V ive sull’orlo tra il bianco e nero e il colore l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi, Settembre nero. L’estate è quella del 1972, e delle lunghe e infinite vacanze degli italiani di quella seconda metà del secolo che si assiepano sulle spiagge da luglio fino ai primi di settembre in una sospensione che sarà generatrice di cambiamenti radicali più o meno voluti. Siamo negli anni di un benessere stabilizzato. Si avvertono le prime crepe, ma l’onda lunga del boom economico o come preferiscono definirlo le cronache di allora, del miracolo italiano ancora si fa sentire con tutta la sua eccitante vibrazione.
Siamo però anche negli anni dei cosiddetti autunni caldi che seguono la pausa delle fabbriche chiuse per l’estate. Stagione di passaggio per eccellenza, qui si passa dall’infanzia all’adolescenza di un’intera società. Dal gioco alla lotta politica la distanza si misurerà in pochi mesi, nemmeno anni di età. Tutto appare dietro l’angolo seppure ancora infinitamente lontano. Così come tutto appare sfocato e vergato ancora dalla dolcezza dell’infanzia per Gigio Bellandi, il giovane protagonista di Settembre nero.
Siamo negli anni dei cosiddetti autunni caldi che seguono la pausa delle fabbriche chiuse per l’estate. Stagione di passaggio per eccellenza, qui si passa dall’infanzia all’adolescenza di un’intera società.
Gigio vive sull’orlo di una consapevolezza a lungo meditata, ma che sta per arrivare con una forza perturbante imprevedibile mettendo in discussione tutta la sua vita, dai rapporti con la famiglia alla ridefinizione di un sé che prenderà una traiettoria inedita per il bambino che ancora si eccita inseguendo le corse di Formula uno alla televisione. Settembre nero si muove da un presente attuale dato dalla voce narrante che è quella proprio di Gigio Bellandi ormai adulto e ormai affrancato dai dolori di quel racconto che così profondamente ha segnato la sua esistenza. Naviga in un icastico disincanto la voce di Bellandi mentre rimembra con stupore e delicatezza il sé bambino che di là a poco si sarebbe immerso in un tornado di turbamenti e angosce, di paure e nuove consapevolezze.
Il bianco e nero con tutte le sue sfumature assume così il ruolo di un’infanzia che è sia individuale che sociale. Gli anni Sessanta come infanzia, gli anni Settanta invece come adolescenza irrequieta di una società in stato perenne di esplosione. Quella che era gioia si trasforma in piombo e disperazione, violenza e assassini per strada. Il colore piano piano si addentra nelle vite degli italiani. Il romanzo di Veronesi sembra ricordare una delle più belle Cosmicomiche di Calvino, ma là dove tutto è simbolico e rarefatto qui diviene carnale ed esplicito. La deriva del colore lascia segni nuovi sui corpi e nelle menti. Addio felici nuove sorti progressive dell’umanità, benvenuta amara realtà.
Il romanzo di Veronesi sembra ricordare una delle più belle Cosmicomiche di Calvino, ma là dove tutto è simbolico e rarefatto qui diviene carnale ed esplicito.
Il dodicenne Gigio Bellandi, figlio di uno stimato avvocato e di una donna di origini irlandesi scopre proprio nella propria differenza linguistica una possibilità imprevista, quella di spiccare agli occhi della più bella e ricca ragazza di Fiumetto, località balneare della Versilia. Veronesi si muove inizialmente su cliché assodati capaci di contenere una situazione tipica, da romanzo popolare, da film estivo, ma lo fa per poi piano piano sgretolarne ogni banale convinzione.
La società italiana retrograda e conservatrice infatti non conserva dentro di sé solo un buffo impaccio, ma una violenza nera capace di esplodere da un momento all’altro. La prima (enorme) crepa riguarda proprio l’omicidio di Ermanno Lavorini il cui cadavere viene ritrovato a Marina di Vecchiano. Il padre di Gigio partecipa all’inchiesta in qualità di avvocato. Lo scandalo scuote il Paese mettendo in discussione l’istituzione famigliare e i suoi bravi capifamiglia. Il riverbero arriva fino alle orecchie di Gigio che se non ne avverte pienamente la gravità ne sente l’inquietudine che attraversa piano piano la sua famiglia, ovvero per lui l’intera società italiana dell’epoca. Si tratta di uno svelamento determinante che da un lato consegna Gigio Bellandi a Astel Raimondi in un rapporto esclusivo utile per proteggersi e che diviene giorno dopo giorno l’unica possibilità per una felicità tanto inaspettata quanto necessaria e dall’altro allontana per sempre Gigio dalle consuetudini famigliari. Una frattura dolorosa che ha dentro di sé un cambiamento obbligato. Una crescita certamente prevista e aspettata, ma anche una differenza sostanziale che si palesa e sulla quale fare leva per credere e provare di essere anche altro.
La voce narrante, Gigio Bellandi adulto, avverte fin dal principio il segno di una colpa, quella del padre verso il figlio, una colpa ora forse condonata, ma che ha bisogno di un racconto preciso e definito che si poggi soprattutto sugli oggetti, sugli aneddoti sportivi, su tutto quell’armamentario che farà memoria e darà corpo a una mitologia tanto enormemente malinconica quanto totalmente inutilizzabile. Vecchi giochi, vecchie mode, ossessioni passate che furono una corazza e che ora vivono nel segno di un rimpianto non più rimarginabile.
Settembre nero si muove sotto il segno di una rincorsa che ad un certo punto entra in sospensione: un’attesa che pare lunghissima e tesa. Al centro i giochi Olimpici di Monaco del 1972. L’attacco del gruppo terroristico Settembre nero alla squadra israeliana, che rappresenta nella narrazione il degenerare di una vacanza che trasforma un insperato amore in una separazione famigliare che sarà perenne. A contrapporsi idealmente, ma in realtà ad abbandonarsi saranno Gigio e il padre, con il primo tradito dal secondo.
Come in un quadro di Sandro Luporini la narrazione di Sandro Veronesi si poggia su dati certi e riferimenti solidi che divengono trasfigurazioni malinconiche. Eventi storici e sportivi, un catalogo infinito di aneddoti e poi ovviamente gli oggetti che divengono da allora centrali nella vita degli italiani. Quelli ottenuti e quelli ambiti, quelli che era meglio avere e quelli da desiderare chissà per quanto ancora. Sulla spiaggia deserta di un’estate agli sgoccioli appare sospeso l’immaginario diffuso di un desiderio tradito, di un patto infranto e non di meno di una traiettoria che porterà verso una lontananza acquisita quanto mai veramente voluta.
Come in un quadro di Sandro Luporini la narrazione di Sandro Veronesi si poggia su dati certi e riferimenti solidi che divengono trasfigurazioni malinconiche. Eventi storici e sportivi, un catalogo infinito di aneddoti e poi ovviamente gli oggetti che divengono da allora centrali nella vita degli italiani.
Si resiste come si può alla perdita e allo sconforto, ma la malinconia ritrae forme sfumate di fantasmi caduti, figure ancora in vita, ma prive di un destino certo. Sandro Veronesi mostra attraverso la malinconia l’incedere di un luogo e dei suoi abitanti, evidenzia la traiettoria imprevista di un’esistenza che va ben oltre la retorica della coincidenza, ma che anzi vive sopraffatta dalla potenza di eventi che si credevano controllabili e che invece si manifestano in tutta la loro irresistibile e selvaggia forza devastante.
Scivola veloce pagina dopo pagina il romanzo di Veronesi slegandosi e perdendo piano piano la sua forma romanzesca per acquisire una postura quasi da trattato morale del così fu e così avvenne sulla terra e in questa patria maledetta. Solo lo sguardo rivolto all’ingenua infanzia di Gigio Bellandi riesce a trattenere la lingua di Veronesi da un impeto esageratamente severo che pure pulsa insistentemente, seppur vergato da una tenerezza che non di rado si mischia a una tristezza inconsolabile.
Settembre nero è un romanzo sulle conseguenze che si presenta in forma di catalogo che diviene a sua volta un repertorio utile alla memoria come alla sua indagine, ma al tempo stesso incapace di ogni possibile alternativa anche solo ideale o teorica. Quello che resta è infatti un’inadeguatezza comune, una maturità frutto di una pena esagerata, figlia di un contrasto acerbo tra vita privata ed evento pubblico e ancora tra evento privato e vita pubblica che non ha prodotto mai alcuna possibilità politica. Un impossibile dialogo che lascia sul campo una distanza irriducibile, dolorosa quanto ottusa.