O livo Barbieri ha sempre lavorato sulle superfici, fotografando la forma esterna di luoghi e cose, che fossero le tavole di legno colorate di vecchi flipper abbandonati, i dettagli materici di tele custodite al Louvre o i labirinti di superstrade e grattacieli delle metropoli. La superficie nella fotografia di Barbieri ci fa riflettere sull’idea che sta dietro a una costruzione umana, e su quella soglia oltre la quale non si riesce più a capire perché una città o un paesaggio abbiano assunto la forma che hanno e non un’altra. “Tutto il mio lavoro vuole essere un tentativo di scoprire come mai l’uomo ha dato questa forma al mondo attraverso il costruito”, ha detto Barbieri in un’intervista che accompagnava la sua retrospettiva al MAXXI di Roma inaugurata nel maggio 2015. “Qual è il meccanismo ciclico? Se ce n’è uno cinese, se ce n’è uno americano, se ce n’è uno italiano, oppure se è proprio quello nostro, animale.”
Ma cosa succede alla forma che diamo alle cose quando queste vengono colpite da una catastrofe? Barbieri ha riflettuto in tante occasioni sul paesaggio danneggiato, e il risultato è Italian Quakes and Other Diseases, un volume edito da Danilo Montanari che raccoglie fotografie fatte da Barbieri in diverse città italiane colpite da terremoti dagli anni Ottanta a oggi: Noto, Napoli, Gibellina, L’Aquila e Reggio Emilia. I sismi sono l’occasione per vedere quanto drasticamente lo sguardo di Barbieri è mutato nel tempo: un interno signorile fotografato a Napoli nel 1982 riassume i danni del terremoto con un’enorme crepa su una parete, attorno alla quale sta appesa un’elegante cornice dorata; trent’anni dopo i danni del sisma in Emilia ci vengono mostrati con delle vedute aree in cui gli edifici crollati sembrano cumuli di polvere spazzata accuratamente e messa da parte.
Il costruito è stato il tema centrale di site specific, l’opera fotografica portata avanti dal 2003 al 2013 fotografando città di tutto il mondo: New York, Los Angeles, Shanghai, Brasilia, Istanbul, Roma, una lunga lista di agglomerati urbani che Barbieri ha scelto di osservare dall’alto, cercando di comprendere, o almeno di contenere la dispersione metropolitana dentro un’inquadratura. Spesso quello che emerge è il paradosso di forme avulse costrette a convivere tra loro: grattacieli che incombono su vecchi caseggiati, megalomanie architettoniche calate sul territorio come delle astronavi, alveari residenziali privi di contorni definiti.
La bellezza straniante dei terremoti di Barbieri racconta un mondo deserto, senza traccia di vita umana: la loro eleganza e ricchezza di informazioni è un monito.
Il danno al paesaggio diventa il modo in cui mostrare la fragilità di queste ipertrofie architettoniche, ed è per questo che il nuovo volume di Barbieri presenta anche delle immagini realizzate a Detroit e New Orleans: Quakes and Other Diseases, recita il titolo del libro, terremoti e altre malattie, o disfunzioni, come le chiama Barbieri nell’introduzione al volume. La disfunzione dell’economia di Detroit espressa con l’immagine dall’alto di una fabbrica abbandonata, il tetto sfondato esattamente come le cattedrali crollate a L’Aquila e Reggio Emilia; oppure una strada sterrata a New Orleans circondata da entrambi i lati da una montagna di carcasse di automobili, un fiume di metallo che conserva l’impronta dell’uragano del 2005.
Vista dall’alto, la forma della distruzione non sembra tanto più arbitraria delle foreste di cemento delle megalopoli sorvolate dall’obiettivo di Barbieri, ed è questo forse l’elemento più significativo di Italian Quakes. “Ogni terremoto ha due momenti apicali: le rovine post evento e la ricostruzione. Questo libro è una piattaforma di discussione paradigmatica”, scrive Barbieri nell’introduzione. Lo sguardo sovrumano della visione aerea rivela come un paesaggio danneggiato non si differenzia molto da una foresta in cui gli alberi caduti si reintegrano comunque nella vegetazione, venendo assorbiti e utilizzati di nuovo dall’ecosistema: non c’è devastazione che non possa essere riassunta fotograficamente in modo efficace, il vero problema è il doversi chiedere come si sia permesso che quella catastrofe lasciasse dei segni così violenti.
La bellezza straniante dei terremoti di Barbieri racconta un mondo deserto, senza traccia di vita umana, e la loro eleganza e ricchezza di informazioni funziona come un monito. Il paesaggio ferito trova sempre il modo di ritrovare un equilibrio: il vero problema è che quel nuovo equilibrio potrebbe non avere più spazio per ospitare le nostre vite.