M eme del sottosuolo di Daniele Zinni, non è un libro per tutti. Non è un libro per tutti allo stesso modo in cui non lo sono un’autobiografia di Proust o un saggio sul brutalismo. È normale che non lo siano, sono dedicati a chi già conosce lo scrittore francese o a chi possiede qualche nozione di architettura contemporanea, sono cioè indirizzati ad una nicchia, come è ovvio. E allora perché ho sentito il bisogno di fare questa premessa? Perché sui meme, come su altri argomenti ipercontemporanei e di tendenza, popolari ma sempre a rischio di apparire una moda, aleggia un certo sospetto che si traduce in una richiesta di giustificazione.
Quando i meme diventano oggetto di discorso, sono chiamati a legittimarsi come argomento degno di analisi.
Nonostante la loro presenza ormai pervasiva a tutti i livelli della comunicazione online, quando i meme diventano oggetto di discorso, sono chiamati a legittimarsi come argomento degno di analisi. Ogni discorso sui meme è un discorso inaugurale, un’introduzione, una captatio benevolentiae, la presentazione di un nuovo tool. Lo sappiamo bene io e Zinni, che da anni giriamo l’Italia parlando di meme e facendo proprio questo genere di discorsi, spesso assieme. E non importa il tipo di uditorio, li abbiamo calcati tutti: librerie, festival, teatri, centri sociali, agenzie di comunicazione. Ogni volta rispondiamo alle 5 W del giornalismo: cosa sono i meme, quando nascono i meme, perché i meme sono importanti, chi usa i meme ecc.
La situazione è bizzarra se consideriamo che questi benedetti meme esistono da 20 anni precisi, prendendo la fondazione di 4chan nel 2003 come data convenzionale. Non è un’era geologica ma neppure l’altro ieri: esistono esseri umani che votano, si riproducono e commettono reati, che sono più giovani di molti meme. Immaginate se non esistessero recensioni di film, monografie di registi, approfondimenti sui generi ma che ogni discorso inerente al cinema fosse un discorso sul cinema: cos’è il cinema, quando è nato, perché è importante, quanto è diffuso e così via. Un pochino strano no?
Ebbene finalmente è uscito non un libro sui meme, ma un libro di meme: non il solito discorso inaugurale. Che non sia un libro per tutti, sono convinto lo sappia anche l’autore, che sbriga la pratica di presentarci i meme con le 5 W del giornalismo nelle primissime pagine per poi dedicarsi a ciò che gli interessa davvero, ovvero non un discorso generale sui meme ma su un tipo specifico di meme. In particolare, tenendo viva la metafora col cinema, quello di Zinni è un approfondimento su un genere di meme, quelli che lui chiama “del sottosuolo”. È talmente inedito questo discorso che, non appena Zinni annuncia il suo proposito di parlarci di un sottogenere di meme, avverte la necessità di fondare il discorso stesso, cioè si chiede: esistono “i generi” nei meme?
Esistono meme ‘sotterranei’ che non sembrano avere la risata come loro fine principale e forse neppure come fine tout court.
La risposta non è scontata e avvia la prima preziosissima riflessione del saggio, che se anche si fermasse qui, varrebbe il tempo della lettura. Da molti, infatti, i meme sono considerati come afferenti a un unico genere: quello umoristico. E non per caso. La stragrande maggioranza dei meme e pressoché la totalità di quelli mainstream sono in effetti contenuti umoristici. Qualcuno potrà anche avere secondi fini, come lanciare un messaggio sociale o politico ma, per dirla con un meme: “fa ridere ma fa anche riflettere”. Esistono però tutta una serie di meme… sotterranei che non sembrano avere la risata come loro fine principale e forse neppure come fine tout court. I meme del sottosuolo hanno a che vedere con altre emozioni quali l’inquietudine, la paura, il disagio ma è qui che Zinni avanza una categoria in grado di comprendere questi e quegli altri: tutti i meme, dice, hanno a che vedere con lo stupore. Chi ha fatto filosofia al liceo ricorderà che molti manuali si aprivano con l’opinione di Aristotele per cui la filosofia nasce dal “thauma”, spesso tradotto come “meraviglia” ma anche “stupore” se non “terrore”… Ma laddove la filosofia consiste nel superare questo sentimento attraverso l’indagine razionale del mondo, i meme si fermano un passo prima, sono quel sentimento. Se non sorprende trovare lo stupore tra i meccanismi base del comico, l’intuizione di Zinni è porlo a minimo comune denominatore di tutti i meme, anche quelli che proprio ridere non fanno.
I meme del sottosuolo hanno a che vedere con altre emozioni quali l’inquietudine, la paura, il disagio.
Cosa sono questi meme sotterranei, cosa c’entrano con la coppia stupore/comico? Zinni propone di dividerli in tre aree distinte, per quanto porose: “Distopia, Follia e Tecnoinquietudine; in altre parole, antagonisti dell’essere umano saranno di volta in volta la società, la realtà delle proprie percezioni, e la materia di cui è fatto il nostro tempo.” Tutti e tre i filoni sarebbero sottocategorie dell’horror e avrebbero in comune la capacità di “intercettare i pronostici più catastrofisti; anziché razionalizzarli o relativizzarli, li traducono in scenari ancora più estremi”. Ecco quindi che il thauma si incarna in tutta la sua ricchezza semantica nei meme dell’orrore, meme che non vogliono sciogliere la tensione né con la risata né con l’indagine razionale filosofica, si “accontentano” di crearla.
Nel suo breve ma denso viaggio attraverso i meme del sottosuolo, Zinni riesce ad aprire una quantità sorprendente di temi, ne elenco alcuni: il rapporto strutturalmente conflittuale tra content creator e piattaforme social, evoluzione della ricezione dei meme fatti da aziende, i social network letti come un’allucinazione, possibilità della critica del sistema dall’interno – in questo caso le piattaforme, autenticità come effetto, una definizione originale di “basato”, romanticizzazione della schizofrenia e schizofrenia come metafora della condizione generale degli utenti dei social network. Zinni esplora questi temi confrontandosi da vicino con alcuni dei più emblematici “meme del sottosuolo”, regalandoci descrizioni memorabili e pregnanti che sembrano psicanalizzare questi volti polisemici che i prosumer piegano alle loro ossessioni. Per esempio, della più famosa foto di Unabomber, divenuta template di tanti meme sotterranei, scrive:
Chi è il Kaczynski che emerge dai meme? … Per un verso, è l’asceta che si sottrae a un mondo inautentico e foriero di sofferenze. Penso ai meme che lo accostano a messaggi pacifici e remissivi, del tutto incongrui rispetto alla sua figura mediatica e al tono dei suoi scritti: per esempio, la frase spesso memata “Non voglio un ‘lavoro’ o una ‘carriera’, voglio un ‘pisolino’ e un ‘bacetto sulla fronte’” o la definizione di JOMO (Joy Of Missing Out), che è la gioia di mancare agli appuntamenti sociali obbligati e di disconnettersi.In molti casi, forse la maggioranza, trasmette l’energia dell’uomo mite vicino a perdere la pazienza con esiti catastrofici. A volte è come se l’avesse già persa; per esempio, nel videomeme che contrappone due progetti di vita alternativi: “piano A” – vediamo un orto rigoglioso, sullo sfondo una casa di campagna – e “piano B” – vediamo le immagini dell’arresto di Kaczynski, stravolto e arruffato.
Il suo ritratto piú memato è una foto identificativa scattata in carcere. Di solito, viene aggiunta in semitrasparenza sui titoli di giornale che annunciano invenzioni dai risvolti inquietanti. In quella foto, Kaczynski indossa la tuta arancione tipica dei detenuti statunitensi; tiene il mento alto e guarda nell’obiettivo con un’espressione indecifrabile, forse assente, che però contiene anche un naturale elemento di disprezzo e sfida. La notizia nel titolo è implicitamente una delle ultime gocce per la sopportazione. Per dare un’idea piú precisa di questo tipo di meme, ecco alcuni tra i tanti titoli a cui è capitato di essere accostati allo sguardo inquietante di Kaczynski: “Sony possiede il brevetto di un sistema che può obbligarti a gridare verso il televisore il nome di un brand per interromperne la pubblicità”…
Sulla scia di Unabomber c’è l’onnipresente meme di Christian Bale in American Psycho: “un primissimo piano del volto di Bateman che, imperlato di sudore, trasmette un misto di tensione, aggressività, timore e ottusità” o quello di Ryan Gosling in Drive che si trova “a incarnare piú spesso uno stato d’animo di quieta rassegnazione al teatrino della vita: con un’espressività e una gestualità sospese, da sonnambulo, Gosling sembra presente a ciò che gli accade senza però esserne coinvolto; sembra che si annoi mortalmente e che tuttavia non veda alcun senso nel manifestarlo o nel sottrarsi a questa condizione.”
E non sono solo esempi di ottima prosa, una scrittura felice che – alla maniera del Barthes di Miti d’oggi – indaga il segno per fargli confessare quello che ci ha sempre detto senza dircelo, ma anche la via maestra per toccare tutti i temi sopracitati.
Non ha senso qui entrare nel merito di questi temi, per un motivo semplice: Meme del sottosuolo è un saggio molto breve, si legge in un pomeriggio. Quello che posso fare è dirvi perché vale la pena farlo, illustrando l’importanza pioneristica di questo piccolo ma fondamentale libro. Come ho detto, Meme del sottosuolo è il primo libro di meme ma è anche un libro attraverso i meme e il delicato equilibrio che riesce a mantenere tra questi due poli lo rende un precedente seminale per i futuri meme studies.
Torniamo al cinema e immaginiamo un saggio sugli slasher movie degli anni Novanta. Ci sono due vie per trattare un tema simile: una enciclopedica, selezionando i film più influenti del genere e elencandone i meriti; un’altra metaforica, discutendo come il genere ha esplorato temi sociali e filosofici (la libertà sessuale dei giovani, la curiositas come peccato etc). Entrambe le strade risulterebbero carenti e infatti la maggior parte di simili approfondimenti si muove in tutte e due le direzioni. Zinni riesce a fare questo doppio lavoro su un tema, i meme, che viene solitamente divulgato prendendo una sola delle due strade. Ci sono articoli e addirittura enciclopedie (Zinni cita spesso KnowYourMemes, la preziosissima Wikipedia dei meme) che analizzano questo o quel meme, magari all’acme della sua diffusione; e poi dotte riflessioni sul fenomeno meme in generale, quel tipo di discorsi inaugurali di cui parlavo prima. Meme del sottosuolo taglia il nodo di Gordio con coraggio, scegliendo di tastare il polso della società attraverso un filone di meme underground. Non il meme d’occasione, quello appena twittato da un politico o una celebrità, il template del momento che usa e abusa anche vostra nonna, ma una corrente sotterranea che si agita sotto la superficie di internet, emergendo di tanto in tanto con sintomi inquietanti e criptici.
I meme del sottosuolo sono degli enigmi che non smettono mai di parlarci perché la loro eloquenza sta nel mistero, in ciò che nascondono.
Perché questo sono i meme del sottosuolo per Zinni stesso che li studia e li ama: degli enigmi che non smettono mai di parlarci perché la loro eloquenza sta nel mistero, in ciò che nascondono. Lo sguardo perso di Gosling, quello rassegnato di Kaczynski o quello allucinato di Bale interrogano la contemporaneità come sfingi minori, indovinelli senza risposte corrette ma una miriade di risposte plausibili. Ma proprio per queste ragioni, Meme del sottosuolo non è un libro per tutti. Se non avete mai incontrato una di queste sfingi sul vostro cammino, vivrete l’esperienza – a suo modo straniante e intrigante – di chi legge la monografia su una band che non ha mai sentito o su un genere cinematografico che non ha mai frequentato. Ma nessuno ha mai chiesto il permesso al pubblico generalista per scrivere dei Neutral Milk Hotel ed era ora che qualcuno si prendesse lo stesso tipo di licenza verso i meme.
Chi invece queste facce le conosce bene, potrebbe avere dubbi speculari e nutrire quella – a volte sana, a volte malsana – diffidenza che le sottoculture serbano nei confronti della sussunzione da parte della cultura alta: un libro sui meme? L’ennesimo boomer che vuole spiegarci cose che sappiamo già? Per fortuna no. Come ho già detto, Meme del sottosuolo è un libro di meme e un libro attraverso i meme, un libro in grado di donare una profondità di campo inedita all’argomento, il libro di uno che li ama per davvero e vi attacca un missile iperdettagliato su tutte le implicazioni di un singolo screenshot di Drive, l’amico che fa calare il silenzio al tavolo del pub, quell’amico che spesso siamo noi.