda di un uomo sinceramente innamorato dei propri animali, della loro bellezza, della loro presenza, dell’affetto che sanno restituire; dall’altra la più spietata violenza del capitale zootecnico.
Sono diverse le testimonianze che Bourke raccoglie sulla vita sentimentale, non solo da parte di zoofili dichiarati, ma anche di autori, artisti, filosofi e dei loro compagni animali, da cittadini, appunto, “perfettamente funzionanti”. Racconta ad esempio di J. R. (Joe) Ackerley, rinomato autore e redattore inglese della prima metà del Ventesimo secolo. Ackerley viveva in un piccolo appartamento sul Tamigi con Queenie, una pastora alsaziana della quale era pazzamente innamorato. Nel libro che le ha dedicato, Il mio cane Tulip (1956), lo scrittore omaggia la sua compagna con il resoconto di una devozione reciproca, sullo sforzo di trovare un linguaggio comune, una delicata riflessione sul precario equilibrio di ogni relazione d’affetto. Nel libro Ackerley racconta di quando Queenie era in calore, la cagnetta spingeva il posteriore contro il ginocchio dello scrittore, girando la testa e fissandolo insistentemente, fino a quando non allungava una mano per accarezzarla sulla pancia. Dopo questo preliminare Queenie puntualmente si aggrappava alla gamba di Ackerley, provando a sfregarsi. È un’esperienza che chiunque abbia avuto un animale domestico ha provato almeno una volta. Ackerley era preoccupato e talvolta in imbarazzo nel non sapere esattamente come gestire gli ardori di Queenie e nel sentirsi vagamente eccitato dall’eccitazione stessa del cane:
Il massimo che io abbia mai fatto per lei era di premerle la mano contro la vulva calda e gonfia, che in quei momenti spingeva sempre verso di me, prendendo nel palmo le sue perdite. Questo piccolo sollievo era, naturalmente, di certo più vicino a quello che lei voleva di quanto non lo fossero le carezze sulla schiena, la coda e i capezzoli.
Si tratta di una confessione coraggiosa da parte dello scrittore, che sconcertò all’epoca amici e ammiratori, ma questo tipo di testimonianze descrivono e sembrano appartenere a un altro genere di categoria rispetto alle violenze che generalmente associamo a qualsiasi rapporto di carattere zoofilico. È importante chiarire a questo punto cosa si intenda con la parola “sesso”: tra le attività che gli umani definiscono come “sessuali” ci sono ad esempio carezze, baci, masturbazione, cunnilingus, fellatio e penetrazione, dell’ano o della vagina. Sia nei testi legali che nei discorsi sui diritti degli animali, si dà spesso per scontato che la “bestialità” implichi la penetrazione della bocca, dell’ano o della vagina, di uno o più partecipanti, ma Bourke chiarisce come ciò rappresenta un problema nella comprensione del fenomeno:
In questo modo, per via del danno fisico effettivo o potenziale, è di certo più facile considerare questi atti come un’aggressione. I problemi etici diventano invece meno netti se con la parola “sessuale” ci si riferisce anche a un erotismo non penetrativo o una sessualità non genitale, come per esempio nel caso di una donna che si eccita se delle formiche le prendono il miele dalla mano o dal monte di venere (come nella formicofilia) o di un gatto che lecca la vulva di una donna.
Non tutte le pratiche sessuali sono da ritenersi intrinsecamente dannose, sono denotate da pazzia o qualche forma di devianza crudele. Come illustrato dai Winshaw di Coe, se la nostra esperienza è anche quella di persone genuinamente impegnate nell’affetto e nella cura dai loro compagni animali, esiste però un ambiente, oltre a quello di una pornografia sotterranea e illecita, in cui le pratiche sessuali più invasive e violente imposte agli animali, non solo non vengono generalmente denunciate o stigmatizzate, sono al contrario perfettamente normalizzate, incoraggiate, incentivate, persino spettacolarizzate: l’industria alimentare animale.
Nell’industria alimentare animale gli animali vengono castrati, sterilizzati, e le loro parti genitali subiscono restrizioni.
Nella cultura della nostra società, in maniera quasi schizofrenica, sono continui i rimandi tra carne, il suo consumo e l’erotismo. Bourke cita la liberazionista Karen Davis la quale sottolinea come nell’allevamento animale si richieda un’attitudine e un comportamento licenzioso nei confronti degli animali da cibo, “ogni volta che un umano si mette in bocca un pezzo del corpo di un animale sta partecipando a un rapporto orale con un animale non umano non consenziente”. La carne domina nei media in modo schiacciante, glamourizzata da spot pubblicitari e programmi di cucina, chef stellati e reel dei food blogger, illuminata dai riflettori come lascivo oggetto del desiderio. La sua visione attraverso i media è spesso pornografica, davanti all’obiettivo il corpo senza vita degli animali viene massaggiato, schiaffeggiato, legato, strizzato, riempito nelle sue cavità, e i suoi succhi ricordano fluidi corporei, lo sperma, la saliva.
È significativo ricordare come diversi studi abbiano dimostrato la tendenza degli uomini a incorporare in maniera crescente il consumo di carne rossa all’interno della propria dieta nel tentativo di prevenire o contrastare stati emotivi negativi, scatenati da tutto ciò che viene percepito come minaccia alla loro mascolinità, rifacendosi a un’idea mitizzata di virilità primigenia, che legherebbe il “maschio alpha” alla violenza della carne, al suo consumo e al procacciamento, come elemento distintivo della propria natura. Ma la questione va ben al di là della rappresentazione culturale dell’oggetto carne e del suo portato simbolico.
Come è possibile distinguere tra gli atti bestiali e le normali procedure dell’allevamento animale? I danni causati da attività con “intenti” sessuali e quelli causati da attività “senza intenti” sessuali sono indistinguibili. Gli animali vengono castrati, sterilizzati, e le loro parti genitali subiscono restrizioni. Le normali pratiche di allevamento includono la stimolazione manuale o elettrica dei genitali dei tori per la raccolta del seme. Gli umani mettono in atto dei “preliminari” per eccitare gli animali cosiddetti da reddito prima dell’inseminazione. Nel caso dei maiali, a volte è necessario che gli allevatori stimolino gli animali montandoli e palpeggiandoli. Le mucche da latte, costantemente tenute in stato di gravidanza, sono delle lavoratrici sessuali di fatto. Gli allevatori che producono latte usano una rastrelliera catturante – in inglese rape rack, letteralmente “rastrelliera dello stupro” – per immobilizzare la mucca mentre viene ingravidata artificialmente. La 8-step Guide to Artificially Inseminating a Dairy Cow citata dalla Bourke, e pubblicata nel 2015, suggerisce agli allevatori:
di iniziare accertandosi che la mucca sia “rilassata” oltre che essere “opportunamente immobilizzata”. Dopo aver scongelato la cannuccia contenente il seme e averla posta nella pistola per l’inseminazione artificiale, gli allevatori devono “preparare la vulva della mucca con della carta assorbente e indossare un guanto lungo fino alla spalla spalmato di lubrificante”. Formando un cono con le dita mentre con l’altra mano tenete la coda da parte, inserite il braccio dentro la mucca […]. Il punto di riferimento iniziale è la cervice, e va individuata prima dell’inserimento della pistola […]. Dopo aver individuato la cervice usate il gomito per premere la vagina verso il basso, e questo aprirà le labbra della vulva prima di inserire la pistola per l’inseminazione. Le labbra dovrebbero essere pulite, e la pistola va inserita nella vagina attraverso il vestibolo vulvare […]. Il seme va depositato nelle corna uterine […]. Depositare il seme lentamente, contando cinque, quattro, tre, due, uno.
L’allevamento è costituito come abuso sessuale per definizione. Il controllo della vita sessuale degli animali è un elemento centrale al suo interno, ed è impossibile fare una distinzione tra la “produzione” di carne e la manipolazione degli organi sessuali per altri scopi. Le leggi contro la bestialità e chi la pratica dunque, hanno dovuto fare uno sforzo immaginativo e retorico per trovare le differenze tra le consuete pratiche penetrative dell’industria zootecnica e tutte quelle motivate da altre ragioni. Ciò che distinguerebbe la persona che commette crimini di bestialità da un allevatore, è una differenza di ordine biopolitico: la persona che pratica atti di bestialità manipola gli organi sessuali degli animali per la sua gratificazione personale (o forse per quella dell’animale), mentre gli allevatori, pur manipolando gli organi sessuali dell’animale allo stesso modo, lo fanno nell’interesse della produzione capitalistica. Scrive Bourke:
l’unica cosa che fa la differenza tra la bestialità e la manipolazione degli organi sessuali praticata negli allevamenti e nella riproduzione di razza è la motivazione del partecipante umano: nel primo caso è libidica e negli altri casi è economica. La senatrice Roach ha avuto il compito non invidiabile di spiegare per quale motivo la ‘pratica zootecnica’ dell’inseminazione artificiale fosse ‘diversa’ dalla bestialità, e la formulazione finale della legge sarebbe servita a mantenere questa differenza. […] È cruciale che la legge proibisse il contatto sessuale tra animali e umani soltanto quando ‘il fine era la gratificazione sessuale o l’eccitazione della persona’.
In sostanza, l’abuso sessuale e le pratiche che riguardano gli organi sessuali animali rappresentano un problema solo quando queste pratiche non minacciano i profitti per allevatori e multinazionali della carne. Questa logica non chiarisce affatto la natura del contatto sessuale e/o affettivo nei confronti degli animali, e anzi ne risulta un’idea possibilmente ancora più perversa: e cioè che il contatto sessuale tra umani e animali sia da ritenere sempre deprecabile, traumatico e nocivo solo quando il fine ultimo è proprio il piacere (anche se non violento), e sia perfettamente accettabile quando il fine è invece il profitto. Ogni volta che decidiamo su di una contraddizione cercando di risolverla finiamo spesso per essere noi stessi parti proponenti di altre contraddizioni, e così l’idea di risolvere la questione zoofiliaca in questo modo non fa altro che svelare, oltre che l’ipocrisia e la violenza sistemica dell’industria animale, l’idea fallace che abbiamo, non tanto delle nostre pratiche sessuali, ma degli animali stessi come di pazienti morali e di creature coscienti.
Le leggi contro la bestialità hanno dovuto fare uno sforzo immaginativo per trovare le differenze tra le consuete pratiche penetrative dell’industria zootecnica e tutte quelle motivate da altre ragioni.
Cosa sappiamo dei piaceri sessuali e delle esperienze libidiche degli animali nonumani? Gli animali sono soggetti desideranti, e questo significa anche esistere desiderando il benessere che il proprio corpo è in grado di generare. Cosciente vuol dire anche sentire che la vita può naturalmente comprendere i piaceri del sesso. La sessualità permea tutto, anche quando non c’è, è una possibilità latente perché il mondo è fatto di corpi erogeni. D’altronde, il sesso tra umani è il sesso tra animali, il nostro corpo è cavo, il nostro corpo è pieno, il nostro corpo è caldo.
È chiaro empiricamente ed etologicamente che gli animali vivono delle vite sessuali complesse, e che rispondono positivamente a sensazioni piacevoli e libidiche. Eppure, la maggior parte della letteratura sugli animali non umani (in particolar modo nella tradizione utilitarista) si concentra su vulnerabilità e dolore. Il libro Pleasurable Kingdom: Animals and the Nature of Feeling Good (2006) di Jonathan Balcombe, altra fonte suggerita dalla Bourke, evidenzia quanto gli animali facciano esperienza del piacere. Tutti i vertebrati sono dotati dei cinque sensi e in grado di esperire qualità del sentire come soddisfazione, comodità, gioia e beatitudine. Gli animali si masturbano, le femmine di certe specie hanno delle clitoridi, si sfregano i genitali anche al di fuori della stagione dell’accoppiamento. È risaputo inoltre che alcune specie partecipano volentieri in attività orgiastiche e che, come detto, gli animali nonumani si intrattengono sessualmente con membri di specie diverse dalla loro. Così Bourke: “mentre la maggior parte degli scienziati che in Occidente studiano la sessualità degli animali si concentra su questioni come la selezione naturale e la riproduzione, è anche importante osservare che gli animali provano piacere nel gioco sessuale e lo cercano deliberatamente. […] Molti provano piacere quando vengono accarezzati e strofinati, e amano visibilmente dei giochi incentrati sui genitali che spesso non hanno nulla a che fare con la procreazione”.
Nel 1960 la NASA ha finanziato un progetto, ideato dal neuroscienziato John Cunningham Lilly e condotto da Gregory Bateson, che si proponeva di insegnare ai delfini a parlare attraverso il loro sfiatatoio. Margaret Lovatt è stata assunta per parlare con il delfino Peter, e per vivere e dormire con lui sei giorni a settimana nella Dolphin House dell’isola caraibica di St. Thomas. Anni dopo Lovatt ha raccontato di quanto Peter fosse lascivo: le si strofinava continuamente sul ginocchio, sul piede o sulla mano, e a un certo punto l’eccitazione sessuale del delfino era talmente diventata d’intralcio per il loro lavoro che lei ha iniziato a masturbarlo abitualmente. “Ho lasciato che avvenisse”, ha osservato, “la cosa non mi metteva a disagio, purché non fosse troppo impetuoso. “Era semplicemente diventata parte di quello che stavamo facendo, come un prurito: non fai che grattarti e continuare a fare quello che stai facendo”.
Il progetto venne interrotto, in parte per via della preoccupazione destata dall’uso di LSD in alcuni degli esperimenti. Peter venne trasportato a Miami, dove, “rinchiuso in una cisterna con pochissima luce del sole e senza Margaret, pare che si sia suicidato trattenendo volontariamente il respiro”. Malcolm Brenner, l’uomo che negli anni Settanta si è innamorato di Dolly, un delfino maggiore che abitava in un parco del sud della Florida, ha sempre raccontato di come fosse stata Dolly a prendere l’iniziativa:
Quando entravo in acqua mi si avvicinava senza paura e si sforzava di attirare la mia attenzione. Non le ho mai dato da mangiare, non ha mai ricevuto da me né cibo né nessun altro tipo di ricompensa. Il suo corteggiamento, man mano che andava avanti, era diventato sempre più energico e intenso: mi strofinava addosso la fessura genitale, e se provavo a respingerla si arrabbiava molto. […] Mi sentivo molto in imbarazzo. Non ero affatto a mio agio con la mia zoosessualità […], non volevo essere uno zoofilo […]. Ci ha messo circa tre o quattro mesi a persuadermi, e a convincermi del fatto che a livello mentale era praticamente una mia pari.
Certo, ragionare sui temi della responsabilità etica, come quelli relativi al consenso e alla consapevolezza degli animali, è qualcosa che “produce insonnia”, diceva la filosofa Kelly Oliver, ma se lo scopo principale di queste relazioni tra umani e animali fosse il piacere reciproco? Nei termini di un diritto da garantire, quello dell’affetto o del rispetto della volontà dell’animale di soddisfare le proprie esigenze sessuali è uno spazio da proteggere? Se prendiamo in esame la natura esistenziale e fondamentale del desiderio degli animali e della loro agentività, allora questo introduce nitidamente all’interno del nostro sistema, appiattito sull’eccezionalismo umano, che è anche un eccezionalismo sessuale, il desiderio e la potenza sessuale animale. Forse è giusto dire che non bisogna sottolineare soltanto i rischi dei danni che gli animali possono subire, ma anche il loro bisogno di amore, compagnia e piacere. Scrive Bourke: “la felicità ha rilevanza morale e la creatività erotica non ha limiti”.
È chiaro empiricamente ed etologicamente che gli animali vivano delle vite sessuali complesse, e che rispondano positivamente a sensazioni piacevoli e libidiche.
Questo dell’eudenomia, la “felicità dei mostri”, poterci concentrare cioè sulla felicità di qualcuno, per quanto alieno quel qualcuno sia, e riflettere quindi su cosa provano gli “Altri”, in che modo le nostre azioni influenzano le loro esperienze, è un punto liberatorio per Bourke. Possiamo chiederci se gli aspetti legati alla funzionalità della pura sopravvivenza (come ad esempio la fame), che usiamo sempre come punto di partenza per le nostre riflessioni, siano poi più “reali”, e dunque più rilevanti, di una qualità dell’esistere come l’essere felici. Che cosa stiamo vietando con le nostre leggi? Non stiamo forse vietando in parte l’idea stessa che gli animali siano in grado di provare e darsi piacere a vicenda? Se ipotizziamo l’animale come creatura segnata sempre intrinsecamente da una natura vulnerabile dal punto di vista sessuale, quindi sempre assunta al ruolo inevitabile di vittima di abuso sessuale, ebbene questa mossa, nel nome di una illuminata protezione dell’innocenza, rischia di essere nient’altro che il residuo di una onnipresente e crescente governance dei corpi animali. Così, mentre neghiamo ogni possibilità di intimità romantica con gli animali, nel proclamare che stiamo proteggendone l’innocenza, violiamo la loro sessualità per preparare la loro carne al nostro piacere.
Il rapporto tra legge, decoro, l’idea stessa che abbiamo di consenso o delle forme di desiderio ammissibile, davanti a ciò che Donna Haraway definisce come “aberrazione storica”, ci mettono alla prova. Sotto questo punto di vista è impossibile non considerare l’animale come incorporato e situato nel mondo, e in quanto tale, come un attore sociale dotato di una sua biografia e delle sue scelte. Il benessere di una collettività transpecifica, e quindi anche degli animali nonumani, ci obbliga a ragionare di una ecologia del desiderio, dove l’obiettivo non è quello di astenersi dal piacere, ma di permettere ad altri esseri di provare piacere.
Ma la questione del consenso degli animali nonumani nei nostri rapporti e/o interazioni di carattere sessuale, diviene ancora più problematica proprio quando accettiamo che possano essere gli animali a cercare quel piacere da noi. A tal proposito Bourke cita un saggio del 2005 intitolato Sexual Relations with Animals (Zoophilia): An Unrecognized Problem in Animal Welfare Legislation, in cui gli esperti legali svizzeri Gieri Bolliger e Antoine F. Goetschel riconoscono che “le relazioni zoofile possono essere reciproche”, e che gli animali “possono affezionarsi molto alle persone” anche dal punto di vista libidico. Comunque, secondo Bolliger e Goetschel, anche se per un animale non è difficile instaurare una relazione intima con una persona ed esserne sessualmente stimolato, “questo tipo di condizionamento non viola soltanto il libero sviluppo sessuale di un animale”, ma rischia di creare “una forte dipendenza” dell’animale dalla sua proprietaria o dal suo proprietario umani. “La violazione dell’integrità sessuale di un animale […] non dipende tanto da quello che un animale prova durante l’atto di zoofilia quanto piuttosto dal fatto che quest’atto sia in accordo con l’espressione della sua volontà”.
Gli animali sono a rischio anche in assenza di una manifesta coercizione, e anzi sembra difficile smentire il dato che i contatti sessuali umano-animali siano in prevalenza coercitivi. Allo stesso tempo, si può affermare che, almeno in linea di principio, non tutti gli atti di amore sessuale con gli animali devono essere considerati intrinsecamente immorali o nocivi, proprio come il fatto che una quantità angosciante di atti sessuali tra umani si muovano su di una linea molto sottile che viaggia tra consenso, manipolazione quando non apertamente abuso e violenza. E dunque, è possibile conoscere le intenzioni, i sentimenti e i desideri di un animale non-umano? Può un animale acconsentire a un rapporto sessuale con una persona?
Gli animali perseguono il piacere e attraverso l’attenzione e una osservazione focalizzata, le persone possono imparare a capire le loro preferenze, i loro bisogni e i loro desideri. Quando un cane approccia un umano e lo monta spontaneamente, attribuisce a quel gesto il “significato” sessuale specifico della sua specie. Anche se non sappiamo in cosa consista esattamente questo “significato”, questa nostra ignoranza non rende le azioni del cane e le risposte umane sbagliate di per sé. Non c’è motivo di insistere sul fatto che gli animali debbano avere la stessa comprensione del sesso che hanno i partecipanti umani. Bourke cita il pedagogista sessuale Fred Kaeser, il quale propone questo approccio di tipo comportamentista ragionando dei disabili intellettivi, per garantire loro un appagamento sessuale basato sulla volontà e la reciprocità:
Sembrano felici e soddisfatti? Il linguaggio del corpo comunica che vogliono continuare a partecipare all’attività? Oppure danno l’idea di essere in difficoltà? Provano a evitare l’attività? Sembra che stiano soffrendo? Hanno iniziato a partecipare di buon grado? Capita che diverse volte provino di loro iniziativa a partecipare all’attività?
Certo, la comprensione interspecie è particolarmente problematica, ma il contatto, la vicinanza e l’intimità tra noi e gli animali nonumani non verrà meno, tanto vale immaginare una investigazione possibile di questa strana affinità clandestina. Una cosa è osservare che gli animali provano piacere attraverso il loro corpo e quello degli altri, e un’altra è comprendere davvero come si senta in quel momento una creatura non umana. Gli stati mentali sono soggettivi per natura: desideri, piaceri e preferenze sono “interni” e invisibili. Questo è un problema di lunga data nell’ambito della filosofia morale, e che vale per gli umani prima che per le altre specie. La possibilità di non comprendere l’altro non sparirà mai, ma questo vale tra esseri umani così come tra umani e altri animali, come scrive in un saggio sull’empatia animale la filosofa e animalista Lori Gruen. D’altronde anche la mente della persona di fronte a noi è insondabile, noi non abbiamo accesso in nessun modo al suo mondo interiore, non abbiamo esperienza diretta di ciò che gli altri uomini provano. Tutto ciò che sappiamo è il risultato di testimonianze verbali e osservazioni comportamentali.
Forse è giusto dire che non bisogna sottolineare soltanto i rischi dei danni che gli animali possono subire, ma anche il loro bisogno di amore, compagnia e piacere.
Trattando quindi della vita di soggetti senzienti ed essendo la natura di questa senzienza in parte indecifrabile, dobbiamo chiederci: cosa è empiricamente utile e alla nostra portata? Siamo obbligati a presumere l’esperienza interiore dell’altro attraverso l’osservazione, tramite inferenze, correlazioni e comportamenti. L’argomento è che se vogliamo parlare di ciò che gli animali vogliono o perseguono, anche dal punto di vista del piacere e della gratificazione sessuale, e senza partire da posizioni pregiudiziali, allora dobbiamo identificare i comportamenti caratteristici che questi possono esibire.
I filosofi citati al riguardo da Bourke sono Sue Donaldson e Will Kymlicka, i quali in Zoopolis: A Political Theory of Animal Rights (2011), suggeriscono come la prima cosa che gli umani dovrebbero fare è “riconoscere che gli animali stanno provando a comunicare”. E prima di “rispondere in modo appropriato” bisogna prestare attenzione al loro “repertorio individuale”, fatto di vocalizzi e gesti. Come abbiamo imparato dall’opera miliare di Thomas Nagel, What is like to be a bat? (1974), l’impossibilità di sapere cosa voglia dire essere qualcos’Altro da noi non deve essere un pretesto per negare o denigrare le esperienze di quell’Altro e della sua complessa vita sociale. L’esperienza frustrante della descrizione eterofenomenologica degli animali nonumani secondo i nostri termini non dovrebbe indurci a considerare priva di senso l’ipotesi che gli animali abbiano accesso a esperienze pienamente paragonabili alle nostre per ricchezza e complessità. Non sapere non equivale a dire che non sia possibile.
Stando alle testimonianze raccolte da Bourke, gli zoofili riconoscono che il consenso di un animale non si può dare per scontato, e anzi sbagliarsi sul consenso sessuale di un animale può essere pericoloso: i cani hanno denti, cavalli e mucche posseggono arti poderosi. Sono diversi i casi in cui uomini sospetti di zoofilia sono stati trovati seminudi e calpestati a morte. Tuttavia, i sostenitori delle relazioni sessuali tra animali e umani dichiarano che le risposte sessuali che danno ai loro compagni animali sono amorevoli e reciproche. E come ricorda Bourke la riflessione sul consenso nei rapporti sessuali è presente all’interno del mondo zoofilo:
L’analisi condotta da Sendler e Lew-Starowicz all’interno dei siti web di zoofilia ha individuato almeno quaranta threads di discussione dedicati a come valutare il consenso animale. Mentre alcuni zoofili hanno preso spunto dagli appassionati di BDSM (bondage, dominazione, sadismo e masochismo), molti hanno condiviso la propria esperienza nell’interpretazione del linguaggio corporeo degli animali, in particolare di segni uditivi e visuali come abbaiare, leccare e ‘avere un’apparenza felice’. Gli zoofili sostenevano che, proprio come succede nelle unioni tra umani, spesso gli animali ‘sviluppano un linguaggio specifico che solo le due parti possono capire’. Hanno osservato che nel loro amante si riscontrano ‘segni molto specifici che indicano il consenso, come per esempio portare uno dei loro giochi che di solito non usano per giocare’.
Si può davvero dire che è più facile immaginare ed empatizzare con i sentimenti soggettivi dei membri della propria specie rispetto a quelli dei membri che appartengono a un’altra specie? Bourke cita il filosofo Ralph R. Acampora quando afferma “non serve fare particolari esperimenti di pensiero o tentare degli esercizi soprannaturali per attuare uno spostamento di identità. Non serve che io diventi qualcun altro per avere una qualche conoscenza di questo Altro”. Si tratta, in definitiva, di conoscere il processo di conoscenza. Certo, in tal modo saremo in mezzo ai paradossi, le incoerenze, le contraddizioni.
In questa analisi controversa, e dalla cronaca spesso inquietante, nel rapporto tra umani e animali che Joanna Bourke propone nel suo libro, le idee di consenso, potere, affetto e sessualità sono spinte al loro limite postumano, forse troppo rapidamente per essere digerite o elaborate a fondo, ma con il merito di portare il fenomeno alla luce del sole. Leggendo Amare gli animali viene in mente la trama di un film fantasy di discreto successo degli anni Ottanta: Ladyhawk. Un vescovo vuole impedire in tutti i modi ai due protagonisti di amarsi e avere una relazione. Il malvagio prelato stipula con Satana in persona un patto che condanna Isabeau a essere una poiana codarossa di giorno e Navarre un lupo la notte, così che i due non possano più incontrarsi in forma umana, tranne che per un breve istante, al calar del buio o al levare del sole. La storia tra amanti di specie diverse, separati al crepuscolo, a un punto dell’evoluzione animale. Un personaggio del film, Gaston, descrive la storia maledetta dei due amanti come “sempre insieme, eternamente divisi”.