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ames Gleick è lo scrittore scientifico a cui dobbiamo la diffusione della teoria del caos nella cultura di massa. Prima di Jurassic Park e del proverbiale battito d’ali di una farfalla, era stato il suo Chaos: Making A New Science (1987, in Italia edito da Rizzoli) a raccontare l’oscura scienza del caos e del disordine. Gleick, 63enne, ha poi scritto la biografia di Richard Feynman e Isaac Newton, per arrivare al 2011, anno di pubblicazione di The Information (edito in Italia da Feltrinelli), corposo saggio sulla storia dell’informazione. Parliamo quindi di un autore a cui piace studiare argomenti così vasti da non venire nemmeno notati dai più: capirete quindi la sorpresa generale quando, nel 2016, tornò in libreria con un libro sui viaggi nel tempo.
Uscito in questi giorni in Italia, Viaggi nel tempo (Codice Edizioni), è un’opera che sembra distanziarsi dall’idea di “libro di Gleick” che molti suoi lettori avevano assemblato con tanta fatica: un libro a cavallo tra fiction e scienza, che spesso somiglia a un’opera di critica letteraria. “Effettivamente è stata una deviazione”, ha spiegato l’autore al Tascabile. “O forse The Information era stata la deviazione. Sono sempre stato affascinato dall’idea di tempo: misteri e paradossi di questo campo fanno capolino nel mio primo libro, Caos, e la mia biografia di Richard Feynman, il quale propose una teoria secondo cui le particelle potevano viaggiare indietro nel tempo. Quindi il tempo mi è sempre rimasto in mente”.
Viaggi nel tempo racconta come un concetto scientifico sia diventato un topos letterario universale. “Mentre stavo finendo The Information” racconta Gleick, “scoprii qualcosa che mi sconvolse: avevo sempre pensato che il viaggiare avanti e indietro nel tempo fosse una cosa che la gente di tutte le epoche aveva immaginato. E invece è un’idea incredibilmente nuova. Così mi domandai: perché?”. L’opera inizia da un punto preciso, l’inizio del concetto di viaggio nel tempo. Incredibilmente, infatti, è possibile determinare la nascita dell’idea, ovvero il 1895, anno in cui lo scrittore inglese H.G. Wells pubblicò La macchina nel tempo, prima opera in cui si racconta di un dispositivo in grado di spostarsi nella linea temporale.
Prima d’allora non esisteva questa possibilità: c’era qualche opera che sfiorava l’argomento – un uomo prende sonno e si risveglia nel futuro – ma mancava la volontà e la scienza, tutte cose che sbocciarono a fine Ottocento e resero possibile immaginare un nuovo tipo di carro, anzi carrozza: una macchina del tempo. Scrivere Viaggi nel tempo è stato quindi un’occasione per Gleick di riscoprire Wells: “Me lo immaginavo come un vecchio capo di stato, una figura mitica che parlava di socialismo e firmava molte storie fantastiche e strane. Ma il Wells che ho riscoperto è stato invece un giovane che amava le bici, le donne e aveva fatto davvero fatica a finire il suo primo romanzo, The Time Machine. Mi stupì molto scoprire che, anni dopo, fu molto imbarazzato da quanto seriamente il pubblico avesse preso la sua invenzione. Non credette mai in se stesso”.
Il libro comincia con una breve storia dei viaggi nel tempo in letteratura e al cinema, permettendoci di osservare l’autore in una veste diversa dal solito, quella dello storiografo che scartabella vecchi e oscuri romanzi fantastici. Sin da subito Gleick si trova tra la fantascienza e l’indagine scientifica, dimostrando il forte legame che hanno avuto (e tuttora hanno) i due mondi: l’idea infatti non cadde casualmente su Wells ma fu anzi ispirata dallo zeitgeist di fine Ottocento, fatto di macchine a vapore sempre più grandi e potenti e una rete ferroviaria ormai diffusa, che aveva di fatto stravolto la percezione del tempo (e dello spazio) per molti europei. La durata di un viaggio da Parigi a Vienna, per esempio, era d’un tratto cambiata drammaticamente, cambiando abitudini e la percezione del tempo e del ruolo degli esseri umani nel pianeta Terra. Dopo millenni di carrozze e carovane, ecco comparire un’enorme vettura di metallo che, sbuffo dopo sbuffo, sembrava agire da wormhole accorciando le distanze in modo inedito.
Per curiosità, ho domandato a Gleick quali altre firme abbia scoperto (o riscoperto) lavorando al libro: la prima parte di Viaggi nel tempo è infatti un viaggio letterario spesso oscuro, un meme che viene sviscerato in ogni sua mutazione e declinazione. “Ho finalmente avuto l’opportunità di leggere Orlando, il classico di Virginia Woolf; e poi il nuovo romanzo di fantascienza di William Gibson, The Peripheral, che tratta il tema in modo completamente nuovo ed è uscito proprio mentre stavo lavorando al mio saggio. E poi i film: consiglio a tutti un titolo francese, stranissimo e sconosciuto, di circa mezz’ora, La Jetée.”
Se all’inizio percepivo Viaggi nel tempo come un’interessante divagazione di un divulgatore scientifico nel fantascientifico, rileggendolo mi sono reso conto della sua funzione da ponte all’interno della bibliografia di Gleick. Il cuore del libro, del resto, è nella scienza e ci riporta ai due capisaldi del nostro: il caos e Richard Feymann. Presto, infatti, Gleick muove da Wells e i film francesi per analizzare il tempo al di fuori della finzione fantastica, cercando di dimostrarla o andando così a fondo da renderla più grigia di alcune teorie scientifiche. È possibile anche il percorso inverso, intrapreso dallo scrittore in un saggio pubblicato dalla New York Review of Books in cui analizza Arrival, film del 2017, e il racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang che da cui è tratto. Anche qui ritroviamo il cast di personaggi e riferimenti che costituisce lo scheletro dell’opus gleickiano:
Come disse Richard Feynman, “Ai fisici piace pensare che basti dire: Poste queste condizioni, che cosa può succedere?’. Altri fisici, intanto, hanno scoperto il caos e l’incertezza quantica […]. Quello che chiamiamo incidenti sono solo artifatti di una conoscenza incompiuta”.
Le macchine del tempo hanno due direzioni, passato e futuro. Eppure Gleick finisce il suo lavoro concentrandosi sul presente, il nostro presente così espanso e potenziato da sembrare infinito. Grazie alla diffusione di massa di internet, scrive Gleick, “siamo viaggiatori nel nostro futuro, siamo i Signori del Tempo”. Ciò può assumere diversi significati: da un lato abbiamo a disposizioni tecnologie incredibili a rendere il nostro presente in parte futuristico; dall’altra “stiamo anche annettendo il passato” con archivi storici sempre più ampi e la storicizzazione di tutto.
Ciò nonostante, abbiamo ancora bisogno di viaggiare nel tempo, e per innumerevoli motivi. Perché il tempo è misterioso e più mutevole di quanto sembra o per immaginare vite diverse e mondi lontani. O ancora, come scrive l’autore, “tutte le risposte si riducono a una sola: per sfuggire alla morte”.