Q uello che fa un abete di Douglas, lo fa molto lentamente, compreso morire. Forse il tratto meno allettante di una vita che dura novecento anni è quel secolo o più che trascorre morendo. Il processo di decomposizione si trascina per altri cento anni o giù di lì. Un albero è quel rarissimo organismo a cui si riserva spesso e correttamente il comparativo “più morto”. Una conifera morta di recente, o “dead hard” (dura), progredisce in “dead spongy” (spugnosa), quindi in “dead soft” (morbida), i rami e la cima marciscono e cascano, fino a quando l’ultimo pezzo di tronco rimasto in piedi cade e l’albero viene infine classificato come “dead fallen” (caduto). A un certo punto del suo lungo crepuscolo, un albero che si trova vicino a una strada, un sentiero o un edificio può guadagnarsi una nuova etichetta: “albero pericoloso”. Perché se cade, chiunque ci finirà sotto, ci metterà poco a morire.
Le vittime di un omicidio colposo arboreo, a differenza del loro aguzzino, possono essere anche molto giovani. L’“Australian Journal of Outdoor Education” ha pubblicato una sintesi dei casi dei bambini (e, in due casi, dei loro insegnanti) che a partire dal 1960 sono rimasti uccisi a causa della caduta di rami o di alberi durante i campeggi scolastici: sei periti in tenda mentre dormivano, uno mentre nuotava nelle vicinanze di un boschetto di eucalipti e altri sei durante le escursioni, di cui due adolescenti travolti dalla cima di un sorbo degli uccellatori che si era staccata ed era rotolata giù da una collina.
Il vento spesso fa da complice. La rivista Natural Hazards riporta che negli Stati Uniti, tra il 1995 e il 2007, gli alberi abbattuti da forti venti hanno causato la morte di quasi quattrocento persone. Un giorno io e mio marito Ed abbiamo scoperto che solo 6 metri ci separavano dal fare quella fine, quando, una mattina ventosa, siamo stati svegliati dallo scrocchio di un grosso ramo che si è staccato da una quercia ed è atterrato vicino alla nostra tenda.
Alcuni alberi uccidono nel corso normale della vita. Il pino di Coulter produce pigne pesanti come palle da bowling. Secondo “la più grande rassegna delle lesioni legate alla palma da cocco”, sedici abitanti delle isole Salomone sono stati colpiti dalla caduta di noci di cocco tra il 1994 e il 1999. Negli ultimi anni i giornali balinesi hanno riportato tre casi di corpi rinvenuti sotto alberi di durian. Il frutto di quest’albero è perfetto come arma del delitto: grande, pesante e ricoperto di punte dure. Il “sospettato”, essendo una pianta, non ha potuto nascondere le prove: un frutto insanguinato giaceva accanto alla testa della vittima. È difficile per le autorità invitare alla cautela o instillare paura. Di fronte al cartello “Caduta pigne, procedete a vostro rischio e pericolo”, la maggior parte della gente decide di procedere.
L’espressione “albero pericoloso” di per sé è esilarante. È un po’ come dire “zampina pericolosa”. Lo staff del MacMillian Provincial Park dell’isola di Vancouver, dove si trova un bosco di conifere “storiche”, non ci trova niente da ridere. Perché gli alberi più anziani sono anche i più alti e maestosi. La gente paga per ammirarli, per girarci intorno in macchina, e non vuole che siano abbattuti. Questo crea un bel dilemma e ogni tanto anche una tragedia.
Nel 2003, una coppia dell’Alberta stava attraversando il MacMillan’s Cathedral Grove, un bosco di enormi conifere secolari, quando su di loro si è abbattuta una violenta tempesta di neve. Hanno parcheggiato fuori dalla carreggiata in attesa che passasse. Uno degli abeti secolari, appesantito dalla neve e indebolito dal marciume, è caduto sulla loro auto uccidendoli.
La rivista Natural Hazards riporta che negli Stati Uniti, tra il 1995 e il 2007, gli alberi abbattuti da forti venti hanno causato la morte di quasi quattrocento persone.
Da allora, il MacMillan si rivolge a un esperto certificato che valuta gli alberi pericolosi. Da quindici anni a questa parte, con una cadenza semestrale, e dopo ogni grande evento meteorologico, Dean McGeough perlustra la foresta alla ricerca di segni di pericolosa decrepitezza. Oggi c’è una di queste ispezioni. Nel corso della giornata, Dean segnalerà gli alberi che secondo lui necessitano di essere alleggeriti: un ramo o una cima da amputare o qualcosa di più drastico. Questa è la fase in cui, statisticamente, si verifica la maggior parte degli omicidi (colposi). Le persone uccise più spesso dagli alberi sono quelle che li tagliano, per intero o parzialmente. Per un faller, come viene chiamato da queste parti chi imbraccia la motosega, la probabilità di incorrere in un incidente sul lavoro è sessantacinque volte maggiore che per altri lavoratori. Sono uomini che in tasca tengono le bende compressive, come mia nonna ci teneva i fazzoletti. Uomini il cui tessuto preferito è il misto Kevlar. Anche se di solito non è la lama che uccide. È l’albero. A volte è proprio quello che stanno tagliando, ma più spesso è un vicino. Mentre cade, l’albero rischia di urtare e piegare il ramo di una pianta adiacente, che poi ritorna indietro a una velocità mortale. Pezzi di altri alberi che si trovano fra i rami – uno snag (“legno morto”) instabile o una “pianta appollaiata” in modo malsicuro – possono staccarsi e cadere sul faller.
La Columbia Britannica ha un Consiglio per la sicurezza forestale e oggi due membri sono venuti qui. Sui loro biglietti da visita c’è scritto “Falling safety advisor”, sono consulenti per la sicurezza della caduta controllata degli alberi. Ho incontrato uno di loro. Nel settore del disboscamento ci si è evidentemente dimenticati di quando le cadute erano il succo della comicità slapstick. Pensate a quando qualcuno chiederà a proposito di un ex collega: “Ti ricordi di tizio? Sta ancora lavorando alle cadute?”.
Gli alberi più pericolosi da far cadere sono (ma davvero???) gli alberi pericolosi. Un albero sano con un legno solido può essere fatto cadere in qualsiasi direzione. In questo modo: invece di tagliare tutto il tronco in orizzontale, ci si ferma a metà, si gira sul lato opposto e si fa un taglio a cuneo. Quando si finisce di segare il tronco, la pianta si inclina sul cuneo e cade in quella direzione. Un albero marcescente è difficile da controllare con questo metodo ed è impossibile prevedere con certezza come cadrà. Se una conifera presenta legno marcescente in alto, nel momento in cui l’albero inizia la sua caduta, quella parte, avendo perso solidità, rischia di rompersi e cascare sul faller. Un fusto interamente marcio può “collassare”, crollare su sé stesso. Una parte del fusto marcita può sgretolarsi all’improvviso e far cambiare la direzione della caduta. Pensate a quegli anziani con l’osteoporosi che hanno le ossa così malridotte che un giorno si rompono un’anca solo perché fanno un movimento. (Quest’abbondanza di alberi “sovramaturi” potrebbe spiegare come mai la segheria che un tempo possedeva questo bosco l’ha donato alla provincia: troppo legno deperito).
In condizioni ideali, nessuno dovrebbe trovarsi vicino a un albero pericoloso quando il fusto cade. Ecco perché gli alberi molto alti, molto vecchi e molto pericolosi non vengono abbattuti, ma fatti saltare in aria (blast). Gli esplosivi non sono giocattolini innocui, ma possono essere fatti detonare a distanza di sicurezza. In modo che, indipendentemente da cosa cade e in quale direzione, nessun faller verrà schiacciato.
Dopo che Dean avrà terminato l’ispezione, l’esperto faller blaster Dave “Dazy” Weymer attaccherà a lavorare. Dazy ha sessantotto anni, di cui trentacinque passati a far esplodere alberi. Suo padre e suo nonno erano entrambi taglialegna. È cresciuto in mezzo ai boscaioli. Era “praticamente condannato a diventare un taglialegna”, dice. La prima volta che ho visto Dazy è stato su YouTube, in un montaggio di scene di esplosioni e motoseghe urlanti su una colonna sonora dove rimbombavano batterie e chitarre. Per guardare i suoi video servono le protezioni acustiche.
Il suolo forestale del Cathedral Grove non è un suolo semplice. È un percorso ad ostacoli fatto di rami e tronchi in decomposizione, le cui superfici e i cui contorni sono oscurati da un manto umido e spugnoso di muschi e felci. È difficile prevedere quando il vostro piede incontrerà qualcosa e cosa succederà. Potrà posarsi su un ceppo o avanzare dritto verso quello che sembra essere un ceppo ma in realtà è una poltiglia friabile a forma di ceppo. Inciamperete e cadrete, ma non vi farete male, vi sentirete solo un po’ marci. Stufi marci.
Mentre Dean fa il suo giro, lui e Dazy mi aggiornano sulle basi di anatomia delle piante. Gli alberi, sto imparando, non sono poi così diversi dagli esseri umani. Il legno più vecchio e duro che ne percorre il nucleo funge da scheletro e li sostiene. Intorno a questa “spina dorsale”, che si chiama “durame, c’è l’“alburno”, la carne in cui “scorre” lentamente – così lentamente che forse servirebbe un verbo diverso – il sangue dell’albero: la linfa.
In condizioni ideali, nessuno dovrebbe trovarsi vicino a un albero pericoloso quando il fusto cade. Ecco perché gli alberi molto alti, molto vecchi e molto pericolosi non vengono abbattuti, ma fatti saltare in aria.
La corteccia ovviamente è la pelle dell’albero. Protegge l’interno ed è – come la nostra pelle – sia un punto di ingresso delle infezioni sia una barriera immunitaria. La corteccia delle conifere secerne resina (nota anche come “colofonia”), una sostanza densa e appiccicosa che sigilla le ferite, intrappola gli scolitidi, uccide gli agenti patogeni. Anche la chioma di un albero si dirada con l’età e il punto in cui raggiunge la circonferenza massima si chiama base del fusto, e qui chiaramente le similitudini tra alberi e persone vanno a gambe all’aria.
“Ecco, quello l’ho fatto esplodere”. Dazy ha una voce profonda che si sente da chilometri e gli torna utile visto che chiacchiera in un bosco col sottofondo di una motosega. Sta indicando un abete di Douglas. Questi alberi si distinguono per la loro corteccia spessa che presenta profonde fenditure verticali.
Visto da qui, a 3 metri di distanza, l’abete esploso non sembra diverso dagli alberi intatti che lo circondano. Solo il terzo superiore manca e per vedere il terzo superiore di questo tronco che prima era alto quasi 55 metri bisognerebbe storcersi il collo. La rimozione del terzo superiore rende l’albero più leggero e più stabile – meno pericoloso – e allo stesso tempo preserva l’atmosfera medievale da foresta di Sherwood di questo bosco, ovvero ciò che i professionisti del turismo chiamano “attrattiva per i visitatori”. Visti da qui, i vivi, i morti e gli esplosi sembrano uguali: enormi tronchi d’albero coperti di muschio. Come dice Dazy, “Non puoi sapere che quello non è l’ennesimo albero maestoso”.
Gli alberi anziani fanno quello che fa Dazy, ma in modo meno evidente. Si chiama ripiegamento. La circonferenza del tronco e le radici continuano a crescere, ma l’albero smette di svilupparsi in altezza e i rami della chioma muoiono e cadono. La cima diventa più leggera. Questo è importante soprattutto perché si riduce l’“effetto vela”, nel senso che una chioma con una minore superficie corre meno il rischio di essere spazzata dal vento ed evita il cosiddetto “schianto da vento”, che avviene quando un albero viene sradicato dalle raffiche durante una tempesta.
Mi piego all’indietro il più possibile per cercare di vedere il frutto del lavoro di Dazy sull’abete. Ma perdo l’equilibrio e cado su un ceppo. Autrice in caduta controllata. Dazy mi tende una mano. È incredibilmente liscia per la sua età, probabilmente perché quando lavora indossa i guanti. Se gli altri faller leggeranno queste righe, verrà preso in giro fino allo sfinimento per le sue manine delicate.
Ecco un altro motivo per cui non conviene tagliare un albero pericoloso fino alla ceppaia. Gli alberi morenti e marcescenti danno casa alla fauna selvatica, e in maniera decisamente maggiore rispetto agli alberi vivi e sani. Le cavità marce dei tronchi diventano tane per gli orsi. I rami degli alberi morti sono posatoi per i rapaci. I picchi e gli altri uccelli che nidificano nelle cavità scavano nell’alburno marcio e ammorbidito. Per questo motivo un “albero pericoloso” è spesso classificato anche come “albero habitat”. Facendo esplodere il terzo superiore dell’albero, si facilita il processo. La decomposizione del fusto viene accelerata perché l’acqua piovana penetra al suo interno dallo squarcio apertosi nel punto in cui è avvenuta l’esplosione. Dazy tiene un ramo sollevato per farmi passare. “I biologi adorano le cime esplose”, dice. A condizione che non si faccia questo lavoro durante la stagione della nidificazione, ovvio.
Dean ha marchiato un grande abete di Douglas su cui dovrà intervenire. Strappa dalla corteccia un disco dall’aspetto coriaceo. Ce ne sono altri sei che sporgono dall’albero. “Questo è un fungo a mensola”, dice, porgendomelo con un sorriso appena accennato. Dean ha sempre una specie di sorriso sulle labbra, anche se non sembra mai entusiasta. La presenza di un fungo a mensola è solo la punta dell’iceberg, dal punto di vista della putrefazione. I sintomi delle infezioni fungine spesso rimangono invisibili fino a quando la malattia non è in stato avanzato. Quando i funghi a mensola compaiono all’esterno di un albero, l’interno è molto marcio.
Eppure non c’è fretta di agire: questo albero è in queste condizioni da quindici anni, cioè da quando Dean lo monitora. La corteccia si stacca facilmente in strisce verticali, come la cera che cola da una candela. Dean strappa un pezzo di corteccia e lo sbriciola tra le dita. Gli insetti ne approfittano per andare a deporre le uova. Contribuendo ancora di più al marciume. “Vedi questa polvere bianca?”, dice Dean, “è frass”. Cioè le deiezioni degli insetti. Frass è la mia nuova parola preferita, ha appena soppiantato kerf (che indica il solco di taglio della lama della motosega) e sicuramente me la giocherò a Scarabeo.
Dean si sposta verso la linea di gocciolamento dell’albero, il bordo esterno della chioma, che in genere segna il punto in cui si fermano le radici sottoterra. Mi mostra la massa radicale che lì sta iniziando a sollevarsi, perché il fusto pende da un lato. Un albero pericoloso! Dean lo aggiunge alla lista dei lavori di domani.
Gli alberi morenti e marcescenti danno casa alla fauna selvatica, e in maniera decisamente maggiore rispetto agli alberi vivi e sani. Le cavità marce dei tronchi diventano tane per gli orsi. I rami degli alberi morti sono posatoi per i rapaci.
Ultimamente, gli alberi del Cathedral Grove stanno soccombendo a un agente di marciume radicale chiamato Armillaria che si diffonde nel sottosuolo, dalle radici di una pianta infetta all’altra. I cedri respingono l’attacco, perché possiedono sostanze chimiche capaci di resistere a molte malattie fungine (ecco perché il legno di cedro è molto usato per i mobili da esterno o per le scandole). In questo momento nel bosco ci sono le condizioni ideali per i cedri: necessitano di molta luce e man mano che gli alberi vicini, meno resistenti agli agenti di marciume, muoiono e cadono, beneficiano dei raggi di sole che penetrano dove prima non arrivavano. È un ciclo, mi dice Dean. A un certo punto la siccità porterà via i cedri e al loro posto si insedierà e crescerà vigorosa un’altra specie.
Dean testa e percuote i tronchi in vari modi per valutare, in base al suono che producono, l’entità del marciume interno. Spara a raffica nomi latini, più velocemente di quanto io riesca ad appuntarli (sbagliandoli). Dazy è più terra terra: carie del durame, cancro del fusto, marciume radicale. Dean e Dazy tenevano insieme un corso di sicurezza sugli alberi a rischio caduta. Dazy parlava delle tecniche e Dean delle questioni normative. Durante la prima lezione Dazy diceva qualche parolaccia per mettere a proprio agio gli studenti. Dean non impreca. I suoi attrezzi sono in perfetto ordine e compila i documenti in modo rapido e leggibile. È esattamente la persona a cui vorresti far custodire i dati di decine di alberi da due tonnellate che rischiano di crollare addosso alla gente.
Per quanto diversi siano, in una cosa si somigliano: non rientrano nel mio stereotipo del boscaiolo. Giusto qualche minuto fa gli uomini si stavano scambiando opinioni sulle rispettive diete. Dean ha due amici che hanno perso 18 chilogrammi ciascuno con la dieta chetogenica, mangiando pancetta “come se non ci fosse un domani”.
“Ah, mi ci vedrei”, ha commentato con aria sognante un falling safety advisor.
Dazy allora ha detto che sta seguendo un regime ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di carboidrati, per il cuore, ma si tiene tendenzialmente lontano dalla pancetta. “Cerco di mangiare più avocado. E il pesce”.
“Il pesce, quello è l’ideale”, ha concordato Dean.
Dean ha etichettato sei alberi da far esplodere domani mattina. Abbiamo fissato luogo e orario e ci siamo dati appuntamento all’indomani. Nessuno va a farsi una birra. Perché contiene carboidrati e tutto il resto.
Gli esplosivi sono custoditi in un anonimo capannone argentato nel bosco, a 8 chilometri in fondo a una strada sterrata. Capannone è la parola sbagliata. Il posto in cui si tengono gli esplosivi si chiama deposito. Questo ha pareti spesse 15 centimetri riempite di ghiaia, in modo che gli zotici e i cacciatori sprovvisti di buona mira non rischino di penetrarlo con una pallottola e far saltare in aria la foresta circostante.
Sono le cinque del mattino, il cielo è ancora nero, la Via Lattea è più lattea che si può. Una mezza dozzina di operatori stradali sono accalcati sotto i fari dei furgoni con sacchi di esplosivi della Austin Powder Company. Guardo Dazy caricare cinque “candelotti” di Red-D sul pianale del suo veicolo: la dinamite è confezionata in tubi di plastica e sembra più che altro l’impasto della pizza. Anche questo, come altri prodotti qui in Canada, ha l’etichetta bilingue. “Explosifs, Explosives”: un raro caso in cui la versione francese è più breve. In un supermercato ho visto un sacchetto di “nourriture pour oiseaux sauvages”. Becchime. Dazy attacca un cartello fluorescente alla cabina del suo furgone: “Trasporto di merci pericolose”. Ora, se dovessimo andarci a schiantare sulla via per il bosco, i soccorritori sapranno che è meglio mantenere le distanze. Quando arriviamo, un gruppetto si sta radunando attorno al cofano di un furgone. Ci sono Dean, i falling safety advisors e alcuni uomini che dovranno tagliare, o “ridurre in tronconi”, le cime degli alberi. Visto che gli alberi sono vicino all’autostrada, ci sono anche i movieri con le bandiere e i coni segnaletici per fermare e dirigere il traffico.
Dazy indossa la sua imbracatura da arrampicata e si prepara a salire sul primo albero, un abete. Si lega i ramponi al polpaccio. Scala il tronco piantando le punte ai lati: sinistra, destra, sinistra. La parte superiore del suo corpo è retta da un cavo d’acciaio (flipline) avvolto all’imbracatura e al fusto dell’abete. Ogni tot passi Dazy usa il cavoper avvicinarsi il più possibile al tronco, quindi lo lancia un po’ più in alto in modo che sia un po’ avanzato, e ricomincia. E così via, finché non arriva al punto in cui praticherà il foro per l’esplosivo. Dazy non soffre di vertigini e non è mai caduto. “Mi pare una manovra che ti capiterà una volta nella vita”, mi ha detto quando gliel’ho chiesto.
Perché l’intelligenza – o le dimensioni – è il metro in base al quale decidiamo chi risparmiare? Il semplice e il piccolo hanno meno diritto di vivere? Gli alberi, in particolare quelli anziani, sembrano suscitare un bisogno di proteggere e difendere.
Fa freddo e pioviggina e il sole si è a malapena fatto vedere. Un falling safety advisor mi presta un giaccone. Nelle tasche ci sono trucioli di legno. Dalla radio di Dean riesco a sentire le chiacchiere dei movieri. Si trovano alle due estremità del cantiere e stanno creando delle corsie di traffico alternato. “Ehi”, dice uno all’altro via radio. “Arriva la tua ragazza”. Dazy lascia cadere una corda e il falling safety advisor ci attacca la motosega. “Probabilmente esiste un nodo speciale, ma non importa”.
La motosega sale, Dazy la slega, poi ci comunica che la corda sta tornando giù. Dal suo trespolo cominciano a piovere segatura e rumori. Quando il foro è pronto, la motosega Raperonzolo scende giù e uno zaino con gli esplosivi sale. Quindici minuti dopo, il lavoro di Dazy è terminato. Si cala dall’albero portandosi dietro la miccia. Dean la svolge e la trascina fino al luogo della detonazione, a circa 90 metri di distanza. Lo seguiamo tutti. I movieri ci comunicano che il traffico è fermo in entrambe le direzioni e Dean suona dodici volte una tromba ad aria. Io sono la guest detonator. Ho l’onore di premere il grilletto. Si innesca una serie di microesplosioni a catena che percorrono in un lampo la miccia. Ora arriva il boom, seguito da due scrocchi secchi e la cima dell’albero si schianta contro i rami di un albero adiacente, poi con un tonfo fragoroso cade a terra tra le urla eccitate di tutti tranne Dean. Se un albero cade nella foresta e non c’è nessuno che lo senta, è un peccato.
Dazy ci riporta al luogo dell’esplosione. I risultati della “frammentazione” e del “sollevamento” sono tutti intorno a noi. Una squadra di taglialegna fa a tronconi la cima caduta. Visto da noi che siamo quaggiù, tra i muschi e le felci, l’albero sembra uguale. Anche se ovviamente è diverso. È più sicuro. Il falling safety advisor ha ancora il sorriso stampato in faccia. Anch’io. Non saprei come mai le grandi esplosioni (controllate) causano agli umani tutta questa gioia. A quanto pare siamo attratti dagli estremi: da ciò che è enorme, alto, rumoroso. È l’attrazione per ciò che incute timore e ammirazione. È uno dei motivi per cui ci preoccupiamo per le balene e non per lo spratto, per cui le persone abbracciano gli alberi e calpestano i trifogli.
Non sorprende, quindi, che il lavoro di Dazy in questo bosco abbia di tanto in tanto sollevato delle critiche. Una volta Dazy ha cercato di parlare con un manifestante per spiegargli che questi alberi stavano morendo e che sarebbero comunque caduti presto o tardi. Al che il manifestante ha ribattuto: “Pensiamo che gli alberi sappiano quando è il momento di cadere”. Solo che non è la sapienza che provoca la caduta di un albero, ma un mix fatale di vento, gravità, danni e marciume.
Io non posso giudicare. Tutti siamo emotivamente legati a certi rami dell’albero della vita, e per alcuni quel ramo sono gli alberi. La nostra devozione per determinate specie è irrazionale. Conosco un uomo che non mangia i polpi per via della loro intelligenza, eppure mangia il maiale e compra le trappole per topi, sebbene anche i topi e i maiali siano molto intelligenti, probabilmente più intelligenti – credo, non ho visto con che punteggio si sono diplomati – dei polpi. Perché l’intelligenza – o le dimensioni – è il metro in base al quale decidiamo chi risparmiare? Il semplice e il piccolo hanno meno diritto di vivere? Gli alberi, in particolare quelli anziani, sembrano suscitare un bisogno di proteggere e difendere. Forse è perché gli alberi non possono farlo da soli, almeno non in modi evidenti. Un albero non può scappare o combattere neanche contro uno scarafaggio. Gli alberi sono vulnerabili, pacifici, innocenti. In generale le piante danno quell’impressione. Ma non fatevi ingannare.
Estratto da Wanted! Quando la natura reagisce alla prepotenza dell’uomo e infrange le sue leggi di Mary Roach (Aboca, 2023)