Marco Taddei è scrittore e sceneggiatore di
fumetti. È autore con Simone Angelini di Anubi,
Horus, Enrico e Quattro vecchi di merda
(Coconino Press) e di Malloy e Storie brevi e
senza pietà (Panini Comics). Ha scritto La Nave
dei Folli, edito da Orecchio Acerbo, con le
illustrazioni di Michele Rocchetti. I suoi articoli
sono stati pubblicati da Date HUB e The
Towner. Le sue storie sono apparse su testate tra cui Linus, Vieni verso il
Municipio, B-Comics.
La guerra è un atto di brutalità incomparabile. Forse è l’atto più estremo nella scienza della brutalità. È il gradino più alto della bassezza umana. Tutto è lecito in guerra, distruzioni di opere d’arte, omicidi in larga scala, massacri, stupri, saccheggi, tutto è trascurabile giacché si è in guerra. Ed è come uno stato di grazia, l’Uomo perdona a Dio e Dio perdona all’Uomo: ogni atto, ogni scelta, ogni omissione. È proprio questo il termine ultimo della brutalità della guerra, la sua definizione precisa, “Tutto verrà perdonato”. Tutto, da un attimo all’altro, dalla guerra alla pace, verrà perdonato. Tutto tranne il rifiuto di partecipare al massacro: i renitenti alla leva li mettiamo in galera, i soldati che disertano li mettiamo al muro. Quando viene dichiarato uno stato di guerra, tutti devono essere infimi al medesimo grado. Nessuno può salvarsi, tutti devono macchiarsi dello stesso peccato. Così nessuno può giudicare.
Due attese (BD Comics, 2019)è una storia di pace cercata. La pace estatica, statuaria, che cala su di noi quando immobili rimiriamo un panorama. La pace degli oggetti, non degli uomini, perché gli uomini anche se felici non hanno pace, non è nella loro natura essere in pace. La pace viene solo alla fine, come una ricompensa, dolce nel fondo, un premio per l’impegno profuso nella battaglia campale del vivere.
La dote che rende questo fumetto una machiavellica arma dal taglio profondo è la sua immaginazione. Una storia comune a tanti – quella di un parente scomparso in guerra e dell’indagine che ne consegue – diventa il metro con cui misurare l’estensione della follia dell’esistenza di chi rimane, di chi resiste, di chi ricorda. Di chi deve dedicarsi alla guerra che si fa in tempo di pace. Ogni persona è una guerra che cammina e la guerra di tutti contro tutti è un modo per porre pace a quella propria personale, ma finita quella, ricomincia la sequela di stragi interiori: malattia, povertà, abnegazione, vecchiaia, demenza, solitudine, disperazione, questi i bombardamenti a tappeto a cui siamo condannati a soccombere, al massimo resistendo con i denti e le unghie per procurarci meno danni possibili.
Due Attese trasforma queste armi non convenzionali in atroci archetipi che sagomano la vita dei personaggi principali e secondari di questa strana storia. C’è un investigatore che arriva da chissà dove, e visita la famiglia del protagonista solo dopo aver esaurito i nomi di “una lunga lista”. C’è un infame generale, il cui corpo non è più intatto, che custodisce segreti. C’è il nonno scomparso, vittima di una tortura insensata. C’è il giovane nipote con una pletora di fantasmi e ricordi. C’è la nonna, la bisnonna, la mamma, una veggente cieca che starebbe bene nel Rapporto sui Ciechi di Ernesto Sabato. Ci sono gli adepti dell’Abisso, cultori della morte in guerra, ai quali spiace che i propri figli “non muoiano più con la velocità di un proiettile”. Ci sono i vermi della terra, agenti della trasmutazione. Ci sono servitori e padroni.
Si respira un’aria da Leonardo Sciascia necrofilo, da Twin Peaks girato da Elio Petri in questacaccia al cadavere, che lascia più volte disorientati e al contempo stregati, come davanti alla propria casa che brucia. Nulla è spiegato, ed il mistero diventa la vera trama di questo progetto di storia, di questa architettura oscura e invivibile. Battute e didascalie appaiono con parsimonia, ma costellano la vicenda di brividi forti e aprono improvvisamente su un percorso sicuro di baratri neri. Perché di un noir ha le caratteristiche, ma di un noir diverso dal solito. Un romanzo noir, graficamente molto chiuso, vignette larghe ma contornate da drappi neri, pesanti di un nero chinoso, pennarelloso, nero malvagio che spesso scompone i lineamenti dei personaggi, li rende tumefatti come maschere di pugili malmessi, a fine carriera.
Maurizio Lacavalla è un autore che in apparenza è gentile con il suo lettore, ma sotto sotto – nemmeno troppo sotto – infido, perché con calma gli toglie tutti i punti di riferimento, scombinando il genere, mescolando le carte, proponendo un finale talmente delicato da essere esoterico, talmente duro da essere perfetto. Da mozzare il fiato. BD Comics esprime un fiuto non indifferente credendo in questa storia lunga, racchiusa in un’edizione che ricorda, non a caso, quella di un romanzo, dato che questo fumetto matura tanti spunti che potrebbero per l’appunto vivere con dignità in un libro, così come in un film, così come in un incubo.
Beato colui che non deve cercare, che non deve trovare, che non deve ricordare. Beato colui che dimentica. Beato colui che sta fermo. Immobile. Come una colonna. Una sensazione intollerabile di ineffabile presa in giro, di ghigno perenne, infesta ogni pagina di Due Attese. Ma non è uno scherzo, è tutto terribilmente reale.