“D a quando ho cominciato a scrivere questa storia non riesco più a distinguere il vero dal falso. Spesso invento cose, ma con mio grande stupore si rivelano più credibili della realtà”. Seyed Jamal, la voce narrante dell’ultimo libro dello scrittore iraniano Kader Abdolah, assomiglia molto all’autore di Uno scià alla corte d’Europa (Iperborea, p. 488, traduzione e postfazione di Elisabetta Svaluto Moreolo). Come lui vive in esilio, insegna in un’università olandese e si diverte a prendere il lettore per mano, conducendolo sul crinale tra finzione e realtà. Sostiene di essere incappato a Colonia “nel diario di un re persiano che aveva fatto un viaggio straordinario di sei mesi in Europa alla fine dell’Ottocento”. Quel diario è affascinante, ma racconta solo una parte della storia. Jamal la integra con fonti secondarie, autobiografie, giornali e testimonianze. Aggiunge le sue riflessioni sul presente, sui “profughi siriani affogati e disperati”, sull’Europa “vecchia e vulnerabile” che teme gli immigrati.
Lo scopo di Jamal, e di Kader Abdolah, è “scrivere un racconto sull’Europa a modo suo”. Sceglie due linee narrative. Da un lato la sua storia, di docente esilitato alle prese con la scrittura del libro, e della sua giovane assistente (Iris Michaela, olandese doc, “da un’agiata famiglia dell’Overijssel”), che lo spinge a distribuire aiuti ai profughi o a urlargli contro, e dall’altro il viaggio dello scià, simbolo di un potere in declino, il cui altro è l’Europa. Le due linee narrative sono anche temporali: il passato del declino dell’uomo di potere orientale e il presente dell’ascesa degli orientali nelle società europee. Temi ricorrenti in Kader Abdolah (Elisabetta Svaluto Moreolo nella postfazione ricorda i recenti Un pappagallo volo sull’Ijssel sulle storie di migrazioni e Il re su potere e politica, entrambi per Iperborea), a cui la chiave binaria è congeniale per i suoi personaggi con identità percepite e riflesse, costruite nel rapporto con l’altro.
Protagonista e narratore onnisciente ma inaffidabile, Seyed Jamal fissa “un tempo fittizio, tra la primavera e l’estate del 1880”, sceglie il punto di vista dello scià e l’antica forma letteraria dell’hekayat, incorniciando una serie di episodi accomunati dagli spostamenti geografici e dalla curiosità del protagonista. “Un uomo di quarantasette anni, con i capelli in parte grigi, grandi baffi spioventi e due ardenti occhi neri”. Dolce di natura ma costretto “a destreggiarsi in un groviglio di verità e menzogne”, è diventato un sovrano crudele. Si porta dietro una lunga carovana, “un carnevale esotico dei tempi passati”. Tra loro c’è Banu. È la moglie favorita. Ribelle e indipendente, temuta e amata, partita nascosta in un cassapanca, con il viaggio Banu trova la libertà, a Parigi da Adèle, la figlia di Victor Hugo.
Lo scià invece perde il potere. In Europa capisce la grande mutazione in atto. Gli imperi scricchiolano, gli Stati rivendicano sovranità e democrazia, sostenuti dalla forza meccanica della rivoluzione industriale. Per Kader Abdolah, è la grande cesura dell’egemonia euroatlantica (messa in scena anche nel precedente romanzo Il re). Viene vista dallo scià, orientale comprato e ingannato dagli inglesi interessati al suo petrolio, consapevole della propria irrilevanza (a differenza del protagonista de Il re). Le folle festanti che lo accolgono nelle capitali europee
Accorrono ad ammirare un re del Medioevo, una specie estinta. Una sorta di dinosauro, di cui quella lunga carovana era la coda”.
Con il diario di viaggio dello scià, Kader Abdolah racconta la trasformazione del potere, da dinastico ed ereditario a produttivo e liberale, e gli inizi dell’asse egemonico costruito dal capitalismo industriale europeo.
In Europa lo scià vede “un nuovo tipo di luce, un nuovo tipo di fuoco” piegato all’industria, alla produzione di massa. Per la prima volta su una locomotiva, si “rende conto che si trovava al centro del progresso meccanico europeo, davanti al motore della Rivoluzione industriale”. Il prezzo è alto. A Berlino si accorge che Guglielmo I è “un imperatore senza poteri”, al contrario di Bismark. A Mosca lo zar Alessandro II lo mette in guardia dagli operai, “una forza di massa che travolgerà anche noi come una valanga”. Re Guglielmo III d’Olanda, anziano e iracondo, piange sulla sua spalla. Il re del Belgio Leopoldo II è “una specie di leone morto, che si rianimava ogni volta in Congo”.
Il potere è ormai nelle mani di Alfred Krupp, che “sogna di far viaggiare i treni tedeschi a novanta chilometri all’ora”, o di un vecchio barbuto con un monocolo, Louis Pasteur: “i re muoiono, Pasteur invece combatte la morte”. “Re di un paese dove non si produceva neanche un chiodo di metallo”, lo scià invidia il progresso ma lo teme, perché “lo costringeva a pensare al suo futuro: un re senza poteri”. Con il viaggio capisce che la sua storia è volta al termine. Eppure è certo di “poter continuare a vivere grazie a quella penna d’oca d’oro che ci portiamo sempre appresso”. La scrittura, il diario ritrovato a Colonia da Jamal, sopravvive al tempo. È la fiducia di Kader Abdolah nel potere catartico della narrazione. Jamal racconta che, dopo aver incontrato Monet e Cézanne lo scià ordina al confidente Einoldowle di portargli il diario. “Lo scià intinse la penna nell’inchiostro, scrisse un paio di annotazioni, e concluse con Au revoir, l’Europe”.