I gor Tuveri, in arte Igort, è forse il miglior fumettista italiano vivente. Negli ultimi anni ha dimostrato le sue capacità con gli splendidi reportage da Ucraina, Russia e Giappone, riuscitissimi mix di storia e storie, di registri, di materiali, di stile e di linguaggi. Nel 2016 non ha pubblicato nessun reportage, ma verso la fine dell’anno ha dato alle stampe quello che, fatta eccezione per qualche inserto, è a tutti gli effetti un testo solamente scritto, senza l’ausilio dei disegni.
Un’autobiografia che, come quella di Pierre Bourdieu, “non è un’autobiografia” ma bensì la storia dei viaggi e delle suggestioni culturali che ha incontrato il suo protagonista durante gli anni che vanno dall’adolescenza alla maturità. Ricordi personali e avventure che si mescolano alle scoperte musicali e letterarie: un Arbasino con David Bowie e Lou Reed al posto di Maria Callas e l’opera, con Raymond Chandler al posto di Gadda e Kubrick al posto di Fellini, gli anni di piombo al posto del boom economico.
“Si sognava con poco, l’atmosfera ti prendeva dentro, un’emozione che saliva su, su, fino a serrarti la gola. […] Viaggiavamo con il vento in poppa e le vele spiegate sulle onde di quella cosa che gli americani amavano chiamare sense of wonder, il senso di meraviglia: era quello ad alimentare la fantasia, a guidare le nostre stesse vite.” Igort si racconta più attraverso questi innamoramenti che non attraverso gli episodi della sua vita, compiendo così un vero omaggio all’arte, e all’importanza che ha avuto nel formarlo come adulto e come essere umano.
Perché alcuni avvenimenti penetrano in profondità sino all’essenza del mio essere intimo e altri evaporano? Perché hanno la caratura di “avvenimenti rivelatori”? E cosa rivelano, soprattutto? […] Vedo le gocce di quel distillato di vita precipitare sul tessuto poroso del mio essere. Atterrare ed espandersi come una goccia di inchiostro su un foglio di carta assorbente.
Ci sono comunque la famiglia e gli anni in Sardegna, il fondamentale viaggio a Londra, e infine la Bologna del fermento controculturale ma anche della bomba alla stazione e dell’omicidio di Francesca Alinovi, e con questi episodi la perdita dell’innocenza e il momento di diventare grandi. E gli incontri, moltissimi incontri, con alcuni dei nomi più importanti della sua generazione, che non a caso dà il titolo al libro: da Pazienza a Freak Antoni, da Pier Vittorio Tondelli a Keith Haring, Oderso Rubini e tutta la Bologna di Gaznevada e Confusional Quartet, poi Mattotti, Jori, Carpinteri e il resto del gruppo di Valvoline…
Il tutto è raccontato in una forma sfilacciata, incoerente e poco controllata, non certo molto raffinata ma che proprio per questo appare personalissima e davvero sentita. Perché non ci riesce, Igort, anche da un punto di vista strettamente formale, a rimanere nei bordi, a pubblicare un libro “canonico”, con tutte le parole una in fila all’altra e nient’altro. Quindi ci sono immagini, playlist, citazioni, collage, parole che si prendono più spazio del previsto, periodi che vanno a capo in continuazione, frasi tutte maiuscole, testi di canzoni che intervallano i capitoli.
È interessante scoprire un Igort così punk, così vicino ai Movimenti, un Igort che vive a Londra negli anni d’oro, in situazioni molto precarie, un Igort musicista sperimentale, che condivide anche un’uscita discografica con i Throbbing Gristle e vari altri estremisti sonori. Un Igort per forza di cose diverso dal “signore del fumetto” che è diventato con gli anni, uno di quelli che vengono chiamati Maestro con la maiuscola. È vero però che in queste pagine possiamo vedere quali sono i germi di quella libertà che tuttora anima la sua opera, sempre difficile da afferrare e da incasellare ordinatamente, in bilico com’è tra reportage e diario, tra storia e giornalismo, tra ricordi personali e racconti di un’epoca. “Ma questa è la vita, caro lettore, tale e quale io la vissi, piena di cose terribili e di sorprese inenarrabili”.