E ve ha una fidanzata, Romi, vive a New York e lavora come cameriera, nonostante la sua laurea. Parla poco con il padre, ha vent’anni e un corpo che definiremmo canonicamente attraente. Per celebrarlo, si scatta dei nudi col telefono, che conserva nella galleria delle immagini. Quando decide di metterli su una piattaforma anonima, la contatta Olivia, pittrice che lavora per una non meglio specificata fondazione, e le propone di unirsi a lei e Nathan, che è insieme il suo capo e il suo partner. La trama di Servirsi, il romanzo di esordio di Lillian Fishman, potrebbe essere scritta da un algoritmo: ci sono la città, i social, i triangoli amorosi dalle dinamiche instabili, le asimmetrie economiche, il lusso trattenuto, il sesso, la sottomissione, la solidità delle relazioni monogame, l’imprevedibilità del piacere.
Chiaroscuro di Raven Leilani, Tempi eccitanti di Naoise Dolan e, ovviamente, Parlarne tra amici di Sally Rooney usano tutti questi stessi argomenti, come se fossero materiali minimi di costruzione per parlare del contemporaneo; versioni coscienziose dei romanzi di Bret Easton Ellis o di Jane Austen, vengono presentati come commentari sociali del presente, dai risultati alterni, ma che usano il sesso come strumento di indagine, la resa al piacere la bilancia su cui pesare il senso di impotenza politica, o il ripiegamento nel privato, il ricorso da parte dei protagonisti a soluzioni individuali per problemi collettivi.
All’inizio del romanzo, Eve dichiara “ero stata creata per fare sesso, probabilmente con un numero sterminato di persone. […] Ero troppo timorosa del mondo per uscire a farmi scopare, troppo tormentata da complessi, ricordi di ragazze di merda, paure di violenza”, eppure non è l’odio per sé stessa, né il senso di inadeguatezza a spingerla a condividere le sue foto, ma una vanità priva di senso di colpa: “ogni volta che ne scattavo una me ne innamoravo per un istante. Lì in piedi, spoglia e china sullo schermo, mi sentivo travolgere dal bisogno impellente di mostrare a qualcuno quella nuova replica del mio corpo”. Eve è the apple of her eye, la pupilla, luce dei suoi stessi occhi. È con questo minimo deragliamento che Lillian Fishman spinge un romanzo convenzionalmente attraente in un territorio più cupo e instabile.
Cosa accade quando il sesso viene usato non per normare o come strumento di smemoramento, ma come luogo di infinita vulnerabilità da parte di uno dei suoi partecipanti? “Avevo avuto la sensazione che il sesso fosse un oracolo. Una bocca della verità, ferma da qualche parte in attesa di smascherarmi”: Servirsi è la storia del disvelamento del desiderio della sua protagonista. Perché quando Eve accetta di incontrare Olivia e scopre che la donna vuole invitarla in un ménage à trois con un uomo, la sua prima reazione è chiederle se non pensa che gli uomini siano pericolosi. Le donne che decide di frequentare, inclusa la sua fidanzata pediatra, sono “rispettabili e di forti princìpi”, a cui quando aveva chiesto “se ero più bella o più brutta delle loro ex, mi avevano detto, non credo nelle gerarchie”.
Come ogni millennial coscienziosa, Eve è “stata addestrata a capire soltanto cosa evitare. Nessuno mi aveva chiarito bene ciò che contava davvero” e invidia “le persone profondamente religiose, che aderivano a un codice di comportamento che stabiliva cosa si poteva desiderare, cos’era giusto o sbagliato”; in assenza di un’altra guida, Eve si è sempre circondata di buone persone. Nell’accettare la proposta di Olivia, nell’entrare in una relazione puramente sessuale con Nathan, un uomo, si avventura per la prima volta in uno spazio in cui non sa cosa incontrerà.
L’espressione acts of service, titolo originale del libro, si usa nell’ambito relazionale per definire i gesti compiuti dal partner senza che vengano esplicitamente richiesti, per alleviare la pressione, procurare piacere. Per servizi di solito si intende fare la spesa, pagare le bollette, riparare un oggetto o andare a ritirare un pacco – piccole commissioni di questo genere. Questo è il modo in cui Nathan esprime il suo amore e quello in cui Olivia ed Eve desiderano riceverlo, ma Nathan non paga l’affitto di Eve né aiuta Olivia nella sua vita privata, piuttosto le accompagna entrambe al centro dei loro stessi desideri.
L’espressione ‘acts of service’, titolo originale del libro, si usa nell’ambito relazionale per definire i gesti compiuti dal partner senza che vengano esplicitamente richiesti, per alleviare la pressione, procurare piacere.
Per Eve questo desiderio ha a che fare con un ritorno narcisistico, con la nozione di vanità: come ricordava anche Elisa Cuter nel suo Ripartire dal desiderio, “rendersi attraenti per gli altri è diventata un’onta… la volontà di piacere agli uomini è una posizione conservatrice, un retaggio del patriarcato, un segno di sottomissione. Farlo per se stessi rappresenta invece il femminismo liberale dell’autoimprenditorialità e della cura del sé”. Quando all’inizio Eve scatta e posta le foto, lo fa “per sé”, ma, dirà poi, “per certi versi non ero mai stata davvero me stessa finché non mi ero spogliata nel soggiorno di Nathan. Quand’ero nuda pensavo: Ecco la ragazza che amo”.
“La vanità,” confessa Eve di Fishman, “nelle donne è un peccato talmente grande, e vergognoso in modo così spudorato e grottesco, che quando qualcuno trovava bello il mio corpo me lo diceva in tono particolare, a suggerire che lo stesso fatto di ammetterlo, al di fuori della tenerezza postcoito, fosse degradante e banale”. Non per Nathan, che invece gode nel trascinare Eve al centro di quel desiderio, nel renderlo trasparente a lei, anche quando destabilizza; “ogni volta che lo ascoltavo provavo insieme sollievo e paura” dice e ancora “odiai Nathan e al tempo stesso gli fui riconoscente per aver espresso ciò a cui non ero pronta a dare un nome, a cui mi serviva dare un nome”. Il conflitto che Eve prova è quello che Cuter indica con la Madre.
“La Madre è quella che Mark Fisher aveva chiamato la moralizing left, la sinistra colpevolizzante il cui scopo è ‘farti sempre sentire male con te stesso’, quella che ti fa sentire in colpa per il tuo desiderio sessuale, che non è mai abbastanza solidale (verso le tue sorelle se sei donna, verso le povere donne se sei uomo, verso le persone non binary se non sei pansessuale e così via), inclusivo, democratico”. In Fishman, “ci era stato detto che lo scarto tra obbligo e desiderio si era ridotto nei decenni precedenti, ma tutti sembrano concordare che l’assenza di obblighi non ci avrebbe resi liberi”.
Il rapporto che Eve intesse con Nathan e Olivia è triangolare, con Nathan al centro: le due ragazze si contendono la sua attenzione, ma la loro sottomissione al potere non è dello stesso segno.
Il rapporto che Eve intesse con Nathan e Olivia è triangolare, con Nathan al centro: le due ragazze si contendono la sua attenzione, ma la loro sottomissione al potere non è dello stesso segno. Olivia assume una posizione di assoluta impotenza: lavora per Nathan, pensa solo a Nathan, è completamente assorbita dalla sua presenza; accetterebbe ogni genere di degradazione pur di restare con lui e non si allea mai con Eve, al punto che l’altra finisce per avvertirla del pericolo a cui va in contro e che sembra ignorare. Olivia “non sembrava turbata dal modo in cui aveva imparato a vivere in armonia col suo desiderio. L’enorme incongruenza tra la sua vita e il suo desiderio – era quel dualismo ad arricchirla. Lo accettava. In fondo, le cose più importanti non sono sempre state segrete, condannabili?”
È diverso per Eve che deve imparare a integrare il suo desiderio con quello che le è stato socialmente impartito. “In qualche modo eravamo state educate a essere diffidenti verso tutti i corpi delle donne,” riflette quando capisce che le donne con cui ha fatto sesso “avevano sempre avuto paura del mio corpo, quasi potesse coglierci entrambe di sorpresa” – il suo corpo che è, vale la pena ricordarlo, esattamente il tipo di corpo che attira commenti. Fishman tanto è interessata a rendere complesso il desiderio che cancella ogni altra reale asimmetria: in questo libro tutti sono bellissimi e nessuno ha mai problemi di affitto o carriera – persino Eve è destinata a ereditare una marea di soldi.
Il punto di questo libro non è la contraddizione tra identità queer e relazione eterosessuale, eppure non può prescindervi.
Il punto di questo libro non è la contraddizione tra identità queer e relazione eterosessuale, eppure non può prescindervi: se anche Eve non definisce le sue preferenze sessuali a priori, Nathan è indubitabilmente un uomo e la loro relazione è legata a una dinamica di dominio maschile-sottomissione femminile. “Eccolo, il corpo che conoscevo soltanto in privato, il corpo che nascondevo alle donne. Mi ero sbagliata su tutta la linea? A dispetto di tutto ciò che avevo sempre creduto e pensato, il mio corpo era fatto per quello – per i normali, insistenti desideri degli uomini?” e ancora, “Nathan, dissi, se tu sai cosa fare di me, questa non è semplice misoginia, in entrambi?” gli chiede e lui risponde sorpreso “credevo di averti guarita da quella roba” e quando lei chiede cosa intenda per quella roba, se intende la sua vita, lui risponde “non dalla tua vita. Dalla politica. È questa, la tua vita”.
In questo senso Nathan assume il ruolo che Cuter dava nel suo libro all’alt-right: “quando si parte dall’idea morale della cura, degli altri o del sé, e non dal desiderio, si lascia uno spazio enorme alla colonizzazione del fascismo, di cui si comprende l’appeal: una resa alla deresponsabilizzazione, la risposta al bisogno di protezione, e insieme il brivido della trasgressione”. Nathan in questo libro non esiste veramente, è allo stesso tempo un’ideologia solida e uno spazio bianco in cui Eve non ha responsabilità, un uomo che vuole solo fare sesso, che lo fa in modo incredibile e che, guarda caso, non può essere ferito. È onesto, dice quello che pensa, esattamente come i leader di estrema destra.
In sua compagnia Eve arriva a chiedersi se “si può nutrire un amore che non sia autoreferenziale”, proprio perché si specchia in Nathan; addirittura, finisce per assumerne le fattezze con le altre ragazze: “ho qui quello che vuoi, le dissi, in tono così simile a quello di Nathan che la mia voce mi fece male per un istante. La ragazza gridò un po’, come se stesse spingendo fuori qualcosa a forza”. All’inizio di questo percorso Eve sente una sorta di euforia, quasi avesse trovato la chiave di volta del piacere, scoperto che non deve rinunciare a nulla, “né al mare né alla terra – non volevo rinunciare al luccichio della vita!” identificando con mare e terra, la sua bisessualità. Ma è la bisessualità la questione?
“Perché la vita rifulgesse al massimo del suo splendore, pensavo, servivano moltissimi partecipanti: servivano gli uomini, servivano le donne, servivano rispetto e spregiudicatezza, l’amore e la voluttà dell’odio”, a leggere il libro quello che emerge è solo lo spregiudicato egoismo di Eve. La trasgressione di cui parla sopra Cuter sta qui, nell’estrarre piacere dagli altri senza dare niente in cambio: tutte quelle donne e uomini sono in una funzione narcisistica, di accumulazione capitalista; il luogo in cui la porta Nathan non ha a che fare con una comunione, il loro sesso è strutturalmente individualista.
Alla domanda se esista (per Eve) un amore che non si autoreferenziale, viene da rispondere no.
Ci si può chiedere se esista un rapporto sessuale che non lo sia, ma alla domanda se esista (per Eve) un amore che non si autoreferenziale, viene da rispondere no. Persino Eve se lo chiede: “dovevamo o no ritenerci responsabili perché usavamo le persone come se esistessero soltanto per divertirci e soddisfare i nostri desideri?” e alla compagna non si sogna nemmeno di raccontare della sua relazione con Nathan, neppure nel momento in cui viene lasciata. Si risponde in modo consolatorio che “non potevamo nemmeno vivere con altruismo, con la stessa fede in noi di quegli uomini vecchio stampo”.
In questa rivoluzione monca, Eve sembra capace di esercitare la propria ambivalenza solo contro la solidità di qualcun altro: non concede agli altri lo stesso grado di ricerca che lascia a sé perché è incapace di vedere gli altri o, forse, perché il bisogno di violare un comandamento, di sottrarre spazio per sé è più forte del resto.
Ha bisogno dell’amore incondizionato di Romi, del desiderio senza pretese di Nathan dell’amicizia senza giudizio di Fatima, la sua coinquilina, per diventare sé stessa, come fossero le corsie di una piscina in cui allenarsi. “Quand’ero con Romi,” dice, “avevo sempre una sensazione precisa… che la mia vita sarebbe stata calda e accogliente, sicura, con qualcuno a farle da testimone” e di Fatima, “di fronte alla sua stabilità, che sembrava venirle del tutto spontanea, ero al tempo stesso invidiosa e sconcertata”. Non riesce a perdonare gli scarti da queste identità fisse che ha scelto per loro: quando Romi mostra di avere dei dubbi sulla loro relazione, pensa “era buona e generosa – perché mai avrebbe dovuto essere attanagliata dall’incertezza?”e quando Nathan le confida un segreto, reagisce con una delusione violenta, “non sei la persona che credevo. Per niente. Pensavo che fluttuassi attraverso le cose della vita per conto tuo – ti immaginavo così indipendente”.
Eve non vuole passare dalla moralizing left del Fare la Cosa Giusta a un terreno in cui a ognuno è permesso di poter fare la propria esperienza di vulnerabilità: l’unica a cui lo concede è lei stessa, perciò si affida a Nathan. C’è un’intera splendida conversazione tra Mary Gaitskill e Lillian Fishman pubblicata sul substack di Gaitskill su questo libro e non è difficile capire perché all’autrice di Cattiva condotta Fishman piaccia: come aveva fatto a suo tempo lei con Secretary, Fishman sguazza in una sessualità che non è luminosa, in cui i propri desideri si scoprono anche dovendo poi ricostruire il senso di sé. C’è una cosa che Gaitskill nota però: non esistono uomini così gentili e premurosi come Nathan, che conducono alla propria ombra con il rispetto e l’attenzione che lui pare emanare. Quel tipo di guida è quella che si è storicamente concessa a uomini come il Quin del suo Questo è il piacere, l’editor newyorchese in cima alla piramide alimentare che viene spodestato dal #MeToo; uomini che hanno dimostrato magnanimità perché avevano il predominio, guidati non dalla generosità ma dall’abitudine a prendere il comando. Fishman è molto meno capace di mettere a fuoco questa ambivalenza, tanto concentrata è a costruire Eve, che si scorda degli altri personaggi. Eppure sentiamo qualcosa di oscuro provenire da Nathan, l’idea che potrebbe aver preso a forza qualcosa da Eve, senza che lei lo abbia accettato, che è più della dominazione consensuale a cui si è sottoposta.
Ho sempre rispettato i tuoi desideri – non solo li ho rispettati, in realtà, ma intuiti, scoperti, per fartene dono. È vero?
Sì.