È appena uscito in Italia un piccolo libro con i discorsi di Mark Twain. Si intitola Libri, autori e cappelli. Una selezione di discorsi e lo ha pubblicato la casa editrice Elliot (traduzione di Claudio Mapelli). In queste pagine si ritrova la sua leggera ironia, le iniezioni di buonsenso usate in chiave polemica, il cinismo bonario. Mark Twain è per metà umorista e per metà moralista.
Aboliamo i poliziotti con manganelli e revolver e sostituiamoli con una squadra di poeti armati fino ai denti di poesie che parlano di primavera e d’amore. Sarei lieto di assumere il ruolo di commissario, non perché pensi di essere particolarmente qualificato, ma perché sono stanco di lavorare e mi piacerebbe prendermi un po’ di riposo.
dice in un discorso, uno dei tanti esempi del suo modo di essere impegnato in modo dissacrante, in cui ciò che viene dissacrata è anche sempre la voce che si esprime.
Oggi si arruolerebbe nell’esercito degli scrittori politicamente scorretti, allergici alle mode culturali, intolleranti verso i pregiudizi, schivi. Twain è lo scrittore dall’identità divisa in due, quella contraddizione che lo porterà a usare sempre uno pseudonimo per i suoi libri. È lo scrittore sedotto dal paradosso, “l’esagerazione è l’unico mezzo con cui riesco ad avvicinarmi alla verità”, dice a Londra nel 1900. Un gusto del paradosso che contagia chiunque si avvicini a Twain, chiunque lo legga, chiunque ne scriva. “Samuel Langhorne Clemens, alias Mark Twain, passa gran parte della sua vita a scrivere la sua autobiografia. È una battuta, ed è la verità”, scrive Salvatore Proietti nella prefazione all’edizione italiana di Autobiografia (Donzelli 2014).
Amante del teatro, meticoloso scrittore incline alla malinconia, caustico oratore, Clemens/Twain è consapevole di avere un carattere complesso, non privo di ombre, e non sfugge davanti alla realtà del cuore umano, sempre ambiguo: “Tutti pensano che io sia un monumento di tutte le virtù, ma le cose non stanno affatto così. Conduco una doppia vita, ed è uno sforzo piuttosto impegnativo”. Torna spesso su questo punto: “Esiste un mio lato malvagio. Amici stimabili che lo conoscono bene possono parlarvene e provare una certa soddisfazione nel raccontare certe cose che ho fatto, e altre azioni ancora delle quali non mi sono pentito”.
Twain ha dato una definizione illuminante di cosa sia un classico letterario: “Qualcosa che tutti vorrebbero avere letto e che nessuno vuole leggere”.
E se per il lettore Twain è tutto nel suo registro allegro, nell’inclinazione a sdrammatizzare, a costruire i discorsi con le battute, ciò non implica che in questo libro il tono sia sempre comico. Troviamo un Twain più scoperto: “Non posso sempre essere allegro, non sempre posso scherzare; a volte devo mettere da parte il berretto a sonagli e ammettere che faccio parte anch’io della razza umana come tutti gli altri, e che devo avere anch’io la mia parte di preoccupazioni e dolori”. Lutti nella sua vita non sono mancati, prima di lui morirono tre figli su quattro e la moglie.
Libri, autori e cappelli è un modo per scoprire un Twain umano e complesso, che parla di tutto. In una pagina del 1906 lo sentiamo parlare della nuova legge americana sui diritti d’autore, che li limita a cinquant’anni dopo la morte dell’autore.
Alcuni anni fa, quando mi sono presentato davanti a una commissione della House of Lords, ho effettuato una stima secondo la quale in questo paese, dalla Dichiarazione di Indipendenza a oggi, abbiamo pubblicato 220.000 libri. Sono spariti tutti. Prima ancora che fossero passati dieci anni dalla loro pubblicazione, non se n’è più sentito parlare. C’è solo un libro su mille che può superare il limite dei quarantadue anni. Quindi perché mettere un limite? Sarebbe come limitare le famiglie a ventidue figli.
Un problema economico, ma anche un problema artistico. Scorrendo gli scrittori americani di un intero secolo Twain fa i nomi di Washington Irving, Edgar Allan Poe, Ralph Waldo Emerson e pochi altri. Su di sé dice: “Spero di non venire totalmente dimenticato”. Mark Twain ha lasciato un’impronta profonda nella letteratura americana. “Tutta la letteratura americana proviene da un libro di Mark Twain che si chiama Huckeberry Finn”, scrive Hemingway in Verdi colline d’Africa. Per Faulkner è “il padre della letteratura americana”.
Twain ha dato una definizione illuminante di cosa sia un classico letterario: “Qualcosa che tutti vorrebbero avere letto e che nessuno vuole leggere”. Eppure ancora in molti hanno voglia di leggerlo. Un’altra delle sue frasi celebri è: “La notizia della mia morte è fortemente esagerata”. Forse era una profezia autoadempiente, visto quanto è ancora letto.
Peraltro, di profezia autoadempiente di Twain ce n’è un’altra fondamentale: nato nel 1835, l’anno del passaggio della cometa Halley, Twain nel 1909 scrisse: “Sono nato con la cometa Halley, nel 1835. La cometa tornerà l’anno prossimo, e io andrò via con lei. Sarebbe la più grande delusione della mia vita se non me ne andassi insieme a lei” (da Mark Twain: a Biography di Albert Bigelow Paine). Era convinto che l’Onnipotente avesse così stabilito: “Ci sono questi due freak, sono arrivati insieme e così devono andarsene”. L’anno successivo, nel 1910, come previsto la cometa di Halley attraversa il cielo il 20 aprile. Il giorno dopo, il 21 aprile, Mark Twain è stroncato da un infarto cardiaco.