L’ esordio di Eva Baltasar ha tratti di non originalità: è in prima persona e la protagonista non ha un nome, perché l’io narrante non si distacca mai abbastanza dalla materia raccontata da rendere possibile la distanza necessaria alla nominazione. Si tratta, come in molti esordi, anche per questo, pubblicato in Italia da Nottetempo, della messa in parola, stampata, di tante riflessioni e piccoli aneddoti, tutti rigorosamente dell’ordine delle inezie della vita quotidiana della protagonista. Nel romanzo ritorna spesso il rapporto con la madre, difficile o meglio fastidioso, l’insopportazione nei confronti della sorella: “cretina, cretina, cretina, cretina”, colpevole non solo di non avere la stessa raffinatezza intellettuale della protagonista, ma di essere serena all’interno di una vita regolare o banale, quella di una famiglia eterosessuale. Il testo è quindi almeno in parte costituito dal racconto di questioni non rilevanti.
Invece, nell’esperienza della lettura, le questioni non rilevanti diventano significative. È il tono della narrazione che riesce a densificare anche la descrizione di fatti che hanno talvolta la natura del lamento. Ci riesce, in primo luogo, per l’originalità dello sguardo che si connota per una sprezzante nota noir: “voglio vivere alla pari per sempre e mi vengono certi pensieri bizzarri, come quello di razionargli il cibo. I bambini rachitici rimangono piccoli più a lungo […] Per quanto potrebbe rivelarsi inutile, varrebbe la pena provarci”. La protagonista ha dovuto abbandonare l’abitazione che la zia le aveva prestato durante l’università e ha seguito il consiglio di un’amica, andando a fare la ragazza alla pari. Si tratta di un lavoro che la impegna molto poco e le permette di passare, come faceva nel suo vecchio appartamento, la maggior parte della sua giornata leggendo. La comodità di questo impiego, però, non solo non viene raccontata facendo riferimento al fatto che lavorare coi bambini non le pesa: i due ragazzini, che sono la ragione per cui può godere dell’ozio della lettura avendo anche un tetto sulla testa, diventano protagonisti di un pensiero nefasto, in cui lei li affama, di un cinismo profondo e simpatico.
Il tono di Baltasar ha infatti una connotazione ironica:
un suicida realizzato al giorno d’oggi è un eroe. Il mondo è pieno di persone prive di scrupoli che hanno studiato il primo soccorso, sono dappertutto, discrete e grigie come femmine di piccione, ma aggressive come madri. Sfidano la morte degli altri con massaggi cardiaci e precise manovre […] Sono una banda di ladri, non puoi più nemmeno permetterti di mandar giù un nocciolo di oliva nel canale sbagliato.
I passi in cui Eva Baltasar fa sorridere sono frequenti. In questo brano, poi, il lettore resta anche stupito: quando mai coloro che si occupano delle emergenze del primo soccorso – medici, badanti, infermieri, ecc – vengono raccontati come una masnada di criminali, intenti a negare a un aspirante suicida il suo sacrosanto diritto di uccidersi? La morte, il suo ricorrere ossessivo nel romanzo, è un altro dei modi in cui Baltasar densifica il racconto della sua vita di giovane donna che si è laureata, ma alla facoltà sbagliata, e ha penato per trovare un lavoro che le piacesse e soddisfacesse anche le ambizioni della madre; che ama fare sesso, ma non resiste nella coppia.
Da segnalare anche i racconti di sesso. Anche in questo caso, le cose che si fanno di solito, scrivere di sesso e morte per vivificare il tedio dei conflitti familiari e dei fallimenti giovanili, Balthasar le sa fare:
La sua lingua era un’altra persona, schiava del mio piacere, che conviveva in lei. Mi parlava, mi scopava e mi continuava a parlare quando a scoparmi era Roxanne, non lei. Animale semi-addomesticato, eppure testardo e selvaggio quando si addentrava nella mia fica […] Poteva passarci una notte intera, come una leonessa ipnotizzata da una ferita.
Avviene allora che la compagnia della voce narrante sia desiderabile, che si abbia voglia di leggere delle peripezie della protagonista con le amanti, del suo desiderio di morte, che anche il suo blaterare acquisti un senso perché Baltasar è stata capace di comporlo come un arazzo: non è necessario, ma è bello. A far credere che l’efficacia di questo romanzo non sia un risultato casuale è la costruzione del tempo realizzata attraverso la scrittura: nel testo avvengono continui passaggi che a volte rendono impossibile decifrare quale sia il presente del racconto, ma il romanzo ha un suo tempo, una contemporaneità solida che denota l’abilità della scrittrice. E se l’ironia è un dono da non dare per scontato, l’agilità è un pregio che è impossibile non apprezzare.