K ent Haruf ha passato gli ultimi mesi della sua vita a sconfiggere la paura della morte. Ha letto libri di spiritualità e reincarnazione, ha aiutato la moglie Cathy nel suo lavoro in un ospizio, pulendo e vestendo cadaveri, ha cercato di scrivere racconti e non ci è riuscito. Un giorno di fine aprile ha detto alla moglie: “Scriverò un libro su di noi”. Le promette che finirà il libro in tempo. Ce la farà, ma non vedrà mai le stampe.
Il quarto libro del riscoperto scrittore americano pubblicato in Italia da NN Editore, Le nostre anime di notte, segue la fortunata Trilogia della pianura (Benedizione, Crepuscolo, Canto della pianura) e nasce da un’abitudine cara agli Haruf: sdraiarsi insieme a letto la sera, tenersi per mano e parlare. Settantenne, nascosto nel piccolo capanno del giardino di casa, davanti alla macchina da scrivere, con il rituale berretto di lana abbassato sugli occhi – lo scrittore diceva che aveva bisogno di diventare cieco per vedere –, Haruf inventa due settantenni, il personaggio di Addie Moore e quello di Louis Waters, e sceglie di farli vivere nella sua città, quella dove ha ambientato tutti i suoi romanzi, la fittizia Holt, da qualche parte nel Colorado. L’idea è immediata, il tempo è poco, e i protagonisti di Le nostre anime di notte si adeguano perfettamente ai ritmi dettati dal loro autore. Un giorno, Addie dice schietta a Louis: “Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare”.
Lui si prende un giorno per pensarci. L’indomani, mangia un panino, beve un bicchiere di latte, fa una doccia calda, si taglia le unghie, infila il pigiama e lo spazzolino in un sacchetto di carta e va da lei. Iniziano a parlare “di cose di poco conto, per iniziare a conoscersi, i piccoli fatti di ogni giorno, la salute dell’anziana sinora Ruth, una vicina di casa, la pavimentazione di Birch Street”. All’alba si salutano. La notte seguente si rivedono, quella dopo sono di nuovo insieme. Lui vuole sapere da lei “Da dove vieni. Dove sei cresciuta. Com’eri da ragazza. Com’erano i tuoi genitori. Se hai fratelli e sorelle. Come hai conosciuto Carl. Che rapporto hai con tuo figlio. Come mai ti sei trasferita ad Holt. Chi sono i tuoi amici. In cosa credi. Che partito voti”. Lei chiede a lui “Dimmi qualcosa che non ho ancora mai sentito”. Lui risponde che avrebbe voluto essere un poeta. A Louis piace, prima di addormentarsi, guardare i capelli di Addie alla luce dell’abat-jour. Addie gli stringe la mano e si addormenta prestissimo.
La proposta di Addie diventa un appuntamento fisso. Le ore notturne si allungano al giorno. Gli amici li notano. Vanno a mangiare in un ristorante al centro della città coi loro vestiti più vistosi. I vicini bisbigliano. Fanno il bagno nudi nell’acqua del torrente Chief Creek. “Sedettero uno di fronte all’altra e poi si sdraiarono in acqua, molto pallidi entrambi a parte il volto e le mani. Erano sazi, un po’ appesantiti. Sentivano la corrente spingere lingue di sabbia sotto di loro”. Nel romanzo di Haruf, i modelli di famiglia tradizionale con cui i protagonisti sono cresciuti si sono infranti a contatto con la realtà. Addie e Louis sono reduci da matrimoni infelici, segnati da lutti e tradimenti, dai quali da giovani non sono riusciti a scappare. Gene, il figlio di Addie, abbandonato dalla moglie, non sopporta che la madre vada a letto con un vecchio. Holly, la figlia di Louis, sempre alle prese con uomini “che hanno bisogno di essere sostenuti”, ammonisce il padre.
Ti stai comportando come un adolescente. Da adolescente non mi sono mai comportato così. Non mi sono mai azzardato. Facevo quello che ci si aspettava da me. Proprio come hai fatto tu, fin troppo, se posso dirlo. Vorrei che ti trovassi una persona con più iniziativa. Qualcuno che venga in Italia con te, che si alzi un sabato mattina e ti porti in montagna, a giocare nella neve per poi tornare a casa appagati.
Eppure sono proprio i figli, l’età di mezzo, quella che va dai trenta ai quarant’anni, a uscire sconfitta in queste 160 pagine. I figli sono infelici. I genitori scelgono di non esserlo. Addie e Louis non hanno più la giovinezza, ma un giorno prendono una decisione semplice e difficilissima, che non ha niente a che fare con gli anni che si hanno: decidono di non perdere tempo. “È una scelta, di essere liberi. Persino alla nostra età”. Con uno stile preciso ed essenziale, uno sguardo dolce ma sempre, sottilmente ironico, in Le nostre anime di notte, Kent Haruf racconta la storia di un uomo e una donna che scoprono la libertà, che è godersi la vita. Appagati, fino all’ultimo giorno. Come Haruf, intento e appassionato a scrivere il suo ultimo libro, malato nel suo capanno. La morte viene dopo.
Tu non hai paura di morire?Meno di prima. Sono arrivato a credere in qualche tipo di vita dopo la morte. Un ritorno alla nostra vera essenza, un’essenza spirituale. Abitiamo in questo corpo fisico finché non torniamo allo spirito.
Io non so se credo a queste cose, disse Addie. Magari hai ragione tu. Lo spero.
Vedremo, giusto? Non ancora, però.
No, non ancora, rispose Addie. Amo questo mondo fisico. Amo questa vita insieme a te. E il vento e la campagna. Il cortile la ghiaia sul vialetto. L’erba. Le notti fresche. Stare a letto al buio a parlare con te.