Renato Pallavicini è nato a Savona nel 1948. Vive a Roma, è architetto e giornalista. Ha lavorato per lunghi anni a «l'Unità» come redattore culturale, scrivendo di architettura, di cinema d'animazione e di fumetto. Collabora a riviste e siti come Fumo di China, Fumetto (Anafi), Fumettologica e BookCiakMagazine.
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otreste anche partire dal “piano” Divenir-intenso, divenir- animale, divenir impercettibile, un centinaio di ripide pagine che s’arrampicano sul vertiginoso (otre settecento pagine) Mille piani, capitalismo e schizofrenia di Gilles Deleuze e Félix Guattari – seguito di quell’Anti-Edipo che tra i Settanta e gli Ottanta scardinò filosofia, psicoanalisi e politica del secolo scorso – ma risparmiatevelo. Vi basterà accontentarvi della citazione tratta da quello scritto e posta in esordio di Epiphania di Ludovic Debeurme, graphic novel in tre parti edito da Casterman (in Italia il primo volume è appena stato pubblicato da Coconino Press – Fandango). Citazione nella quale si dice di cani, gatti, scimmie, cavalli che, forse, non sono tali; di imitazioni, di ibridazioni, di “qualcosa che non ha più rapporto ‘localizzabile’ con l’animale in questione”. Ardui e ostici pensieri che il fumetto di Debeurme fortunatamente stempera in una trama comprensibilissima, con molti sottotesti ma tutti espliciti racchiusi in una straordinaria costruzione grafica, impreziosita dai colori di Fanny Michaëlis.
David, il protagonista, è un giovane musicista – come lo sono nella realtà Ludovic Debeurme (1971) e Fanny Michaëlis (1983) componenti del gruppo Fatherkid, da loro formato nel 2012 – ed è in crisi con la moglie Jeanne. Per questo partecipano a un training per coppie che si svolge su un’isoletta vicino alla costa. Durante la notte si scatena una tempesta seguita dalla caduta di tre meteoriti e da un conseguente tsunami che tutto travolge, e Jeanne scompare tra i flutti dell’alluvione. Al ritorno sulla terraferma David scopre un panorama desolato di distruzione nel quale affiorano strani cumuli che sembrano pietre. Bruciano al tocco e se estratte dal suolo si rivelano dei feti che si carbonizzano. Per non farli morire bisogna lasciarli crescere, finché la formazione sarà completata, quando cioè cominciano a emergere gli occhi, la bocca, la testa e il resto. David ne trova uno anche nel giardino della sua casa, ma non sapendo resistere, lo estrae a forza, scoprendo un bambino dai piedi simili a quelli di un fauno. Lui – che proprio non voleva un figlio e che era perseguitato dall’incubo ricorrente della nascita di un figlio deforme – lo accudisce amorevolmente, lavando e medicando così le piaghe prodotte dalle bruciature; gli darà un nome Koji e lo adotterà legalmente.
Koji, come le altre migliaia di suoi simili – soprannominati mixbodies – che intanto spuntano dal suolo, cresce in fretta a un ritmo molto più veloce dei bambini umani: a 1 anno ne dimostra 3, a 3 è come ne avesse 7 e così via. I “corpi misti” alle soglie dell’adolescenza sviluppano caratteri “secondari” animaleschi: corna, artigli, denti, proboscidi, ali. Al termine della loro mutazione (il primo volume è articolato nei tre capitoli dal significativo titolo di Bruco, Crisalide, Farfalla), non saranno né umani, né animali: ma diverranno “epifaniani”. Intanto gli umani disquisiscono sulla loro origine: esoterica (sono alieni trasportati dai meteoriti); superstiziosa (vengono dal mare della Grande Onda, da Atlantide, sono figli delle Sirene); ecologista (sono la reazione della natura all’inquinamento); religiosa (sono angeli).
Teorie o realtà, gli epifaniani sono da subito emarginati e perseguitati, vittime di bullismo da piccoli, costretti in classi differenziali e in scuole speciali, malmenati e uccisi da raid di squadre d’incappucciati. Da tutto questo, David tenta di salvaguardare Koji, ma non basterà. Anche perché nel frattempo gli epifaniani, stanchi del razzismo nei loro confronti, si ribelleranno sempre di più, fino a rifugiarsi in gruppi armati nei boschi fuori città. E lo stesso Koji, volente o nolente, non potrà resistere al “richiamo della foresta” e della propria specie. Ci fermiamo qui, perché vi abbiamo rivelato già molto e perché gli sviluppi saranno molti e, in parte, imprevedibili. Ma ci concederemo qualche piccola anticipazione che sarà utile per scoprire i “mille piani” di questa densa opera di Ludovic Debeurme.
L’autore francese si era fatto conoscere in Italia con due suoi fumetti precedenti Lucille (2008) e Renée (2011), entrambi tradotti da Coconino Press. Due corposi volumi che affrontavano il tema dell’adolescenza attraverso le storie incrociate di Lucille, una giovane ragazza anoressica e di Arthur un suo coetaneo, con una madre assente e un padre violento e alcolizzato che finirà – ripetendo un tragico destino familiare – suicida. La dolorosa vicenda trovava in Renée una sorta di seguito, in cui l’autore seguiva Lucille, nel faticoso percorso di uscita dalle proprie ossessioni, e Arthur, nel frattempo finito in carcere per omicidio. Vi s’intrecciava la storia di Renée, una ragazza che ha una contrastata relazione con un uomo sposato e si porta dietro drammatici traumi infantili. Fumetti adulti, affrontati da Ludovic Debeurme con un linguaggio essenziale fatto di pagine scarne, senza riquadri e cornici, e di esili disegni che galleggiano nel bianco: uno stile grafico che lo ha fatto apparentare a grandi maestri come Roland Topor, Edward Gorey e a fumettisti d’eccezione come Daniel Clowes e Charles Burns.
In Epiphania la lettura si fa più piana, meno impressionistica e assume i ritmi e le movenze di un’avvincente saga. Ma il plot narrativo svela in forma diretta, senza ideologismi e proclami, nei dialoghi parlati e nei pensieri dei protagonisti, interrogativi e dubbi – gli stessi che guidano le contraddittorie azioni di Koji – che tornano ad affrontare il tema dell’adolescenza, della genitorialità, dell’educazione e, va da sé, della diversità.
Ci passano dentro davvero “mille piani”: dal bullismo subito da ragazzini alla scoperta della diversità, con la presa di coscienza di un “vive la difference” più che sessuale genetica; dalla critica all’inquinamento e alla distruzione dell’ambiente (lo slogan degli epifaniani è: “non difendiamo la natura, siamo la natura che si difende”, oppure “non è il nostro pianeta che è in pericolo… siamo noi”) al tema della scelta (o al subirla) della violenza; dai precetti vegetariani (“la carne da cui trai la tua forza per me avrà per sempre il gusto della morte”, rimprovera Koji al padre che mangia il pollo) all’antiurbanesimo (le città arroganti di bitume e la fuga nelle foreste), alla critica della crescita infinita del Pil per cui “ogni cosa deve crescere o morire”.
Vessati e perseguitati, rinchiusi in campi/lager e sottoposti a esperimenti genetici (gli umani sperano di replicarne i codici per rafforzare i propri), repressi nella sessualità e nella capacità di riprodursi, gli epifaniani fanno il salto e passeranno all’attacco. A guidarli, dopo Pig (un maiale orwelliano autoproclamatosi capo), sarà il più determinato Vespero che ha le sembianze di un pipistrello. Forse un caso, ma di questi tempi, il pensiero, più che al Batman dei fumetti, va allo spillover (ecco il salto vero, lo sconfinamento, la propagazione del virus al centro del libro di David Quammen edito da Adelphi) e alla pandemia in corso.
E poi, il rapporto genitore/figlio, conflittuale come sempre, fatto di tenerezze paterne e d’implacabili sentimenti di amore-odio da adolescente: “Te che amo, io vorrei ucciderti”, “diventando grande in me ho sentito crescere una forza che vuole la tua vita… la tua vita di uomo” pensa Koji. Pulsioni adolescenziali represse, più che lotta di genere e di specie.
La saga degli Epifaniani e degli Umani si espanderà in una sorta di poema epico nel volume finale con l’apparizione di altre creature. Sospesa tra mitologia, fantasy e fantascienza, partorirà giganti, supercreature organiche (minerali, vegetali e animali) che combatteranno contro supergiganti metallici che pescano nell’immaginario robotico e dei transformer made in Japan o in qualche kolossal marvelliano che non si farà mancare un quasi lieto fine.
Ludovic Debeurme lancia ora i suoi effetti speciali, questa volta modulandoli con ritmi e variazioni dell’impaginazione: dalla scansione di vignette tutte uguali a grandi “splash page”, comunque inquadrate dalle cornici, spiegate e commentate da didascalie, al modo di stampe estratte da antichi libri magici. Oppure quando le intermittenze del cuore e dei pensieri si fanno più fitte, sospendendo piccoli disegni sullo sfondo delle pagine bianche (un po’ come aveva fatto in Lucille e Renée). Ma l’opera nel suo insieme mantiene una felice coerenza interna, passando dall’introspezione psicologica alle tematiche politiche, fino a risvolti – per ammissione dell’autore – sacrali, religiosi e di rivelazione catartica che forse ambiscono all’annuncio di una nuova era. Come suona il cognome di papà David: Novera.