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iventare cagna di Itziar Ziga è un’opera del 2009 – tradotta recentemente dallo spagnolo da Valentine aka Fluida Wolf per D Editore – che “parla di puttane femministe”. “Puttana” è qui inteso come categoria estetica ed etica: una sfida al recupero di una femminilità camp, vamp, fatta di lustrini, paillettes, tacchi, minigonne e boa, di turpiloquio e spudoratezza, di rifiuto per la castigatezza dei costumi, per l’invisibilità, per la discrezione. Il tono invettivo del Bitch Manifesto di Joreen, trascritto in fondo al libro, è una chiara fonte d’ispirazione:
Non rivendico la femminilità delle brave ragazze, ma quella delle cagne cattive. Una femminilità estrema, radicale, sovversiva, spettacolare, insorgente, esplosiva, parodica, zozza, mai impeccabile, femminista, politica, precaria, combattiva, scomoda, arrabbiata, spettinata, con il mascara colato, bastarda, sfatta, persa, prestata, impulsiva, smarrita, eccessiva, esaltata, impertinente, canaglia, viziosa, borgatara, bugiarda…
Oltre a informarci sui suoi obiettivi politici, queste righe suonano come una descrizione dell’autrice stessa. Tra le pagine emergono note autobiografiche: Itziar Ziga cresce alla periferia di Barcellona da una madre “povera e stressata”, una “parìa”, e un padre violento; si divide, negli anni della propria formazione, tra gli studi in giornalismo e il lavoro da cameriera; infine, incontra da una parte il marxismo e dall’altra le teorie di Paul B. Preciado. Su questi due binari, Ziga riesce a incanalare la propria rabbia di classe e di genere, i due punti di fuga verso i quali convergono le storie di Diventare cagna.
Divise in brevi capitoli tematici, il libro raccoglie le riflessioni di Ziga nate dalle conversazioni con le amiche cagne di Barcellona – Verónika, Majo, Laura, Pilar, Carmela, Sara, Alf, Paula, Mariana, Mónica e Helen. Attraverso le loro storie, l’autrice dipinge l’evoluzione delle sue posizioni all’interno del movimento transfemminista, mettendo la pratica davanti alla teoria, le voci delle altre prima della propria, raccontandone i processi interni e le influenze esterne: non l’essere, appunto, ma il diventare cagna, con le sue incongruenze, le sue trasformazioni, gli strappi, gli incontri. Dalla dialettica tra le diverse esperienze intime, quotidiane, progressivamente emerge la cagna: un’intelligenza collettiva più che una comunità.
Focalizzandosi sui processi, Ziga si scontra con le contraddizioni delle proprie convinzioni e, se non le supera, impara ad abitarle. D’altronde tra indossare una tuta informe o body in lycra e minigonna si consuma un testa a testa tra due stili dello stare al mondo costruiti, in entrambi i casi, dallo sguardo maschile. Ogni scelta porta con sé un’insidia: coprirsi, per sfuggire sommessamente all’attenzione predatoria patriarcale; o esporsi, rischiare, riappropriandosi dell’“uniforme della schiava”. Pur riconoscendo nel genere “una copia senza originale” (Judith Butler), la rivendicazione di iper-femminilità al centro del libro è, in definitiva, una riaffermazione del binarismo maschile/femminile. L’autrice racconta il proprio tentativo di sfuggirlo, ammettendo però candidamente di non riuscirci: la sua soluzione è abbracciarlo, usarlo come uno specchio ustorio, come arma prediletta della vendetta di genere.
Focalizzandosi sui processi, Ziga si scontra con le contraddizioni delle proprie convinzioni e, se non le supera, impara ad abitarle.
Adottare una femminilità cagna significa camminare su un terreno disseminato di trappole. Gli ostacoli al “conciarsi da troia” provengono dal patriarcato più becero, ma anche dalla madre di Sara, perché “la testa serve per pensare, non per essere pettinata”; dagli sguardi diffidenti di alcune “lesbiche col pedigree”, che non sanno vedere oltre le fasce elastiche per costringere il seno; dai codici di condotta di un femminismo di superficie, che impongono a Carmela di rinunciare al proprio feticismo per la depilazione.
Dove trovare, allora, le proprie radici? Per Ziga, la fonte di ispirazione per la femminista puttana non può che essere la puttana femminista. “Ogni ragazza siede su una fortuna e non lo sa”, recita l’attacco di Memorie di una maitresse americana, autobiografia di Nell Kimball, prostituta e imprenditrice nella New Orleans degli anni Venti. Il suo sarcasmo e la sua determinazione d’acciaio la rendono uno dei numi tutelari di Diventare cagna, nonché l’apripista per una serie di testimonianze dirette di sex worker e attiviste. Il loro sguardo sul mondo, per Ziga, è una chiave interpretativa potente, da assimilare e, in quanto cagne, da indossare e performare. Attivista e sex worker, Gail Petherson osserva le due condizioni riservate alle donne nell’ordine eteropatriarcale: “le spose e le puttane sono i prototipi, uno legittimo e l’altro illegittimo, della comune condizione femminile”. Le storie raccolte da Ziga decostruiscono lo stigma legato al lavoro sessuale, nel tentativo di imbastire una nuova relazione tra i prototipi della condizione femminile in chiave critica e solidale:
Una donna sposata con un uomo tranquillo e rispettoso ha, sulla carta, maggiori possibilità di essere felice di una puttana maltrattata dal suo pappone. Tuttavia, una lavoratrice sessuale autonoma vive meglio della moglie di un uomo violento. Ciononostante, lo stigma della puttana informa lo sguardo in maniera tale che non è raro sentire una donna maltrattata dire di una puttana ‘‘poverina”.
Le condizioni di sposa o di puttana sono due volti della medaglia della sessualizzazione patriarcale e Ziga ne considera l’auspicabilità o meno al di fuori di qualsiasi pensiero puttanofobico. Secondo l’autrice, la sex worker viene pagata per un servizio che la donna perbene concede gratuitamente: un cortocircuito da cui emerge lo stigma che impedisce al lavoro sessuale di venire considerato per quello che è, senza pregiudizi consci o inconsci. Le signore perbene zittiscono le puttane. Zittiscono Cristina, invitata a parlare a TV3 della propria condizione di sex worker ma considerata troppo elegante, colta e preparata per rappresentarne lo stereotipo. Zittiscono le prostitute sfruttate dalla criminalità organizzata, propugnando soluzioni proibizioniste o punitive che non prendono in considerazione le loro reali condizioni di vulnerabilità e clandestinità. Dalle puttane, allora, bisogna imparare a sbraitare, l’unico modo per venire ascoltate.
Sono tante, poi, le alleanze su cui le cagne possono contare. Il dialogo di diventare cagna è aperto alle mamme sexy, alle butch in tuta da lavoro, alle checche, agli orsi, alle donne musulmane con o senza hijab, alle trans e ai trans, alle drag queen e ai drag king. Ziga raccoglie le testimonianze di chiunque condivida il destino di disagio e assedio riservato alle cagne, costantemente esaminate, silenziate, rifiutate o minacciate:
Tutte calibriamo, nell’uscire di casa ogni giorno, la misura in cui ciò che indossiamo o non indossiamo sui nostri corpi condizionerà la tranquillità, il rifiuto o il disagio nel nostro contatto con il mondo esterno. Tutte a volte desideriamo di essere invisibili.
Lasciandosi trasportare dai toni ringhianti del libro, a volte sembra di dimenticare ciò che queste righe raccontano: che diventare cagna è una scelta complessa, che fa paura. Può bastare un abbigliamento eccentrico o un atteggiamento disinvolto per creare uno spartiacque tra chi è un alleato e chi non lo è. Majo racconta che uscire la sera è diventato uno stress:
Una notte un tipo mi ha detto che vestita in quel modo lanciavo il messaggio di essere in cerca di sesso e che non mi potevo lamentare se lui ci stava provando, perché era il mio aspetto a invitarlo. Era diventato un problema continuo: i tipi che ci provavano la notte, gli amici che non sapevi se in fondo volessero solo scoparti, le amiche che smettevano di parlarti da un giorno all’altro perché pensavano che volessi sedurre i loro fidanzati. Mi sembrava tutto molto superficiale e non capivo questa costante mancanza di rispetto nei confronti di una che si vestiva come le pareva.
Vestiti come ti pare. È la risposta semplice, ma ancora potente, che Ziga propone. Prima dei ringraziamenti, Ziga si concede una pagina di contro-ringraziamenti: al padre, ai professori e professoresse dell’Opus dei, a un fidanzato intransigente, a una fidanzata psicopatica, ai lavori di merda. È una dedica alla propria rabbia. La più adeguata a una cagna.