D ue cavalli sono lanciati all’inseguimento di un bambino, che terrorizzato scappa, inciampa, cade, si rialza, ricomincia a correre e viene finalmente sollevato per il collo da uno dei cavalieri e trascinato a rasoterra fino a dei cespugli spinosi. Il bambino si chiama Rafael, ha quattro anni, ed è il più piccolo di una famiglia di allevatori nella pampa argentina. Le persone da cui fugge sono i due fratelli maggiori, i gemelli Mauro e Joaquin. Dargli la caccia è il loro passatempo preferito.
Si apre con questa scena Resta la polvere, primo romanzo di Sandrine Collette uscito in Italia per edizioni e/o. L’autrice, già famosa in Francia per i suoi noir, passa dai ghetti malfamati di Les larmes noires sur la Terre e dai paesaggi rurali tra Albania e Montenegro di Six fourmis blanches a un’ambientazione ancora più selvaggia. La scena si svolge in Patagonia, tra fine Ottocento e inizio Novecento. Rafael, i gemelli e il fratello Steban, detto lo scemo, vivono insieme alla madre in un’estancia dove allevano pecore, vacche e tori. Il padre li ha abbandonati, lasciandoli in balìa di stagioni scandite dalla transumanza delle bestie, dalla tosatura, dal macello e dalla vendita. Le giornate trascorrono in un equilibrio plasmato dalla forza degli elementi, che portano subito alla mente la Patagonia di Chatwin, quella dove non si sente “nessun suono tranne quello del vento, che sibilava tra i cespugli spinosi e l’erba morta, nessun altro segno di vita all’infuori di un falco o di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca”.
È in questo spazio sconfinato che si svolge un dramma A porte chiuse degno di Sartre. Pur circondati da distese che si allungano a perdita d’occhio, i personaggi vivono come prigionieri nell’estancia. Oppressi dall’orizzonte vasto e vuoto dentro cui si muovono, senza un albero o un’altura a limitare la vista e a trascinare la fantasia verso luoghi lontani, i fratelli si ripiegano su se stessi e sulla fattoria governata con pugno di ferro dalla madre, una casa dove “le porte sono fatte per essere aperte con furia, quasi scardinate, in sintonia con gli strilli”. I personaggi si torturano a vicenda con aggressioni fisiche, umiliazioni, silenzi, insinuazioni: non riescono a liberarsi dalla rete di crudeltà con cui vogliono sottomettersi a vicenda. “L’inferno sono gli altri”, diceva appunto Sartre nella sua opera teatrale, e l’estancia diventa un luogo infernale da cui è impossibile scappare. Chi ci vive, però, non se ne rende conto:
‘I ragazzi dicono che la tua estancia è l’inferno in terra’. Joaquin si gira verso il gregge, perplesso. L’inferno. Ora cos’è questa storia che conoscerebbero la fattoria e la madre, che parlano di casa sua come di un abisso?”.
I rapporti famigliari sono snaturati al punto che i fratelli tengono più al bestiame che l’uno all’altro, e tutto il loro affetto si riversa sui propri cavalli, che incarnano quella libertà che a loro è negata. Quando due dei criollos fuggono, Rafael “immagina Jéricho e Nordeste imboccare il cammino che esce dall’estancia trottando sulla terra e sui sassi con il naso all’aria, liberi, diretti a ovest, verso le mesetas, con la faccia al vento. Giorni interi prima di incrociare anima viva. Per un attimo li invidia. Al posto loro non tornerebbe più.”
Con uno stile asciutto che descrive con uguale precisione i paesaggi brulli della steppa e l’atmosfera claustrofobica della fattoria, Collette indaga la psicologia dei suoi personaggi, cambiando punto di vista di scena in scena. Leggiamo in prima persona della vita misera dei protagonisti e delle ingiustizie che hanno subito, ma resta difficile capire la loro violenza. La catena di crudeltà che si riversa da madre a figlio a fratello sembra gratuita, esagerata, resa forse inevitabile dal clima estremo della pampa. L’unica speranza di redenzione, inaspettatamente, la concede proprio quella natura che sembra aver logorato la vita della famiglia. Di tutti, ma non di Rafael, il piccolo, che:
è diverso dagli altri e a lui piace la routine faticosa, mangiare, le bestie, la lana, di nuovo mangiare con i profumi di spezie e la carne grigliata, le pecore, i belati che quasi lo cullano quando la stanchezza si fa sentire troppo.
Come In Patagonia di Chatwin, incontriamo l’umanità di questa terra alla fine del mondo. C’è il banchiere tradito dalla moglie, i vecchi allevatori che vincono e perdono a carte i guadagni di un’intera stagione, il bandito che fugge con il denaro del suo padrone. Sono personaggi da Western, schivi e ruvidi, che hanno con la natura un rapporto assoluto, simbiotico e respingente al tempo stesso. Il vento della pampa esaspera gli istinti degli uomini e poi li ridimensiona; fa scoppiare la bolla di violenza, tensione e odio e poi riporta l’ordine. Finché non resta che la polvere.