S i dice che le cose vadano viste dalla giusta distanza, che a volte sia necessario allontanarsi per metterle meglio a fuoco. La creazione di un punto di osservazione separato e distaccato, infatti, permette di rendere visibile ciò che è solitamente invisibile. Questo principio vale per gli eventi particolari delle nostre vite, come per le convinzioni e le idee che circolano in società con il passaporto di posizioni “neutre”, “normali”, “naturali”.
L’operazione straniante messa in atto dal genere della fantascienza, da questo punto di vista, ha il merito di farci riconoscere che situazioni che neanche prendiamo in considerazione tanto ci sembrano scontate, potrebbero non essere poi così naturali. Da una prospettiva femminista, offre il vantaggio di guardare al sistema patriarcale, ai rapporti tra i sessi e ai ruoli di genere attraverso una lente che ne mette in discussione la presunta neutralità.
Katharine Burdekin ne La notte della svastica (Sellerio) si rivolge appunto al genere distopico per esaminare la costruzione sociale dell’identità, le radici della misoginia, e il legame che intercorre tra sessismo, culto della mascolinità e ideologie totalitarie.
Il romanzo, pubblicato in Inghilterra nel 1937, a due anni dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale, sotto lo pseudonimo di Murray Constantine, prefigura uno stato totalitario, ferocemente espansionistico, razzista e misogino. La vicenda si svolge settecentoventi anni dopo che la Germania nazista e l’alleato Giappone hanno vinto la guerra spartendosi il mondo tra l’impero tedesco, retto dai Cavalieri, e quello giapponese, retto dai Samurai (scenario a cui attingerà nel 1962 Philip K. Dick per La svastica sul sole – The Man in the High Castle). Sul suolo nazista gli ebrei sono stati sterminati, i cristiani ridotti a paria, Hitler è al centro di un culto religioso e le donne sono state “ridimensionate” alla sola funzione riproduttiva.
Anticipando l’imminente conflitto mondiale, il totalitarismo e la violenza di Stato, Burdekin costruisce un’ucronia in cui la dimensione politica si intreccia a quella di genere, piantando il seme per le future opere di fantascienza e distopia femminista che ruotano intorno al tema della riproduzione e del corpo femminile come terreno di scontro politico. Ne La notte della svastica la vittoria del nazismo ha portato all’istituzione di un sistema che celebra la superiorità dell’uomo (nazista) su tutte le altre creature e un ideale maschile che ruota intorno alla forza fisica, all’aggressività e alla predominazione.
Le donne sono estromesse dal quadro sociale, tollerate ai margini solo in virtù della loro capacità riproduttiva. Dei figli che partoriscono sono autorizzate a veder crescere solo le femmine, destinate a diventare ulteriori corpi macchina al servizio dell’impero, mentre i maschi, raggiunti i diciotto mesi vengono consegnati ai padri per essere educati. Alle donne non è riconosciuta questa facoltà e, del resto, non sarebbero in grado di esercitarla avendo perso qualunque tratto di umanità.
Le descrizioni che le riguardano, non a caso, attingono al vocabolario usato per riferirsi al mondo animale, e le raffigurano come bestie in gabbia, confinate in quartieri-ghetto dove sono sottomesse alla volontà maschile e al loro compito di generatrici. Intrecciando culto della mascolinità, politiche totalitarie e sottomissione delle donne Burdekin mette a nudo il potenziale misogino del quadro sociale a lei contemporaneo; l’ideologia nazista appare infatti come l’estrema conseguenza del culto della mascolinità e della polarizzazione dei ruoli di genere:
Cos’è un uomo? Un essere orgoglioso, coraggioso, violento, brutale, spietato, dite voi. Ma tutte queste sono le caratteristiche dell’animale maschio in calore.
La sottomissione del genere femminile, tuttavia, non è avvenuta in maniera improvvisa né violenta. Le donne de La notte della svastica – con le teste rasate, i corpi infagottati e lo sguardo bovino – sono infatti il frutto ormai putrescente di un processo di ambigua complicità col patriarcato e Burdekin mette senza esitazione il dito nella piaga in alcune delle pagine più dure del libro:
…accettarono il Ridimensionamento delle Donne, una cosa deliberatamente pianificata dagli uomini tedeschi. Le donne saranno sempre ciò che gli uomini vogliono che siano […] se gli uomini le vogliono belle, si fanno belle. Se gli uomini vogliono donne in apparenza dotate di volontà e personalità, loro tireranno fuori qualcosa che possa sembrare volontà e personalità, anche se in effetti è tutta facciata. Se gli uomini le vogliono in apparenza del tutto libere, persino dotate di forza mascolina, loro svilupperanno un simulacro di tutto ciò […] Una volta convinte che gli uomini le volessero allo stato animale, brutte e completamente sottomesse… seguirono il nuovo andazzo con tutto l’entusiasmo, con una coscienziosità senza limiti […] adesso non lo fanno più […] adesso non c’è più niente per cui essere entusiasti.
Il personaggio di Alfred, un tecnico inglese in pellegrinaggio in Germania, grazie alla sua posizione marginale di membro di un popolo sottomesso dal Reich, è l’unica voce del romanzo che riesce a far luce sulla condizione delle donne e sulle ragioni della loro sottomissione agli uomini: “non sono affatto donne, e non lo sono mai state”.
Non lo sono perché non si sono costruite a partire da se stesse ma in funzione di un sistema di valori maschile: “i valori umani, a questo mondo, sono valori mascolini. Di valori femminili non ce n’è, perché non ci sono le donne”. La loro inferiorità e lo status bestiale in cui si trovano a vivere non è, dunque, imputabile alla loro natura ma alla costruzione dell’identità in un ordine simbolico maschile e al crimine che hanno commesso: essersi sottovalutate e “non aver avuto un senso di orgoglio per il proprio sesso”.
Se la loro sottomissione fosse una condizione “naturale”, “se una donna in sé stessa non fosse altro che un animale, un insieme di utero e seni e fegato e interiora, perché dovrebbe essere infelice adesso, quando infine le si chiede di essere un animale e basta?” Ma se le donne sono arrivate a tanto per compiacere gli uomini e per il desiderio di essere amate, cosa ha indotto gli uomini a metterle su una strada che le ha ridotte a poco più che larve?
Osservando la foto di una ragazza risalente al periodo precedente il Ridimensionamento, Alfred chiede spiegazioni all’uomo che gli sta rivelando frammenti del passato prima dell’alienazione della memoria messa in atto dal regime:
«Non riesco a capire come gli uomini abbiano mai potuto desiderare che le ragazze fossero diverse da quella della fotografia»
«Una ragione c’era. La ragazza della foto, con la sua bellezza simile alla bellezza di un fanciullo, ha anche il potere di scegliere e di rifiutare. Voi uomini pensate che vederla significhi possederla. Ma lei potrebbe non volervi […] io ritengo che la bellezza della ragazza della foto derivi proprio dal sapere di disporre della possibilità di scegliere e rifiutare; e in parte dal sapere di poter essere amata».
Nell’anno del Signore Hitler 720 le donne sono un fastidio da cui passare per dare figli all’impero, un dovere per ogni nazista (solo alle razze inferiori è concesso il diritto di non riprodursi se lo desiderano) e le uniche relazioni affettive concepibili sono quelle tra uomini.
Nonostante tutto, anche così, ridotte a niente – “povere vacche deboli e brutte” – continuano a mettere a disagio gli uomini: “non è che criticassero più di quanto potesse criticare un cane. Se ne stavano tranquille e non parlavano se l’uomo non parlava lui per primo. Eppure, risultavano insopportabili. Si provava il bisogno di andar via e di ritrovare la compagnia degli uomini.”
L’analisi dell’ideologia nazista offre all’autrice l’occasione per esplorare le angosce maschili portate alle estreme conseguenze. Contro la paura inconscia dell’Altro da sé e il disagio che provoca, il regime corre ai ripari esorcizzando il potere femminile, rimuovendo e confinando le donne in ghetti dove il loro potenziale sessuale e riproduttivo è controllato e disciplinato.
L’elemento represso, tuttavia, finisce per riaffiorare inaspettatamente minacciando dalle fondamenta la sopravvivenza dell’impero; da tempo non nascono quasi più figlie femmine: “Ci hanno distrutto facendo esattamente quello che gli dicevamo di fare”.
In La notte della svastica le donne appartengono a uno status così infimo da non essere neppure elevate a personaggio. Nel romanzo, non è presente nessun soggetto femminile degno di nota. Ne vengono nominati tre – quattro se si conta una neonata – e a ognuna di loro viene dedicata poco meno di una pagina. Dopo oltre settecento anni di dominazione nazista le donne sono diventate creature animalesche, spaventate e instupidite. Chi legge non può aggrapparsi alla speranza che compaia una personaggia ribelle perché non esistono le condizioni per la sua venuta; nella loro schiavitù riproduttiva le donne di Burdekin sembrano irrimediabilmente perdute.
Eppure, in un contesto apparentemente senza vie di uscita, è proprio attraverso l’elemento della loro oppressione – la fertilità – che le donne mettono inconsapevolmente in atto una forma di resistenza e ribellione:
Pareva proprio che, dopo centinaia di anni di soggezione-naturale, per una religione interamente maschile: l’adorazione dell’uomo che non aveva madre, l’Unico Uomo, le donne si fossero definitivamente scoraggiate. Non ne nascevano più.
Il rifiuto inconscio, da parte delle donne, di partorire bambine, mina così il regime dal suo interno, materializzando l’incubo maschile di un potere femminile in cui vita e morte coesistono. Questa mutazione, temuta e nascosta dalle gerarchie, produce una ribellione lenta ma inesorabile; disegna un finale aperto che lascia intravedere la possibilità di un futuro dalle molteplici possibilità, inclusa una nuova struttura dei rapporti tra i sessi.