I l dibattito è acceso, da anni ormai, sulla diffusione di memoir, auto-fiction e testi dichiaratamente autobiografici, nonché sulle differenze che intercorrono fra queste tipologie di scritti, che tutte hanno in comune almeno un aspetto: la presenza di un io narrante, più o meno coincidente con l’autrice o con l’autore, che è protagonista della vicenda narrata, nella maggior parte dei casi in prima persona. L’ultimo libro di Caterina Venturini Quchi. Quello che ho ingoiato, edito da e/o, è un romanzo di ispirazione autobiografica. A renderlo diverso, unico sarebbe meglio dire, nel panorama della narrativa italiana contemporanea, è l’approccio di Venturini proprio rispetto all’identità narrante. In Quchi esiste un io, protagonista di pagine scritte in prima persona, ma c’è anche Carla Longhi, alter ego dell’autrice. Carla e l’io di Venturini dialogano, si interrogano e pungolano a vicenda, dando vita entrambe a un romanzo che si fonda su una prospettiva dialogica. Nella tradizione filosofica occidentale il dialogo, si sa, è lo strumento per la ricerca della verità e nella tradizione femminista italiana la relazione fra donne è il fondamento della pratica politica. Attraverso la struttura duale e dialogica del testo, Venturini ricerca la verità sul perché abbia abbandonato l’Italia per trasferirsi a Los Angeles e analizzandosi con spietatezza indaga il suo femminismo.
In Quchi la prima relazione è quella col sé, con Carla appunto: “‘Siamo pieni di ritratti di inadeguatezza come questo. Lo capisci?”, dice Carla alla sua autrice. “Sì lo capisco’”. Loro si intendono, ma con lettrici e lettori Venturini adotta come unico criterio quello dello spiazzamento: non rivela perché alcuni episodi della vicenda narrata siano raccontati da Carla e altri dall’io narrante, né le ragioni per le quali la personaggia compare al posto o accanto all’autrice. Ciò che si desume, o meglio che si assume, leggendo il romanzo, è che l’identità è un prisma imprevedibile. Il talento di Venturini sta nel riuscire a inscrivere questa verità nel piano cartesiano della realtà, cioè nello spazio e nel tempo.
Per esempio, il racconto dell’aborto spontaneo accaduto durante le vacanze di Natale in Italia si compone della narrazione alternata di tre luoghi e tempi, con svariate personagge: Los Angeles, Umbria, Roma, Io, Carla, la donna, sua madre, l’amica che sarei io, Lù. A Los Angeles le diverse voci dell’autrice cercano ricovero e conforto dalla perdita di quella che credevano sarebbe stata una bambina, guardando un film; in Umbria vivono l’esperienza dell’espulsione del quasi feto, raccontata magistralmente; a Roma fanno compagnia all’amica Lù, che è appena tornata a casa con il suo terzo figlio e che da lì a poco morirà di cancro. Il racconto dei tre tempi dell’evento, il futuro, il presente e il passato dell’aborto, nonché l’invasione di campo di tutte queste personagge, sono fondamentali per raggiungere la maggiore consapevolezza possibile rispetto a ciò che è avvenuto, il dolore, la maternità e la perdita, perché: “non posso permettermi che voi non capiate”, scrive Venturini rivolgendosi a lettrici e lettori.
La meta-narrazione, in effetti, è un dispositivo narrativo che ha come obbiettivo quello di rendere chi legge consapevole del processo creativo e di incrementare in qualche modo il grado di verità delle storie raccontate: “le storie vere, per essere vere, devono riconoscere il processo della narrazione; la riflessività, attraverso la finzione, rappresenta una modalità di accesso al mondo” scrive la critica letteraria australiana Wenche Ommundsen. Venturini si serve dello strumento meta-narrativo anche per indagare il suo modo di essere femminista, offrendo a chi legge un grado di consapevolezza molto raro, nonostante il tema sia attualmente all’onor del mondo. Anche in questo caso, la ricerca della verità si struttura attraverso sovrapposizioni e contraddizioni identitarie: “ha sempre dato la precedenza a giovani donne che viaggiano sole e minchia, quanto sono stronze. Non può più nascondersela questa media di donne oltremodo esigenti”. Carla gestisce una stanza che il marito ha costruito accanto alla loro casa a Los Angeles, visto che negli Stati Uniti non riesce a trovare un lavoro e un’identità, ça va sans dire. Quando Phyllida, una giovane ospite, lascia la sua recensione, Carla teme che sia negativa, ma di più ha paura, visto che non può leggerla prima di scrivere lei stessa un commento sulla ragazza, di fare come al solito, di lodare una donna che teme e che vorrebbe invece saper biasimare:
Non riuscirà a non tentare la conquista della roccaforte dell’altra, anche e soprattutto quando sa che la partita è già persa. Come se tutto si svolgesse sempre altrove, come se quelle sue parole fintamente positive sull’altra fossero un ennesimo modo per sedurla non dicendo la verità e proprio per questo non mettendosi in gioco, per avere il controllo non soltanto sulla propria ferita ma anche su quella altrui.
Su cosa si fonda allora la pratica politica di Venturini, di Carla, dell’io narrante che racconta di un dottorato in studi di genere, di anni di pratica politica femminista?
Lisa è Laura e ha gli occhi azzurri, Laura è Valentina e ha i capelli lunghi, Valentina è Deana e ha la bocca carnosa, Deana è Kate con il naso che è una miniatura […] C’era sempre stata una Lisa e poi una Laura, e poi una Valentina e una Lù su cui appuntare lo sguardo, c’era stata sempre una ragazza, una donna, un’amica, una sconosciuta accanto a Carla da poter guardare per così tanto tempo da non aver bisogno di specchiarsi come Narciso.
In questa pagina che ha del miracoloso, Venturini scrive che la sua pratica e la sua formazione femministe nascono dal desiderio dell’altra, dal piacere di vedere le altre donne e di riconoscersi in loro. Il desiderio delle donne è stato analizzato, raccontato, decostruito e costruito come concetto filosofico in Italia, soprattutto dal femminismo della differenza, tanto vituperato quanto sconosciuto e è tuttora inevitabilmente al centro del dibattito, come dimostrano, per esempio, Ripartire dal desiderio di Elisa Cuter e i vari panel organizzati sul tema.
In Quchi Venturini ritesse il filo di questo concetto, raccontando che la sua pratica politica nasce dal desiderio di essere in relazione con le altre donne, assunto rivoluzionario, considerato che il femminismo, nonostante la tanta strada fatta, continua a essere soprattutto empowerment e quindi potenziamento del sé: “sono diventata anche io come quegli uomini? Sono io quell’uomo? È questo il privilegio che ho conquistato?”.
Infine: Quchi è un romanzo sulla relazione con la scrittura, sui fallimenti desiderati e quelli da digerire, sulla pulsione di scrivere. Carla e l’io di Venturini sono d’accordo sul fatto che questo, il quarto, sarà l’ultimo libro: “cosa daresti in cambio per non avere mai avuto la malattia della parola? Per non scrivere più? Saresti disposta a dar via anche il nuovo naso in cambio del vecchio, se questo ti assicurasse una vita libera dalla smania e dalla ridicolaggine di venire qui a scrivere?”. Si spera di no.