S gargabonzi è il soprannome di Alessandro Gori, che Claudio Giunta su Internazionale ha definito “il miglior scrittore comico italiano”. Jocelyn uccide ancora è il suo quarto libro: una raccolta dei brani che Gori legge dal vivo nei suoi spettacoli, collage puntiforme e composito dei riferimenti più variegati. Per analizzarlo si potrebbe chiamare in causa uno scrittore diverso per ciascuno dei cinquanta episodi che lo compongono – più i dieci interludi con protagonista David Bowie che comunica dall’aldilà utilizzando un bastone. Ci sono gli Squallor, c’è Fantozzi, c’è Rodolfo Wilcock; ci sono anche tre autori americani: Donald Barthelme, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace.
Biancaneve, il romanzo di Barthelme (da poco ristampato sempre da minimum fax) è tutto incentrato su una protagonista femminile decisamente diversa dal canone: “nella sua camera Biancaneve si tolse il vestito, dopo di ciò la camicetta, e dopo di ciò lo slip, e dopo di ciò il reggiseno. Rimasero i seni nudi”. Sgargabonzi fa un’operazione simile per raccontare “Hans” e “Gretchen”:
Seguirono la luce e giunsero in una radura dove era una casa peculiare, tutta fatta di irresistibili leccornie. Aveva le pareti di sanguinaccio essiccato, gorgonzola che debordava dalle grondaie, grosse cozze come tegole, frittate di lumache come finestre, un polmone di bove che pulsava come porta e un mare di lardo liquefatto che ribolliva dalla fossa biologica.
Di Bret Easton Ellis troviamo invece i personaggi gelidi e indifferenti di Meno di zero, ma al di là di Ellis a essere evocato senza essere mitizzato è tutto il canone di ultraviolenza pop anni Ottanta e Novanta. In “Le avventure di Christian Raimo”, un uomo ha un rapporto sessuale con una ragazza storpia e mentalmente disturbata, “poco più che un animale”, con “il cervello in merda”, simile ad un “cilindro di Simmenthal”.
Infine c’è affinità con il David Foster Wallace di Brevi interviste con uomini schifosi: un libro in cui la violenza emotiva è tale che si tende a ridere, soprattutto se si è uomini e lo si ascolta letto a voce alta, per scaricare la tensione accumulata. Nel racconto “Le avventure di Christian Raimo”, a suscitare il riso è la totale mancanza di empatia da parte del protagonista, che risulta quasi grottesca tanto è abnorme. Nei pezzi dello Sgargabonzi le pose del cinico subiscono una costante reductio ad absurdum.
Alessandro Gori non è un autore di satira né uno stand-up comedian. La sua comicità rifiuta le conventicole, il darsi di gomito di cui la gran parte della satira italiana si alimenta. In “Venti cose che non sai sull’aborto” troviamo: “L’aborto più amaro è quello in cui il bimbo apre gli occhietti al miracolo della vita dieci secondi prima della CLAMOROSA MARTELLATA FINALE!” Oppure: “Alcune ragazze, dopo l’aborto, con un gancio si fanno estrarre il cadavere dalla vagina e lo coccolano tutta la notte fra le lacrime”. Se la satira tende a prendere di mira sempre le stesse cose, a procedere lungo percorsi obbligati, con stilettate sempre rivolte ad anti-abortisti, cattolici, vegani, animalisti, lo Sgargabonzi va in tutte le direzioni e questo pezzo, che dipinge un aborto nella maniera più cruda e splatter possibile, sembra paradossalmente rivolto ad infastidire la sensibilità di un anti-abortista militante.
Il terreno è scivoloso: Daniele Luttazzi ha accusato lo Sgargabonzi di perpetrare degli “sfottò fascistoidi”, rinfocolando il dibattito se debbano esserci limiti alla comicità e, se sì, quanto stretti. Nel raccontare un aborto in questo modo, Gori crea un ribaltamento paradossale e persino, per alcuni, fastidioso al punto da risultare intollerabile. Ma sotto attacco sono solo gli automatismi di un certo modo di intendere la comicità, le vesti troppo bene indossate, gli attacchi troppo facili. Un vecchio pezzo, non presente nel libro, si intitolava: “Il sesso, l’ultimo tabù?”.
I personaggi sono un perno centrale della narrativa dello Sgargabonzi. Giacomo Leopardi, Nanni Moretti, Osama Bin Laden, Corrado Tedeschi, Alex Magni, Roberto Saviano, Pippo Franco, Massimiliano Parente, Bruno Gambarotta sono solo alcune tra le figure che vediamo sfilare nei due pezzi-calderone “Il funerale di Dario Fo” e “Cronache di ordinaria normalità dal Salone del Libro”, in uno strano sogno ovattato e fluttuante in cui si mescolano vivi e morti:
C’era Diego Bianchi col suo inseparabile zainetto Malipiero Scuola, Lydia Mancinelli molto invecchiata, Milena Gabanelli distrutta[,] un redivivo Don Gallo accompagnato da Emanuela Orlandi che lo sosteneva nell’incedere…
Il racconto che meglio si presta ad essere analizzato per comprendere quali funzioni abbiano i personaggi nell’economia narrativa è Il Ritorno di Harambe:
Sono passate solo centocinquantanove pagine, eppure sembrano trascorsi secoli dai luttuosi fatti dello zoo di Cincinnati. Vi ricordate di Harambe, il gorilla che venne ucciso per trarre in salvo il bambino caduto nel suo recinto? (…) Tutto il mondo restò col fiato sospeso e lo sguardo oltre quel recinto artesiano. In quelle drammatiche ore, Harambe ci apparve non come un semplice gorilla, bensì come un Moloch con l’ingegno diabolico di Licio Gelli, la crudeltà di Vlad Tepes III e le piscine di Berlusconi. Una sorta di Cthulhu in grado di divorare quel bimbo e insieme a lui tutto lo spaziotempo.
Più avanti, nel corso del pezzo, fanno la loro comparsa due figure che con Harambe condividono lo status di intoccabili leggende, e cioè Pier Paolo Pasolini…
Fino a che non si ferma fuori dal baretto una Rolls-Royce e dalla tendina perlinata ti vedi entrare un Pasolini accaldato. Si asciuga la fronte con delle mutandine, ordina un bicchiere di Biancosarti, poi se lo sorseggia guardandosi intorno…
…e Fabrizio De André:
Ma rompe la tensione del momento il rumore di uno sciacquone ed ecco che ti esce dal bagno il grande Fabrizio De André che s’aggiusta il ciuffo, scavalca il corpo di Harambe, raggiunge il bancone e riconsegna la chiave.
Poi il missino Gianluca Buonanno – uno dei tanti ologrammi usciti dalle nostre filter bubble – resuscita come paradossale figura positiva del racconto, “testa di cazzo quanto ti pare, ma lui non ha ammazzato le coppie scambiste di Pigalle a passeggio sul lungomare”. Attraverso lo stesso filtro ribaltante De André e Pasolini sono mostrati nei loro aspetti più sordidi, anche questi caricati fino al parossismo. Prima di andar via per “ritirare dei soldi”, Fabrizio De André dichiara che lui e Pasolini non possono essere vivi nello stesso momento, pena l’implosione retorica dell’universo: “O lui o me”, afferma perentorio il cantautore genovese.
Lo Sgargabonzi, pur nerissimo nello svolgimento dei suoi pezzi, non è misantropo. In Mondo senza fine, l’attore e conduttore televisivo Corrado Tedeschi suggerisce ai presenti di unirsi in una catena social per sconfiggere la morte, il vero antagonista di questo libro, nascosto in tutti i pezzi: scherzo ultimo della natura che abbrutisce l’uomo, umiliandolo e vanificandone ogni sforzo.
Non posso neanche immaginare cosa doveva essere veder morire i propri genitori. Salutarli per l’ultima volta in ospedale, avere la percezione di registrare l’ultima immagine di loro prima di voltare l’angolo. E chissà cos’era per loro registrare la nostra. E la vita eterna poterla solo sognare. Pensare che gli uomini per accettare di scomparire per sempre erano arrivati a doversi convincere che la morte rendesse bella la vita. Che forse era giusto così. E doversi continuamente confrontare, anche per le minime stronzate, con la parola fine.Poveretti quegli uomini, la sfortuna che hanno avuto.