Marco Taddei è scrittore e sceneggiatore di
fumetti. È autore con Simone Angelini di Anubi,
Horus, Enrico e Quattro vecchi di merda
(Coconino Press) e di Malloy e Storie brevi e
senza pietà (Panini Comics). Ha scritto La Nave
dei Folli, edito da Orecchio Acerbo, con le
illustrazioni di Michele Rocchetti. I suoi articoli
sono stati pubblicati da Date HUB e The
Towner. Le sue storie sono apparse su testate tra cui Linus, Vieni verso il
Municipio, B-Comics.
U
n parto gemellare produce l’indicibile. Una bambina bellissima e un mostro. E con mostro non si intenda una bambina bruttina ma una cosa matta, con due occhi spiritati, assetata di sangue come una sanguisuga, artigli acuminati, denti affilati. Un parassita, più che una forma di vita. Quale padre accetterebbe questa creatura come frutto del suo seme? Nessuno. E se l’avvolge e l’abbandona in una discarica?
Il padre dimenticherà presto quell’orrore passeggero, entrato e uscito dalla sua vita senza lasciare ferite o cicatrici. Non si può dire lo stesso del fagotto abbandonato nel percolato. Seguiamo allora le mosse di questa bambina che fatica a sopravvivere nel peggiore dei luoghi possibili (una specie di mondo di rifiuti che potrebbe aver ispirato la discarica che sforna non morti che si trova in Tokyo Zombie di Yusaku Hanakuma). Di più: non seguiamo, ma rimaniamo con il fiato sospeso, anzi, tifiamo per questa creatura abbietta e per la sua vendetta sugli esseri umani.
Hideishi Hino è uno dei più fatali maestri dell’orrore del fumetto giapponese e, nella giusta ottica, dell’intero fumetto mondiale. È uno di quegli autori che hanno fascino. Il lettore subisce il colpo quando legge un suo lavoro, come anche quando guarda la singola tavola o inquadra l’unicum di un particolare grottesco delle sue tenebrose vignette, ma nonostante il colpo il lettore non si ferma. Da un fumetto non si può arretrare: si può solo interromperlo o continuare a leggerlo. E infatti il lettore orientale e occidentale non arretra davanti a Hell Baby, inorridisce ma continua a leggere, continua a sfogliare, mai soddisfatto abbastanza o meglio sempre un po’ più curioso di vedere dove l’autore possa trascinarlo, proprio come un cane che sta per essere abbandonato ma pian piano scopre esattamente dove.
È nato nel 1946 in Cina, nella Manciuria all’epoca occupata dai giapponesi. Da piccolo è entrato in contatto con la tragedia della seconda guerra mondiale: i giapponesi sconfitti, da occupanti divennero perseguitati e vennero scacciati dalla Cina, che si avviava verso gli sconvolgimenti della Rivoluzione Popolare. Durante la ritirata, il piccolo Hideshi rischiò la vita, come tutti i giapponesi in rotta, in una marcia sfiancante e cruenta.
È come se tutto nell’opera di Hino riportasse i segni e i traumi di quella fuga umiliante e terribile. Durante l’occupazione della Manciuria, il Giappone si era macchiato di terribili crimini di guerra, veri e propri plot dell’orrore (come le vicende legate all’Unità 731 dell’esercito giapponese), che avrebbero anche questi lasciato profondissimi segni nella psiche dei sopravvissuti di entrambi i fronti.
Queste disturbanti radici scintillano come gorghi in Panorama of Hell, la sua opera più estrema e allucinata, datata 1984, dove attraverso le vicende della famiglia di un pittore pazzo, morbosamente ossessionato dal suo stesso sangue, emergono laceranti visioni di quello che è significato in Oriente l’olocausto della seconda guerra mondiale. Il protagonista della storia è alle prese con la riproduzione perfetta della carneficina infernale che aspetta l’anima quando affronta il trapasso dalla vita alla morte. L’inferno è un luogo concreto, dice lo shintoismo giapponese, dove si sprofonda senza nemmeno il conforto della pazzia. L’inferno è una visione lucida, cristallina, senza via di mezzo o via di fuga, è il punto alla fine della frase “non hai scampo”. Questa visione viene prodotta con pervicacia grazie all’uso del suo sangue, succo della propria esistenza, come se egli stesso fosse il responsabile di quell’ecatombe sovrannaturale. E dato che il tema centrale è “il sangue del suo sangue” il pittore pazzo non esita a raccontare le nefandezze di suo padre e di sua madre, dei suoi avi. Qui biografia dell’autore e fatti inventati si mescolano e pian piano si affaccia il dubbio che questa bizzarra storia in cui non si salva nessuno, neppure il lettore, non sia che un esorcismo di qualche profondo recondito dell’autore giapponese.
In Hell Baby, esordio editoriale di Hino, è proprio dall’inferno che cerca di sfuggire la piccola sgorbions protagonista. Si salva dall’avello per sopravvivere, purulenta regina della notte, in una discarica, ecosistema tragico ma alla fine vitale barattolo trasparente dove la sua esuberanza può moltiplicarsi e prendere sopravvento sul destino di occultamento che il padre aveva deciso per la sua inaccettabile mostruosità.
Ed è proprio in questo abbandono impietoso ma senza colpa, che vediamo le propaggini di una vendetta che si svilupperà quasi naturalmente nei confronti di un mondo pulito ed igienico che la Hell Baby, la guappa della discarica, il reietto del mondo, non ha mai nemmeno potuto sfiorare.
La vendetta, la furia, la sete di sangue, la trasformazione selvaggia, la ricerca insensata dell’estinzione di massa o la folle fame di sopravvivenza, l’orrore agisce con queste forze. L’orrore opera per vie misteriose, ma sempre in una funzione catartica.
Se l’incubo è ispirazione di tanti artisti dell’orrore, l’orrore è a sua volta l’ispirazione di un serraglio molto più ristretto di autori, che hanno deciso di trovare nella nefandezza la via della critica all’uomo e alla sua implicita disumanità. Tutto quello che viene fatto in nome dell’orrore è lecito, perché l’uomo è molto peggio dell’orrore in sé. Tutto quello che si fa per distruggere l’umano è un bene, è questo l’abisso che ci lascia accarezzare Hideshi Hino.
L’infelice effige di Hell Baby rima perfettamente con tutto l’immaginario di yokai – fantasmi, goblin e mostriciattoli – del mondo giapponese. La visione di Hino però non si rifà a quella del multiforme folklore nipponico, bensì agli eventi della storia, ai drammi della società, reinventati, rivisti, ripassati da una lente grottesca e cannibale, ma pur sempre fatti, azioni, conseguenze.
Gli episodi di morte che i suoi occhi hanno assimilato senza completa maturità ma con assoluta coscienza, sicuramente giocano un ruolo nella poetica di un orrore perfetto che unisce ingegno sadico ed estetica puerile e senza freni. La potenza del linguaggio di Hino è uno scontro selvaggio tra una giocosa infanzia e l’abominio più potente.
Forse basta questa strana forza di attrazione, furia ibridata con l’innocenza (come se si scoprisse che la serie animata di Doraemon fosse stata scritta da Ed Gein), per far sì che le storie di Hideshi Hino (più di quelle dei consimili Junji Ito, Suehiro Maruo o Shintaro Kago) siano gli archetipi perfetti dello strano fascino che noi occidentali proviamo nei confronti del Giappone.
Come ogni grande mangaka di successo, Hino si è trasformato in un marchio di fabbrica, garanzia di questo e quello, ha saputo sfruttare il suo personaggio, cavalcando le sue visioni e servendo bene, dunque, il suo demone.
Dopo le pubblicazioni dei suoi lavori prima su riviste innovative come COM (fondata da Osamu Tezuka) e Garo (rifugio per i fumettisti nipponici non commerciali) e poi pian piano in volumi monografici, Hino interrompe la produzione cartacea di nuovi lavori (la sua ultima pubblicazione originale è proprio Panorama of Hell) approda al cinema, sua originale passione (Yoshiharu Tsuge gli aveva consigliato di concentrarsi esclusivamente sul manga), con lavori disturbanti che non fanno rimpiangere i suoi fumetti.
Firma due film della truculenta seria di film Guinea Pig: il primo, si intitola Flower of Flesh and Blood ed è famoso per aver fatto sbarellare Charlie Sheen, narra di un tizio vestito da samurai, che aggredisce e fa a pezzi una donna, l’assassino è interpreto da Hino stesso, notoriamente appassionato del mondo dell’antico Giappone; il secondo, Mermaid in a Manhole, è più sottile: una sirena si ritrova prigioniera di una fogna e un pover’uomo cerca inutilmente di salvarla.
Ma nell’oscurità giapponese, paese di un sole che si leva sovente nero, noi occidentali non potremmo mai del tutto discendere: a casa del serial killer otaku e cannibale Tsutomu Miyazaki vennero trovati molti film, tra i tanti, quelli della serie di Guinea Pig firmati da Hideshi Hino. Non aveva senso associare le azioni dell’omicida a quei due film, ma tanto fu lo scandalo derivato da questa scoperta che venne proibita in tutto il Giappone la produzione di altri film della serie. In qualche maniera l’intera nazione si lavava la coscienza, sconfortata da un senso di colpa degno del più desolante racconto d’orrore.
Il maestro giapponese in Italia mancava da più di vent’anni, da quel lontano 1992 che vide la prima e unica edizione di Visione d’Inferno (traduzione di Panorama of Hell), pubblicato da Telemaco Comics. Speriamo che questo volume targato Dynit sia l’apripista della proposta della sua gigantesca produzione in Italia – è infatti già reperibile da pochissime settimane Bug Boyin tutte le librerie.