S iamo una massa di bugiardi. Diciamo di guadagnare di più, di lavorare di più, di fare meglio l’amore, di mangiare in modo più sano di quanto facciamo nella realtà. Lo facciamo con amici, partner, medici e anche con noi stessi. Ma le tracce che lasciamo su internet creano un’immagine chiara e reale di chi siamo. Con La macchina della verità. Come Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente (Luiss University Press), Seth Stephens-Davidowitz ci guida in un grand tour nelle praterie digitali create dai motori di ricerca che sono diventati, insieme, il nostro confidente e un confessore-psicologo che ascolta e registra ogni nostro pensiero. Stephens-Davidowitz ha lavorato come data scientist (per più di un anno anche a Google) e ha studiato il rapporto tra le ricerche online e la psiche, soprattutto sui temi del razzismo, depressione, ansia, preferenze sessuali, eccetera, vale a dire gli argomenti più cercati sul web. Oggi è editorialista del New York Times e continua la sua attività di ricercatore e conferenziere.
Nel mondo di Facebook, la vita familiare sembra perfetta. Nel mondo reale, la vita familiare è un casino. […] Nel mondo di Facebook, sembra che il sabato sera ogni giovane adulto vada a una festa fighissima. Nel mondo reale, la maggior parte delle persone sono a casa da sole a fare binge watching su Netflix. Nel mondo di Facebook, una fidanzata posta ventisei immagini felici del viaggio con il suo ragazzo. Nel mondo reale, immediatamente dopo aver pubblicato il post, cerca su Google ‘il mio ragazzo non vuole fare sesso con me’.
Questi sono solo i tic della società digitale, ma Stephens-Davidowitz non cede mai al complottismo, non attacca i computer. La colpa per lui non è solo degli algoritmi creati da sviluppatori bianchi, insensibili e spesso senza cultura. La colpa è anche nostra: siamo noi che alimentiamo gli algoritmi e li facciamo giorno dopo giorno diventare sempre più razzisti, più bigotti, più negativi.
Nel suo discorso, il presidente ha dichiarato: ‘Rifiutare la discriminazione è responsabilità di tutti gli americani di tutte le fedi’. Ma le ricerche che definivano i musulmani ‘terroristi’, ‘malvagi’, ‘violenti’ e ‘cattivi’ sono raddoppiate durante il discorso e nel periodo immediatamente successivo. Il presidente Obama ha anche affermato: ‘È nostra responsabilità rifiutare qualsiasi test di natura religiosa per stabilire chi ammettere nel nostro Paese’. Ma le ricerche negative sui rifugiati siriani, un gruppo prevalentemente musulmano che in quelle settimane era in cerca di un porto sicuro, sono aumentate del 60 per cento, mentre quelle su come aiutarli sono crollate del 35 per cento.
Nonostante l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama avesse affermato con chiarezza di voler accogliere i rifugiati siriani e di essere contrario a una selezione in base alla religione (l’epoca di Donald Trump non era ancora iniziata), chi ha ascoltato Obama ha infestato Google con domande negative sui musulmani, sui migranti e così via, dando prova di come il razzismo e il timore per il diverso abbiano il sopravvento su tutto, anche su dati e statistiche inconfutabili.
Stephens-Davidowitz mantiene ciononostante un approccio positivo. “I Big Data non sono per forza negativi o malvagi. E possono essere straordinariamente validi e interessanti”. Nella premessa al libro, lo psicologo canadese Steven Pinker sostiene che il lavoro di Stephens-Davidowitz ci fa scoprire un nuovo mondo, che cambia il modo in cui concepiamo le neuroscienze e le indagini sulla psiche umana. “La macchina della verità non è soltanto la dimostrazione di un’idea. In più di un caso le scoperte di Stephens-Davidowitz hanno capovolto i preconcetti che nutrivo sul mio Paese e sulla mia specie. Da dove viene tutto l’inaspettato sostegno a Donald Trump? […]. Seth Stephens-Davidowitz dimostra che [i Big Data, ndr.] ci permettono di sbirciare, come mai era stato possibile prima di oggi, nella psiche delle persone”.
La massa di informazioni che possiamo manipolare dalla rivoluzione dei Big Data in poi, continua Stephens-Davidowitz, avrebbe fatto la felicità di Schopenhauer, Nietzsche, Freud e Foucault, semplificando loro l’esistenza e allo stesso tempo aprendo strade impensabili.
I Big Data hanno quattro superpoteri. Quattro in tutto: offrire nuovi tipi di dati, visto che danno la possibilità di considerare informazioni che per anni non potevano essere nemmeno avvicinate da una analisi scientifica; fornire dati onesti, portando quasi a zero i margini di errore e annullando le menzogne raccontate dalle persone; permetterci di indagare su piccoli gruppi di persone, il che consente di lavorare sulle minoranze e su fette molto ridotte della popolazione; infine ci permettono di fare molti esperimenti causali, unendo in modo veloce e diretto dati che in passato non avremmo mai potuto confrontare.
Nel libro si parla molto di sesso. Nel capitolo “Aveva ragione Freud?”, l’autore spiega come una delle ricerche più diffuse su internet sia “come fare ad allungare il mio pene?”, un tema così importante da spingere l’autore a proporlo come titolo del libro (l’editore americano, HarperCollins, lo ha convinto a desistere, evitando il titolo-clickbait); ma pochi capitoli più in là Stephens-Davidowitz rivela come alcune donne cerchino su PornHub “come scopare animali impagliati”, alcuni uomini digitino “crocifissione nuda”. “Ma queste ricerche sono rare, solo dieci ogni mese perfino su questo enorme sito porno”.
Ci sono poi gli stereotipi razziali: gli ebrei sono malvagi, gli afroamericani sono maleducati, anche i gay sono malvagi come lo sono i musulmani (figuriamoci), ma i cristiani sono stupidi, secondo le principali ricerche fatte dagli utenti di Google. Su Facebook le mogli descrivono il marito come “il migliore”, mentre su Google si accertano che non sia “gay”; su Facebook usano l’appellativo “il mio migliore amico” ma nell’anonimato del motore di ricerca lo dipingono come un “cretino”. In fondo questa America – e questo mondo occidentale americanizzato – non sono molto cambiati dai tempi di Nathaniel Hawthorne. Nel racconto breve “Young Goodman Brown”, Hawthorne descrive il viaggio di un giovane nel bosco notturno della propria psiche, ambientato nella Salem puritana della caccia alle streghe: alla luce del giorno la città è perfetta, mentre di notte celebra riti satanici, a cui partecipano tutti i notabili della città, quelli moralmente ineccepibili nella vita pubblica. E nel cuore del bosco, sull’altare pagano, Goodman Brown riconoscerà sua moglie, che aveva lasciato a casa prima di uscire per il suo viaggio. Si chiama Faith, fede.