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anno ragione Veronica Raimo e Francesco Pacifico che, alla presentazione del romanzo Mrs Caliban a Più Libri Più Liberi, hanno sottolineato come certa letteratura sia in grado di rovesciare schemi e sclerotizzazioni di un genere – il romanzo – semplicemente mettendo al centro il punto di vista di soggetti che di solito il proprio punto di vista non lo esprimono. E Rachel Ingalls, autrice statunitense naturalizzata britannica, fa proprio questo nel suo breve romanzo del 1982, riscoperto di recente e tradotto in italiano da Damiano Abeni per Nottetempo. E lo fa in un modo che è allo stesso tempo semplice, profondo e stratificato. Già, perché non c’è solo la prospettiva femminista nel racconto di Dorothy, casalinga americana che ha visto naufragare il suo matrimonio a causa della morte di un figlio, motivo – lei crede – dell’allontanamento del marito Fred, con cui non divide più il talamo nuziale ma con il quale continua a recitare la stanca rappresentazione della famiglia unita, nella speranza che prima o poi, senza mai affrontare l’argomento (meglio non parlare, è la filosofia di Fred) i cocci possano miracolosamente tornare uniti, o perlomeno incollarsi a sufficienza da non finire più sparpagliati in modo confuso. C’è anche un altro punto di vista che si sovrappone, sia pur secondariamente, su quello di Dorothy, ed è quello di Larry, uno strano animale antropomorfo e anfibio, una sorta di rana a forma di uomo, in grado di ragionare e persino di parlare come noi, cosa che ha imparato mentre era tenuto in cattività all’interno di un laboratorio.
“Acquarius il Mostruomo” – così viene chiamato l’essere dai media, con un ridicolo nome da science fiction anni Cinquanta – sembra essere estremamente pericoloso, perché nella fuga ha già ucciso due persone, ma quando si materializza nella cucina di Dorothy l’essere sembra tutt’altro che rabbioso. È gentile, spaventato com’è giusto che sia per un fuggitivo ma anche determinato, e Dorothy finisce per innamorarsene, intrattenendo con il “mostro” una relazione che fin da subito è molto fisica. È chiaro che Larry, l’uomo anfibio, è lo straniero che temiamo faccia irruzione nelle nostre vite ovattate per sconvolgerle, e non solo perché Ingalls colloca il suo luogo d’origine nel Golfo del Messico, ma anche perché i media lo raccontano come un essere abietto, senza scrupoli, deumanizzandolo come facciamo spesso col diverso, mentre la realtà è ben più sfumata. Non è nemmeno una realtà “buonista”, tuttavia, perché Larry non esita ad ammazzare chi rischia di farlo scoprire e riportare in laboratorio: è un fuggitivo con le spalle al muro, non un cittadino rispettoso della legge. E proprio questa complessità – così come quella di Dorothy che vive nella relazione extraconiugale quell’empatia che non riesce più a vivere nel suo matrimonio, un’empatia che gettata nel mezzo di una caccia all’uomo diventa immediatamente “politica” – crea un cortocircuito con il nostro presente che rende Mrs. Caliban attualissimo.
L’uomo anfibio è lo straniero che temiamo faccia irruzione nelle nostre vite ovattate per sconvolgerle: i media lo raccontano come un essere abietto, senza scrupoli, deumanizzandolo.
Il romanzo, un genere dominato dal punto di vista maschile e occidentale (tanto più nei primi anni Ottanta, quando scriveva Ingalls), svela nuovi punti di vista e nuove soggettività, ribaltando i presupposti della narrazione – come per altro stava avvenendo nelle discipline antropologiche. Ma se questo è il valore politico di un romanzo che politico lo è molto e dichiaratamente, il valore letterario sta nel fatto che questa operazione è tutt’altro che posticcia, secondaria alla narrazione, ma ne è anzi il presupposto artistico. Ingalls non “usa” strumentalmente la fantascienza per parlare di politica, ma crea una narrazione che è intimamente politica come la migliore fantascienza sa essere. Ed è ricca di riferimenti letterari. C’è il rovesciamento dei punto di vista dei buoni e dei cattivi, come ne La sentinella di Fredric Brown, dove si scopre solo alla fine che gli alieni feroci sono gli umani, un racconto divenuto un classico del genere science fiction. Ci sono, fusi nel corpo verde di Larry, gli stilemi dei B movie sul mostro della laguna (che rapisce la bella fanciulla…) e le salamandre giganti di Karel Čapek, lo scrittore che inventò il termine “robot” e che nella sua Guerra delle salamandre immagina creature anfibie – anch’esse di origine tropicale – schiavizzate dagli uomini e trasformate in un proletariato futuribile, a cui è negata perfino l’umanità. E poi, naturalmente, c’è il richiamo esplicito del titolo al mostruomo, il Calibano di La Tempesta – e che si tratti di un rimando simbolico lo segna il fatto che tale cognome non è mai utilizzato davvero all’interno der romanzo.
Calibano è un semi-diavolo, è l’altro da sé, quello per cui non vale la compassione umana dei protagonisti che lo abbandonano sull’isola dopo avergliela usurpata, perché prima di Prospero a capo dell’isola c’era la strega Sycorax, madre di Calibano. A Shakespeare piace giocare con le parole e dunque, in questa commedia che riprende, sia pur secondariamente, il mito antichissimo della bella e la bestia, la bella Miranda è la donna perfetta, la bellezza da “ammirare” (“admir’d Miranda”) mentre Caliban è forse un po’ “cannibal” e un po’ “caribbean”, come suggerisce in un saggio Nadia Fusini. In una celebre messa in scena Giorgio Strehler lo rappresentò nero di pelle, e non c’è dubbio che sia di ascendenza africana, visto che sua madre proveniva da Algeri. Eppure Calibano, stregato o ammaestrato da Prospero, gli vuole bene come a un padre e rimpiange quando lui gli carezzava la testa. È sì un essere ferino, ma capace di sentimenti come l’amore e il rimpianto. Quei sentimenti che Prospero, il nobile Prospero, dalla carnagione assai più chiara e rassicurante, non si sogna di provare nei suoi confronti. Il desiderio di Calibano di sposare Miranda è forse anche un’estrema richiesta d’amore verso questo padre padrone, ma ciò non conta perché anche il solo pensiero di un simile accoppiamento non può che suscitare ribrezzo e riprovazione.
Anche Dorothy è Caliban, perché lei lo straniero l’ha accolto in casa sua, nella casa rassicurante che di colpo diventa rifugio di un criminale, e il mostro se lo porta a letto.
Chiamando il suo romanzo Mrs Caliban, Ingalls suggerisce quindi una sovrapposizione potentissima. L’essere mostruoso è chiaramente Larry, il diverso, lo straniero. Ma anche Dorothy è Caliban, e forse lo è ancora di più, perché lei lo straniero, il mostro, lo ha accolto in casa sua, in quella casa rassicurante che di colpo diventa rifugio di un criminale, e quel mostro Dorothy se lo porta a letto. L’essere diseredato e con un “deficit di umanità” non è soltanto Acquarius, ma anche Dorothy, anche la casalinga che di quel mondo di plastica fatto di villette a schiera dovrebbe esserne l’angelo del focolare. Doppiamente Caliban, perché aprendo la porta al diverso Dorothy si accorge quanto poco la vita che aveva recitato fino a quel momento – sì, anche una vita si può recitare – corrispondesse così poco a lei. E poco importa se tutto questo sia realtà o, come per la Dorothy di Oz, frutto dell’immaginazione (le “voci” che lei sente provenire dalla radio, sovrapposte ai programmi, oltre che una satira sul mondo dei media e come ci lava il cervello, potrebbero voler dire proprio questo). Ciò che conta è che Dorothy scoprirà cosa c’è sotto quella realtà che lei, al pari del marito Fred, all’inizio preferiva non ribaltare, scoprirà cosa c’è dietro il matrimonio e l’amicizia, dietro i rapporti sociali, e lo farà attraverso l’amore. L’amore che sconvolge e coinvolge e che, soprattutto, compromette.
Se ne La Tempesta l’idea di un’unione carnale tra Miranda e Calibano viene vista come puro abominio, quella tra Dorothy e Larry non è solo consumata cento volte, ma permette anche di fantasticare su un possibile figlio da fare insieme. Un figlio interraziale all’ennesima potenza, un ibrido, un essere che chissà se lo si può davvero concepire – sia biologicamente che mentalmente. È questo uno dei passaggi dove la narrazione di Ingalls si fa corrosiva, ironica e feroce a un tempo, condensando in una sola frase affidata a Dorothy tutti i temi del romanzo: il diverso, il femminile, la finzione sociale, quella mediatica, l’ipocrisia della politica, l’ostinazione con cui per comodità facciamo finta di non vedere tutto questo, la capacità che ha il denaro di lavare via ogni cosa e riassorbire, almeno apparentemente e soltanto per chi ne dispone, i conflitti.
Nato in terra americana da una madre americana un bimbo del genere potrebbe diventare presidente. Sarebbe un americano. E io sono sposata, quindi sarebbe anche un figlio legittimo. E dopo aver venduto la sua storia ai quotidiani, diventerebbe anche ricco. È davvero stupefacente quanto poco importa alle persone come vengono etichettate, se hanno abbastanza soldi.
Obama, nel 1982, era ancora lontano da venire.