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empelhof è uno dei tre aeroporti di Berlino, situato in un’area abitata nel sud est della città e inattivo dal 2008. È uno dei pochi edifici d’architettura fascista rimasti in piedi dopo la guerra. Qui, per quasi un anno nel 1948, fu attivato un ponte aereo per rifornire la popolazione costretta in isolamento dall’esercito sovietico. Oggi è un immenso parco perlopiù privo di alberi. Le sue piste d’atterraggio sono attraversate da corridori, windsurfer su skate, famiglie. Nel 2014 un referendum cittadino lo ha dichiarato off-limits a progetti di speculazione edilizia e l’anno successivo gli hangar dell’aeroporto sono stati trasformati in centro accoglienza per migranti. È un ex non-luogo: avvicinandosi dalla viuzze che vi terminano in cul-de-sac, si ha l’impressione di raggiungere la riva del mare. Qualcuno ha ribattezzato la sponda orientale “Riviera di Neukölln”, nomignolo che descrive l’anima sociale ed edonista del quartiere e per estensione della città intera.
È a Tempelhof che Elvia Wilk (1989) situa il suo romanzo d’esordio, deformandolo in chiave fantascientifica e sfruttandolo come trampolino allegorico per una serie di temi sia squisitamente berlinesi che globali. Se l’ex aeroporto è comunemente definito un Feld, un campo, quello di Oval – edito ora in italiano da Zona 42, nella traduzione di Chiara Reali – è una Berg, una montagna. Wilk, già nota nei giri di architettura e arti visive come editor e critica, prende in prestito un progetto sviluppato nel 2009 da Jakob Tigges alias Mila Architects, che immaginava di innalzare una montagna alta mille metri là dove si estende oggi il parco, in alternativa polemica con gli skyline architettonici di altre metropoli. In Oval la montagna è popolata da alcune unità abitative completamente ecosostenibili, del cui mantenimento – secondo il principio del non sprecare nulla – sono responsabili gli inquilini tramite un complesso sistema di monitoraggio e smistamento dei rifiuti. Una smart city organica (mal)gestita dalla Finster Corporation, l’informe azienda che possiede numerosi edifici in città e impiega buona parte dei cittadini in ibridi quanto indefiniti ruoli di “consulenti”. Protagonista è Anja, giovane scienziata che convive col fidanzato americano, Louis, in una di queste abitazioni. I fatti sono divisi tra “un Prima” e “un Dopo”, termini interiormente stabiliti da Anja per descrivere il cambiamento di Louis di ritorno dal funerale della madre. Insospettita dalla sua apparente impassibilità al lutto, Anja avvia un’indagine emotiva e psicologica della fragilità della coppia. Finché Louis non rivela il progetto che sembra assorbire tutte le sue energie: una droga che induce il consumatore a essere più generoso, a sballarsi di altruismo.
Solo al termine del romanzo i due confini temporali assumeranno un significato epocale. Wilk, che dell’universo New Weird è esegeta e divulgatrice, sembra praticarne le norme stilistiche più in senso decorativo e ironico che strutturale. Se rigetta il genere fantascientifico, non rifiuta la speculative fiction ma propone un alternativo “reality-adjacent” forse con l’intenzione di poeticizzare quei particolari troppo realistici per il lettore locale. Emerge in questo senso un aspetto curiosamente inedito a livello romanzesco, e cioè l’idea di Berlino come città sui generis e laboratorio di eventi già esacerbati altrove, come la gentrificazione a opera di anonimi gruppi d’investimento, la consapevolezza ambientale tradotta in greenwashing, l’arte al servizio del branding. Nello specifico il lavoro di Anja consiste nello sviluppare una membrana cellulare “coltivabile, riproducibile, scalabile, durevole” che la Finster può impiegare facilmente ovunque, riunendo così in una sola azione materia organica, bioeconomia, l’applicazione di modelli di crescita propri dell’industria informatica, e bieco capitalismo. Eppure Berlino “è l’unico posto tranquillo rimasto” dice Anja. Un’amica meno politicamente consapevole ma anche meno benestante, la corregge, notando che “la città non è più post-bellica, post-muro. È pre-qualcos’altro”.
Nelle sue declinazioni generazionali, Oval di Wilk vale forse come il “Goodbye to all that” di Didion. Ma allo stesso tempo il graduale distacco dalle abitudini giovanili che governano la città rivela fenomeni importanti al di là del contesto narrativo.
L’atto di partecipare alle feste era diventato un atto di produzione: stavano producendo relazioni, relazioni come oggetti. E oggetti come opportunità. Il contenuto era subordinato
pensa Anja, dimostrando come Oval vinca soprattutto sul piano linguistico-formale. Il libro è disseminato di falsi manoscritti che svelano come forme di potere e alienazione agiscano tramite il linguaggio o ispirandosi alle sue mutazioni. Accordi di riservatezza sono firmati da diversi personaggi. Anja si trova a vagliare una “Relazione degli Amministratori, una chiara spiegazione narrativa, dal punto di vista del management, della performance aziendale durante il periodo coperto dal piano di innovazione strategica, e delle condizioni e prospettive future della vostra azienda in relazione alla velocità di innovazione”. Comunicati stampa vengono branditi indistintamente da aziende e gallerie d’arte, trasformandosi in content marketing sui quotidiani generalisti e facendosi valere come giustificazione ultima degli eventi, come unico “dispositivo formale che segnalava una continuità tra il vecchio e il nuovo sistema”. La loro astrusità viene apertamente sbeffeggiata tramite un personaggio che commenta una performance-lancio di prodotto: “si interroga su… non so, le nozioni di autenticità nel mondo occidentale. Come segni gestuali che dovrebbero, forse, fornirci tipo, un ciclo di retroazione in una rete di ecologie di bellezza? E, tipo, altre modalità di interazione concepite come flussi di dati?”
Più il linguaggio generalizza, meno significa. Quando ritorna prosaico, lo fa con le emoji, di cui Wilk offre breve e ilare semantica:
– Rispondi qualcosa di evasivo.
– Un delfino?
– Bene.
Il carattere speculative del romanzo si rivela in invenzioni che talvolta interiorizzano visioni culturali, come l’animismo e l’antropocene, di cui certe istituzioni berlinesi sono state incubatrici. Il clima della città non segue alcuna stagione o ciclicità: “i quattro segmenti divisi dell’anno si erano del tutto fratturati prima in mesi e poi in settimane e poi in giorni e forse ormai addirittura in minuti”. Una condizione meteorologica per cui un amico di Anja diventa una specie di influencer che condivide ogni giorno haiku per annunciare la temperatura: “secco sahara / cieli di sheherazade / 35°”. Nel monologo interiore questi dettagli assumono risonanza più generale: “Anja fu colpita da come la distinzione tra notizie e dicerie fosse diventata così sottile da essere quasi inesistente. A partire dal meteo, ogni cosa poteva essere ridotta a gossip. Forse il servizio meteo di Dam era davvero, come sosteneva lui, il futuro delle news”. Soprattutto, il mondo di Oval è diviso tra due classi di persone: gli investitori e i consulenti, che eseguono con più o meno spirito critico mansioni volte a coltivare gli interessi dei primi. Chiunque può diventare consulente e gli artisti sono candidati favoriti poiché anticipatori, in senso estetico, del prossimo Zeitgeist.
Il vero valore degli artisti stava nella loro vicinanza all’avanguardia, ovvero al futuro, ovvero alla prossima nicchia dove espandere il mercato. La hall di un’azienda poteva essere piena di oggetti d’arte, ma il management comprese che c’era bisogno degli
artisti all’interno dell’edificio per avere il polso della situazione.
Ispirandosi a collettivi come DIS e Nemesis, che offrono consulenza artistica a marchi commerciali, e alla logica di recruitment della Silicon Valley, che lusinga il personale con paghe e libertà infinite, Wilk immagina un sistema sociale basato sulla capacità del singolo di rimanere assunto in quelle sparute corporation che detengono il monopolio non solo sugli immobili, la crescita economica e il mercato del lavoro ma anche sull’esistenza stessa. Durante una festa la protagonista si imbatte in dei piccoli crani raggrinziti, esibiti su plinti e protetti da cubi di plexiglas.
Le teste, suppose Anja, erano i consulenti morti prima della scadenza del loro contratto, le cui teste erano l’unica cosa rimasta agli investitori. Era esecrabile ma non scandaloso. Seguiva la logica di un sistema in cui l’intera vita di una persona era parte del portfolio investimenti di qualcun altro.
Sarà questa divisione a fornire i presupposti per la diffusione dell’oval, la droga filantropica concepita da Louis per risolvere le diseguaglianze sociali. Oval si conclude da una parte cedendo a certe convenzioni del genere, dall’altra offrendo una parabola specifica su Berlino (rivelando così la natura esordiente del romanzo). Ma a differenza di entità che vendono anticipazioni con la presunzione di conoscere il futuro, Oval non offre soluzioni o pronostici. Se si fa rileggere è perché ha il merito di cogliere spunti sul presente, di esibire il perturbante che già popola il nostro privato e globale quotidiano.