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Ne La Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966), le donne della kasbah giocano un ruolo di primo piano nella resistenza del Fronte di Liberazione Nazionale. Nascondono armi sotto il burqa oppure si travestono da occidentali, passano inosservate nelle zone occupate dai francesi e collocano ordigni in luoghi affollati. La loro tattica consiste nell’ingannare l’avversario trasformando la propria immagine con una sorta di camouflage – un travestimento mimetico – che le aiuta ad agire indisturbate perché non riconosciute come estranee rispetto dal contesto. Ne L’invenzione del quotidiano, Michel de Certeau spiega come la tattica – a differenza della strategia – consista in una pratica che si mette in atto quando ci si trova nel campo avversario. È un “movimento ‘all’interno del campo visivo del nemico’ (…) e nello spazio da questi controllato”.
Questo tipo di movimento, spesso laterale, obliquo, più o meno visibile, insieme atto di resistenza e pratica affermativa, è l’idea centrale dell’ultimo libro di Rosi Braidotti Materialismo Radicale. Itinerari etici per cyborg e cattive ragazze (a cura di Angela Balzano – Meltemi, 2019). Braidotti qui esplora la dimensione culturale come spazio di possibilità per quei soggetti “emergenti” che praticano forme di vita con cui ripensarsi all’interno di un campo ostile e oltre la cornice delle rappresentazioni stereotipate. Le soggettività emergenti sono quelle che sino a qualche decennio fa (e in parte ancora oggi) erano rimaste fuori dal “campo degli attori sociali visibili”: non solo donne, ma anche soggetti queer, nativi, non-bianchi, soggetti migranti e diasporici, soggetti di genere non conforme e animali. Partendo da una prospettiva femminista orientata in senso intersezionale, Braidotti afferma che ciò che li accomuna è l’esperienza del limite e della fragilità, causati dal fatto di non riconoscersi nei ruoli sociali propri dei sistemi culturali consuetudinari. “Soggettività fluide, queer, nomadi che lasciano ampi spazi alle ambiguità e alle contraddizioni, sfidano l’affermazione di qualsiasi identità, anche quelle dette di opposizione”.
L’idea di partenza è che ciò che consideriamo “umano” nel mondo contemporaneo sia profondamente diverso da come è stato pensato in epoca moderna. Per ragioni profondamente storiche e materiali, perché è cambiata l’economia, la tecnologia e la cultura e, con esse, il rapporto tra le istituzioni e i soggetti. Se ne Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (DeriveApprodi, Roma 2014) Braidotti affronta la questione dal punto di vista teorico, in Materialismo Radicale lo tratta da un punto di vista etico, ovvero prendendo in considerazione le pratiche, i comportamenti e le “passioni politiche” che rendono sostenibile la vita. L’etica “sostenibile” è per la filosofa un complesso di comportamenti estetici e attitudini relazionali che hanno luogo a livello delle micro-pratiche quotidiane. La loro efficacia sta nell’essere situate e incorporate, perché “occorre pensare globalmente ma agire localmente: qui e ora”, suggerisce Braidotti.
La sua attenzione si rivolge in particolare alle pratiche artistiche femministe che ricorrono al travestimento o all’anonimato come tattiche per agire all’interno di una sfera pubblica ostile. Perché critica e creatività sono le due facce della prassi politica e “in nessun campo la sfida femminista è così evidente come in quello della pratica artistica”. Braidotti fa riferimento ad artiste, performers e musiciste che usano l’ironia e la parodia per decostruire la forza politica delle rappresentazioni e dei media che lavorano sulla “cannibalizzazione del corpo reale”. Cita ad esempio le Guerrilla Girls. In un loro manifesto della fine degli anni ’80 una donna nuda di schiena (La Grande Odalisca del pittore neoclassico Ingres) indossa una maschera da Gorilla e, rivolgendosi al pubblico, chiede: “Do women have to be naked to get into the Met Museum?” Le donne devono essere nude per entrare al Metropolitan Museum? Le Guerrilla Girls contestano il fatto che, a fronte della quasi totale assenza di artiste (più o meno il 5%) nelle collezioni dei musei, l’85% dei nudi siano invece femminili
Braidotti si sofferma in maniera estesa anche sul gruppo femminista finto-punk-rock delle Pussy Riot. La forza comunicativa delle loro performance si basa su un gesto che consiste nell’affermare qualcosa attraverso un atto di sottrazione: un elemento visivo molto forte come il passamontagna richiama l’attenzione, ma allo stesso tempo nasconde il volto. A esso Braidotti riconosce tanto lo statuto di pratica estetica quanto quello di tattica politica, in una continua oscillazione tra sparizione e sovraesposizione mediatica. Per citare un caso a noi più vicino, si pensi ad esempio al personaggio Myss Keta, “una bionda che abbonda” come lei stessa si definisce in uno dei suoi testi. Myss Keta abbonda perché si impone nel nostro orizzonte mediale e visuale, ma soprattutto lo fa mentre, non vista, ci osserva dietro i suoi occhiali scuri e la mascherina.
Il saggio ripercorre le genealogie di queste pratiche, disegnando una mappa che va dai primi lavori degli anni Settanta di Cindy Sherman dedicati agli stereotipi femminili nell’immaginario cinematografico classico, agli statement in stile agitprop di Barbara Kruger (Your body is a battleground) e agli interventi che usano lo spazio urbano come display di Jenny Holzer (It is your self-interest to find a way to be very tender). Ma Braidotti pensa anche a personalità eccentriche della scena musicale punk-rock come Nina Hagen e Kathy Hacker, capaci di usare la propria immagine fuori da qualsiasi schema sia maschile sia femminile, come strumento di diniego e allo stesso tempo di affermazione. O ancora a una prima generazione di Punk Women e Riot-grrrls che negli anni ‘90 hanno criticato il fallocentrismo dell’industria musicale pop, ma anche rock.
Queste pratiche sono parte di una più ampia fenomenologia dello strano, del grottesco e del dissenso che, mentre critica la normatività eterosessuale e identitaria, elabora nuovi significati e narrazioni. Il riferimento è alle figurazioni alternative proposte dalla coppia Deleuze – Guattari e dal cyber femminismo (Donna Haraway in primis): immagini di corpi mutanti, grotteschi, tecno-mostruosi, senza organi e in divenire, rizomi, flussi e pieghe. Per sottrarsi alla violenza epistemica dei discorsi dominanti, i soggetti emergenti ricorrono infatti all’immaginario, di cui Braidotti dà una definizione potente:
legame invisibile ma fortissimo che collega il dentro e il fuori di sé. È colla simbolica che si e ci appiccica ad un contesto sociale che ci costituisce come soggetti, rete d’affetti sia libidinali che sociali, che funziona e va analizzata sulla base di relazioni di potere.
La filosofa tiene a mente l’insegnamento del suo maestro Foucault: il potere è materiale perché è radicato nei nostri corpi e nelle pieghe del quotidiano. Detto questo però, afferma, non si tratta semplicemente di opporre resistenza, ma di immaginare e praticare modi alternativi, “fieri” e “gioiosi”, di divenire-soggetto politico. Per resistere all’individualismo della società tardo-capitalista, per vincere l’inerzia e l’apatia della vita di tutti i giorni, le soggettività emergenti praticano forme di vita nomadi ma comunitarie. Valorizzano il tempo condiviso e preferiscono la depénse emotiva alla produttività utilitaristica. Questo metodico, minuto e quasi artigianale esercizio di “felicità politica” il cui motore primo è l’ “esperienza incorporata” degli affetti e delle relazioni, è ciò che Braidotti considera “materialismo carnale”. Carnale, ma allo stesso tempo tecnofilo perché pensa al corpo nella sua co-estensione (e complicità) con la tecnologia e i media.
Mi definisco una tecnofila non progressista, non rimango in attesa di risultati di miglioramento teleologicamente prodotti dalla traiettoria della storia. Sarà per questo che mi è affine la posizione espressa dal Manifesto dello Xenofemminismo. (…) Trovo questo manifesto incredibilmente vicino all’opera di Donna Haraway, pensiero teorico e politico che potrebbe a tutti gli effetti fungere da sostrato e fonte di ispirazione per nuove forme di vita, per l’elaborazione di un nuovo concetto di giustizia sociale e di nuovi mezzi per raggiungerla.
È in questo continuum fatto di alleanze fra corpi, media e tecnologia, che le soggettività emergenti di Braidotti intraprendono un itinerario etico verso la felicità collettiva, profondamente radicato nel tempo presente ma orientato al futuro, ma soprattutto tenendo a mente che “ciò che conta è disobbedire con gioia e tradire con gentilezza e decisione”.