N egli ultimi dieci anni Timothy Morton si è guadagnato la fama di filosofo tra i più importanti della sua generazione, riuscendo nell’impresa non semplice di ottenere elogi in accademia e – come ha raccontato il Guardian in un lungo profilo del 2017 – successo nella cultura pop. Laureato a Oxford, Morton ha dedicato la prima parte della propria carriera accademica alla letteratura romantica inglese e agli studi sull’alimentazione, a prova dell’approccio intellettuale eclettico già all’epoca. Alla metà degli anni Duemila il suo interesse per la filosofia continentale l’ha portato ad avvicinarsi al movimento della Object-Oriented Ontology, corrente iniziata dal filosofo heideggeriano Graham Harman e sulla quale torneremo a breve.
Il 2007, probabilmente l’anno di svolta per il discorso sul riscaldamento globale (con l’uscita a settembre dell’anno prima del documentario Una scomoda verità di Al Gore, il successo di un libro come Il mondo senza di noi di Alan Weisman e il convegno sul Realismo Speculativo, a cui la OOO è legata a doppio filo), è anche quello della svolta per la carriera di Morton, che pubblica per Harvard University Press Ecology without Nature. La tesi alla base del libro è provocatoria: per avere ancora senso nell’epoca del global warming, l’ecologismo deve rinunciare al peso metafisico del concetto di Natura. Questo approccio antintuitivo è tipico del pensiero dei Realisti Speculativi, un gruppo sul quale per capire il pensiero di Morton è necessario spendere qualche riga.
Ad aprile del 2007, alla Goldsmiths University di Londra si incontrano quattro filosofi in un convegno intitolato Speculative Realism: A One Day Workshop. I quattro invitati (l’ultra-nichilista Ray Brassier, il già citato Graham Harman, Hamilton Grant e il padre putativo del movimento, Quentin Meillassoux) hanno molte differenze tra loro ma anche alcuni punti in comune. Il primo è l’opposizione all’antropocentrismo, conseguenza del rifiuto di quella che Meillassoux ha chiamato la “controrivoluzione tolemaica” del pensiero di Kant. Per Kant non si possono pensare né le cose in sé né la mente in sé ma soltanto la correlazione tra questi due aspetti: la conseguenza, ovviamente, è che il campo della filosofia viene limitato al contenuto della mente umana. I Realisti Speculativi intendono riportare l’accento sulla dimensione esterna alla mente, una dimensione nella quale l’uomo è uno dei tanti elementi che compongono un universo sostanzialmente “indifferente alla nostra esistenza e inconsapevole dei nostri ‘valori’ e ‘significati’”, per dirla con Brassier. Dimostrazione lampante di questa teoria è proprio il riscaldamento globale, che reclamando il potere di forze non-umane capaci di estinguerci annichilisce la nostra pretesa di un posto privilegiato al centro dell’universo.
Questo è l’aspetto del “realismo” nel nome del gruppo: esiste una realtà esterna alla mente, che se anche è “radicalmente ritirata”, cioè non accessibile empiricamente, non per questo è meno vera. Il secondo elemento che accomuna i quattro filosofi è l’aspetto “speculativo” del loro pensiero. Nonostante non ci sia accordo su come questo possa essere fatto (estremizzando il pensiero razionale per Brassier, attraverso la scienza per Meillassoux, per mezzo dell’arte secondo Harman) i Realisti Speculativi sono convinti che questa realtà possa essere conosciuta, seppure in maniera indiretta o, appunto, speculativa. Come vedremo, Iperoggetti ci fornisce diverse dimostrazioni di questo punto.
L’iperoggetto per eccellenza è proprio il riscaldamento globale, la cui caratteristica principale è quella di esistere su dimensioni spazio-temporali troppo grandi perché possa essere visto o percepito in maniera diretta.
Tornando quindi a Ecology without Nature, possiamo ora capire cosa intende Morton con la sua formula: perché il concetto di ecologismo abbia ancora un senso, esso deve essere privato della sua matrice antropocentrica, che assolutizza la Natura come un “altrove” metafisico da preservare, e deve entrare in un’epoca compiutamente postumana dove l’uomo è parte dello stesso sistema della Natura che intenderebbe difendere. Il concetto di Antropocene, entrato nel lessico comune negli stessi anni, parla di una simile impossibilità di distinguere naturale e antropico, e la OOO andrebbe letta proprio come una sorta di “ontologia piatta” nel cui sistema coesistono entità, o “oggetti” nel lessico heideggeriano, di natura differente – persone, animali, cose inanimate o anche conformazioni molto più complesse come l’amore o i costrutti filosofici. Alcune di queste conformazioni sono di complessità incredibilmente elevata: questo è il punto in cui il pensiero di Morton si stacca da una seppur originale applicazione del Realismo Speculativo all’ambientalismo e postula l’idea di iperoggetti.
L’iperoggetto per eccellenza è proprio il riscaldamento globale, la cui caratteristica principale è quella di esistere su dimensioni spazio-temporali troppo grandi perché possa essere visto o percepito in maniera diretta. Ad esempio un’ondata di caldo nelle Filippine può avere come conseguenza, per le complesse ragioni che fanno del clima un sistema grande quanto la Terra, un’estate particolarmente fredda in Francia. Oppure possiamo cominciare a sentire oggi le conseguenze dell’immissione nell’atmosfera di quantità inaudite di carbone durante la seconda rivoluzione industriale, e saranno i nostri pronipoti lontani, tra qualche secolo, a giudicare se gli sforzi per ridurre i gas serra compiuti all’inizio del XXI secolo hanno avuto qualche effetto. Una delle radici del negazionismo del global warming sta proprio nell’errore di credere che possa essere in qualche modo percepito sulla propria pelle o, per dirla con Morton, nel pensare che un evento atmosferico “sia il riscaldamento globale”. In realtà, se siamo consapevoli che una cosa come il global warming esiste è solo perché ci siamo dotati di strumenti capaci di catturare la realtà che sfugge alla nostra mente, come ad esempio i grafici che mostrano un costante aumento delle temperature medie dall’Ottocento in poi.
Oltre a questa non-località degli iperoggetti, a cui corrisponde sul piano temporale la dimensione delle “grandi finitudini” (ricordiamoci che Morton si propone di smitizzare il peso romantico di questi concetti: iperoggetti come il riscaldamento globale o l’energia atomica un giorno finiranno, anche se questa fine arriverà tra migliaia o decine di migliaia di anni), Morton individua un’altra caratteristica, quella della viscosità: siamo immersi negli iperoggetti “come nel ventre di una balena”, e per questo non possiamo pretendere di vederne i confini. Questo è uno degli aspetti che personalmente trovo più interessanti della sua proposta.
Perché ci sia una Natura da preservare, dice Morton, essa deve essere concepita come uno sfondo sul quale si staglia qualcosa in primo piano – e questo “qualcosa” è ovviamente l’uomo, per il quale la Natura è un contorno. Ma la caratteristica del riscaldamento globale è proprio questa capacità dello sfondo di entrare improvvisamente in primo piano, come nel caso in cui un temporale come tanti si trasforma senza preavviso in un uragano devastante. A collassare, qui, non è solo la visione antropocentrica, ma con essa anche un intero impianto filosofico che ha bisogno dell’idea di “mondo” per esistere. Come costrutto semantico, ci dice Morton, il mondo si regge sulla distinzione tra sfondo e primo piano, o sulla presenza di un “altrove” (nella bella e intraducibile formula inglese “over yonder”) che proprio come la scenografia di uno spettacolo teatrale fornisce un setting per le azioni dei protagonisti. Se quell’altrove scompare, scompare anche il mondo: per questo l’ansia dell’apocalisse portata dal riscaldamento globale è in effetti una realtà dell’apocalisse. Il mondo è già finito – questo significa il sottotitolo di Iperoggetti, che recita “filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo”.
La scrittura di Morton è poetica: filosofia e lirica sono intimamente connesse.
La pubblicazione in Italia di Iperoggetti per Nero, con la traduzione di Vincenzo Santarcangelo, arriva a cinque anni dall’edizione originale ed è una bella notizia: non solo perché Iperoggetti è un libro fondamentale per comprendere il presente, ma anche perché il pensiero di Timothy Morton raggiunge finalmente il pubblico italiano in un periodo in cui le opere di altri esponenti del Realismo Speculativo stanno pian piano facendosi strada (Dopo la finitudine di Meillassoux era stato pubblicato nel 2012 da Mimesis, e il volume dedicato ai Nuovi Realismi pubblicato a cura di Sarah De Sanctis per Bompiani nel 2017 ha aiutato a contestualizzare il fenomeno). Inoltre l’idea stessa di iperoggetti ha ramificazioni importanti.
Nel percorso di Morton, infatti, Iperoggetti ha segnato il trampolino di lancio verso un numero crescente di territori, molti dei quali ancora da esplorare. Il filosofo ha raccontato che l’idea di “iper”-oggetti gli è venuta da Hyperballad di Björk, e con la cantante islandese ha iniziato una corrispondenza epistolare e una collaborazione duratura. Qualche anno fa provavo a tracciare un parallelo tra Iperoggetti e l’opera di Jeff VanderMeer: poco più tardi il principale esponente del New Weird e Morton hanno parlato di ecologismo per la “L.A. Review of Books” e ora VanderMeer compare spesso nei ringraziamenti dei libri del filosofo inglese. Più recentemente ancora, Morton ha fatto sapere dalle pagine del suo blog di aver iniziato una collaborazione con il musicista Pharrell Williams per la produzione di un Voyager Golden Record da mandare nello spazio per contattare possibili civiltà aliene presenti e future, un’idea che propaga sotto forma diversa l’idea delle “grandi finitudini” e che (come saprà chi conosce casi come quello della Long Now Foundation) ha profonde radici nella storia dell’ecologismo più visionario degli ultimi cinquant’anni.
Le idee esposte in Iperoggetti continuano a echeggiare e probabilmente lo faranno ancora a lungo, perché il libro è una fucina di suggestioni ed esempi che vanno dalla fisica quantistica all’arte contemporanea. Quest’ultimo aspetto in particolare vale la pena di essere sottolineato, perché Iperoggetti è anche, a modo suo, un libro sull’arte nel tempo del global warming: d’altronde non dobbiamo dimenticare che Morton discende filosoficamente da Graham Harman, e che l’arte è uno dei principali campi di applicazione del filosofo americano. L’arte, come la scienza, viene vista da Morton come uno dei modi, forse il principale, per comprendere quella realtà di cui non possiamo parlare direttamente e che non possiamo percepire empiricamente. Di conseguenza Iperoggetti presenta un numero di esempi di quest’arte influenzata dal riscaldamento globale, come le fotografie di Judy Natal sul rapporto tra figura umana e paesaggio o le architetture elettrostatiche di François Roche che raccolgono la polvere dell’ambiente circostante. La didascalia sotto l’immagine di quest’ultimo progetto sembra tratta dall’Operating Manual for Spaceship Earth di Buckminster Fuller: “Quando si considera la Terra o la biosfera come un intero, spostare “altrove” l’inquinamento è solo un modo di redistribuirlo, di metterlo sotto il tappeto”.
Al pari dell’approccio eclettico al pensiero, anche la sensibilità artistica può essere considerato un tratto distintivo della prosa di Morton, che se non è sempre di facile comprensione è tuttavia compiutamente letteraria e capace di passare con estrema rapidità dal lessico filosofico più esoterico a esempi quotidiani. O meglio ancora, come diceva a una recente presentazione di Humankind alla Tate di Londra l’editor del libro Federico Campagna, la scrittura di Morton è poetica: filosofia e lirica sono intimamente connesse (se vogliamo ancora una volta heideggerianamente).
Per questa ragione un libro come Iperoggetti può essere letto e apprezzato anche da lettori digiuni di filosofia, posto che accettino la sfida di entrare in territori vertiginosi che traggono la loro efficacia dalla mirabile capacità di mettere in discussione le categorie più consolidate. Ma d’altronde è proprio con questo che ci mette a confronto il riscaldamento globale – un sovvertimento radicale delle categorie, una “demondificazione” del mondo che smette di essere la nostra casa per diventare un luogo alieno, terrificante ma anche — e la scrittura di Morton riesce molto bene a cogliere entrambi questi aspetti – magico. È il mondo in cui viviamo, ed è un mondo incredibilmente complesso: Iperoggetti è una specie di portale verso i suoi territori più strani, una di quelle soglie da film di fantascienza superate le quali non sei certo di uscire.